Era la fine dell’estate 2002 quando con un amico si sfrecciava allegramente sull’Autosole di ritorno dal mare. Più o meno all’altezza di Modena vediamo sulla corsia di sorpasso una berlina blu preceduta da un altro paio di macchine nere, delle quali una aveva anche la sirena sul tetto. Incuriositi e già pronti al peggio, approfittiamo di un incolonnamento per affiancarci e sbirciare
l’identità del politico scortato: “cazzo ma quello è Prodi!â€. Non so esattamente perché, ma vederlo seduto lì dietro, tutto indaffarato in maniche di camicia e al cellulare, ci fece un effetto di grande fascino, e provammo subito il desiderio infantile di salutarlo, di dirgli qualcosa. Ci affiancammo nuovamente e ci sbracciammo col massimo sforzo possibile per farci notare; Romano ci vide e dopo qualche istante, a metà fra lo stupore e la gioia contraccambiò i nostri saluti. Ci affiancammo una terza volta e in quest’occasione ci salutammo tutti e tre vigorosamente col pugno della mano sinistra chiuso, sorridendo, quasi esultando per non si sa bene che cosa. Fu allora che il mio amico prese un sacchetto del pane, me lo passò e mi disse “scrivi qualcosa, la prima cosa che ti viene in menteâ€. Il ricordo della sconfitta del 2001, arrivata in quel modo con Rutelli “o bell’ guaglione†era ancora vivido, l’amarezza aveva da poco iniziato a tramutarsi in rabbia per gli avvenimenti legati alla nuova classe dirigente. Scrissi “solo con te vinciamoâ€. Ruffiano, ultrà della curva sud, quello che volete, ma alla fine lo scrissi e schiacciai pure il sacchetto contro il finestrino, in attesa che Prodi lo leggesse. Quando vide il sacchetto, fece un sottile sforzo per vedere cosa c’era scritto e una volta letto scoppiò a ridere e ci fece un gesto come a voler significare “eh, magari!â€. Forza Romano, facci gridare presto che forse non avevamo tutti i torti.