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Birth - Io sono Sean

Ring del 20 01 2005

 
 
    Dati
  • Questo ring è stato letto 6545 volte
 
 
 
 
 
 
 
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Contro

Recensione contro

La high society crede a tutto, noi no

di Sara Troilo & Francis Purocotone

[in viola il nostro portapizze romantico, in arancio la caporedattrice rotante]

Birth è disarmante: è incredibile pensare che duri [quanticacchiosono] minuti; viene da chiedersi se Glazer, dati i trascorsi, non sia stato sopraffatto dalla quantità di tempo a disposizione.
Il plot e' semplice ed esilarante: Anne (Nicole Kidman) e' una vedova inconsolabile che festeggia i dieci anni di vedovanza decidendo di risposarsi con un mezzo tamarro. Io-sono-Sean (Cameron Bright) e' un bambino di dieci anni convinto di essere la reincarnazione del marito defunto di Anne e deciso a ostacolarne le nozze ad ogni costo. Il mezzo tamarro e futuro sposo si imbizzarrisce, la vedova e futura sposa si intriga non poco e la famiglia della vedova si preoccupa. Come contorno c'e' una coppia di amici di cui l'esemplare femmina (Anne Heche) ha i capelli rossi, dettaglio che nomino perché molto significativo per "ei fu" Sean, il citatissimo marito che muore in apertura di film.
Quando è sufficiente la scena iniziale a procurati un brivido a metà tra freddo e presentimento non è un buon segno, se non hai a che fare per lo meno con un thriller: tra scollinamenti innevati ed un cielo grigio Sean il grande corre, il viso nascosto da un cappuccio, verso la sua venticinquesima ora: s'infila nel tunnel, non ne esce. È invece Sean il piccolo a fare la sua entrata in scena: dovrebbe essere un momento inquietante, per me lo è stato.
Soltanto chi ha provato a condividere la sala d'aspetto di medici (o altri professionisti) frequentati dall'alta borghesia sa quanto questa classe sociale sia attratta dalla spiritualità declinata in senso catto-new age. Solo chi abbia vissuto quest'esperienza sa con certezza che non passerà un quarto d'ora prima che un individuo a caso di quella sala d'aspetto nominerà o La profezia di Celestino o Le conversazioni con Dio. E ci sbatterà lì pure un accenno alla Santa Messa o alla preghiera. E, perché no, agli angeli. Sono esperienze formative soprattutto se ci si imbatte in film che ritraggono l'alta società credulona. Sì, perché Birth altro non e' che questo, un ritratto sbiadito e noioso della povertà di spirito di certi individui che hanno le vite scandite da eventi mondani, un film che non riesce mai a innalzarsi e si limita al tentativo di essere tagliente riuscendo soltanto ad ancorarsi al "noioso".
Già, perché Sean il piccolo, oltre ad aver ereditato nel passaggio di consegne un rigor mortis facciale che gli conferisce l'espressività di un Clint Estwood senza cappello, a domanda risponde infallibilmente, previa attesa regolamentare di almeno trenta secondi (alcuni la chiamano suspence), io-sono-Sean: chi vuole può leggerci la grinta ostinata del bimbo incapricciato, io alla terza volta mi limito ad invocare mentalmente i titoli di coda.
Persino la divina Nicole, immersa in quei lugubri interni, perde smalto e passa il tempo a guardare con occhi pieni d'amore Io-sono-Sean e a guardare con occhi pieni di pianto chiunque altro. Magra e con un taglio punitivo cortissimo, pare dar vita al concetto stesso della sofferenza, all'idea platonica, caricando e forzando non poco l'espressività che la contraddistingue.
È lei infatti a trascinarti per mano, a costringerti a credere che il dramma sia li', sul punto di esplodere; già perché nonostante tutto c'è un momento in cui arrivi a sperare che l'aver resistito porterà alla meritata ricompensa, ma niente: il racconto si affloscia su se stesso e si chiude come inizia, con un grigiore triste.
A metà tra il dramma e la vera commedia di Natale, Birth non sa proprio dove collocarsi, ma non sfigurerebbe tra i titoli che magari una volta, quando proprio non si ha più nulla da vedere, si decide di prendere in prestito in qualche biblioteca.

 

 
 
 
 
 
 
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A favore

Recensione a favore

Scene da un (pre) matrimonio

di Simone Braguglia & Fabrizio Ferrero

[in viola la nostra feroce alce, in arancio il gianduiotto ermetico]

 

Il problema di certi film è il lancio pubblicitario che li accompagna al momento dell'uscita, frasi come "Dopo il Sesto Senso..", "Più terrificante di Seven.." ad un film come questo Birth di certo non hanno giovato, così come il periodo scelto, cioè sotto Natale, infilato tra tette, chiappe e cartoni dove tutti noi cerchiamo qualsiasi cosa tranne un film di quasi soli interni, con pochissima azione ed iperdialogato, insomma per i ritmi ai quali ci hanno abituato se la batte con uno di Ingmar Bergman.

Però, al di là d'una apparenza piuttosto ostica, il film vale, eccome. Costruito, come già detto, quasi esclusivamente all'interno di un elegante appartamento newyorkese, contrappuntato ogni tanto dai soli ed aperti esterni di Central Park, il film ci fa vedere come una donna, e di conseguenza tutti il suo parentame, entri in crisi alla vigilia del matrimonio quando un ragazzino le dice d'essere la reincarnazione del suo primo e  defunto marito. Chi gli darebbe retta? Chi ci crederebbe? Probabilmente nessuno, però basta questo a far entrare in crisi le sue certezze ed a sconvolgere il mondo di questa borghesia di certo molto poco illuminata. Ad onor del vero, il discorso potrebbe essere esteso non solo alla borghesia ma anche all'innata paura dell'uomo verso l'ignoto, verso il non conosciuto rappresentato qui dall'incrinarsi d'una certezza per l'aprirsi di abissi metafisici, forse poco credibili, ma di certo davvero poco rassicuranti.

Il problema forse è un altro. Più che di abissi metafisici parlerei di irruzione drammatica dell'inconscio in una situazione che non sarebbe risolvibile con il dialogo e con la logica. Anna, la protagonista, è prigioniera del suo stile di vita, del suo essere benestante, delle convenzioni del suo ambiente matriarcale (splendida Lauren Bacall nella parte della madre)  del suo prossimo matrimonio con un uomo ricco e volgare. L'unico modo che riesce ad "inventare" per sfuggire a tutto ciò è l'arrivo del ragazzino che mette in gioco un'istanza così radicale ed assurda. Egli è veramente la voce di un marito morto ed amatissimo. In quanto personaggio non esiste: è solo un'incarnazione estemporanea, una convenzione simbolica e cinematografica. Anna genera una situazione semi-patologica, diventa preda di un'allucinazione che la dilania, ma che allo stesso tempo rappresenta la sua unica fuga verso il cambiamento.

La "malattia" diventa addirittura epidemica. Chi immagina chi? E per quali motivi? Sean diventa una presenza accettata perché più di una persona ha bisogno di un'allucinazione che vada a compensare un aspetto sgradito della propria esistenza; ad esempio: una madre che si percepisce inadeguata ed assente e consegna suo figlio, dimenticandosene quasi, ad una donna ricca e bellissima, un'amante abbandonata che non riesce a rassegnarsi, un cognato che ha bisogno di confutare il ferreo positivismo scientifico dello Sean originario.

La satira, la presa in giro delle classi agiate, messa qui però sotto forma di dramma, esce dalla penna di Jean-Claude Carrière per anni sceneggiatore dei film di Bunuel, ai quali questo Birth si ispira non tanto per la forma grottesca quanto piuttosto per il bersaglio al quale mira.

Interni caldi, ovattati ed esterni gelidi e ricoperti di nevi sono l'acquario ideale nel quale il bravo regista Jonathan Glazer fa muovere i suoi attori, per inciso la Kidman è in una delle sue prove migliori, con uno stile davvero poco pubblicitario o video-clipparolo e visti i trascorsi dello stesso è davvero sorprendente e piacevole.

Be', Glazer ha girato video perlopiù per Massive Attack e Radiohead, video bellissimi e non di poco conto. In Birth spicca la semplicità: una macchina da presa, luci, attori e scenografie. Quasi un film d'altri tempi per l'estrema semplicità figurativa, ma che è comunque carica di suggestioni. La camera scruta, compie un lavoro architettonico indugiando su particolari di edifici e sulle architetture dei volti, facce credibili, reali, a volte pare volersi infilare dentro i personaggi con dei primissimi piani immobili e lunghi: la scena del teatro è esemplificativa così come fortemente indagatorio è il lunghissimo piano-sequenza iniziale che segue Sean di spalle, unico volto negato per tutto il film. La musica originale di Alexandre Desplat, volutamente grottesca e stucchevolmente brahmsiana allo stesso tempo, punteggiata di glockenspiel ed archi,  sottolinea la pomposità borghese delle situazioni, come la quasi esilarante riunione di famiglia davanti ad un trio che esegue musiche nuziali.

Insomma, con un film così nessuno dovrebbe gridare al miracolo o al capolavoro ma è davvero una sorpresa per coraggio e resa finale, decisamente sopra ai tanti lavori troppo stereotipati e preconfezionati che si vedono in giro.

Mi sbilancio un po' di più e dico che Birth ha le cadenze e lo spessore di un piccolo classico, tenendo anche conto che si tratta di un'opera prima, oltretutto in controtendenza rispetto alla ricerca smaccata del facile e del facilissimo, dell'evidente e dello spettacolare pacchiano e tronfio.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 2 commenti

 
 
utente
Sara
  • commento Bunuel, appunto. Mai annoiata davanti a un film del maestro. Bunuel sta a Glazer come la democrazia sta a Bush.
 
 
 
 
 
utente
Guz Van Sant
  • commento nn è un film ma un documentario, l'autore confessa in 2 ore il suo desiderio di una Nicole mamma e moglie. Si chiama ossessione, comprensibil ma clinica. Curati con Dogville e torna ai clip , sfigato!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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