- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
- Contro Sherlock Holmes a caccia di misogini (la redattrice non ha letto il romanzo)
- A favore Panni sporchi di svastiche (la redattrice ha letto il romanzo)
- Chiara Orlandi Vs. Sara Troilo
- Contro La storia dell'embrione con le unghie e di sua mamma che graffia più di lui
- A favore Quando decidere non è un gioco da ragazzi
- Sara Troilo Vs. Paola Galgani
- Contro I mirtilli non dovrebbero suonare il piano
- A favore Irresistibile e stucchevole come una torta ai mirtilli
- Antinoo Vs. Sara Troilo
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Recensione contro
Capolavoro!
di Stefano Tirelli
Capolavoro. Nessuna parola ha mai creato più scontri verbali, nessuna parola è mai stata usata tanto a sproposito. Esiste una serie di artisti (registi, musicisti, pittori) che a un certo punto della loro carriera raggiunge un'acclamazione di pubblico e critica abbastanza grande da definire ogni loro nuova opera un "capolavoro" in maniera acritica. Il problema è che quando la nuova opera del regista autore di capolavori non è valida, ci si arrampica sugli specchi per definirla capolavoro, per cercare una spiegazione che mascheri la ciofeca. E' capitato con Un Film Parlato di De Oliveira, film meno che mediocre che molti critici e spettatori non hanno esitato a definire "capolavoro" interpretandone i palesi difetti come "scelte registiche".
2046 è uno di quei film che ambiscono prepotentemente alla qualifica di "capolavoro": due lunghissime ore, lunga lavorazione, minuzia dei particolari. Questo film mi ha riportato alla mente L'Elemento del Crimine, forse il peggior film di Lars Von Trier, che del padre del Dogma presenta solo la boria e la presunzione, dietro una fotografia a regola d'arte ma con una trama sconclusionata e soporifera. Allo stesso modo, la fotografia è uno dei pochi aspetti di 2046 che non si può criticare. La presunzione che permea questa pellicola, invece, mi ricorda Kubrick (non me ne voglia il maestro per l'ardito confronto) che condivide con questo film la presupposta maniacalità per i particolari. Ecco, la cura dei particolari dovrebbe essere uno dei maggiori punti di forza di 2046. Il film ci presenta sin dall'inizio dei ralenti piuttosto discutibili come scelta estetica, che con grande mancanza di umiltà ci vengono riproposti continuamente durante il film. I particolari? Lei che fuma una sigaretta in modo innaturale. Guardatemi! Sono una scena di un grande autore! Le scarpe della figlia che studia giapponese nella stanza 2046. E' davvero difficile attribuire un ruolo ad alcune scene che non sia quello di ricercare l'eccitazione dei cinefili a caccia di scene cult. Nell'enfasi per la cura dei particolari, si scade poi nel ridicolo con la rappresentazione degli androidi, che parlano dal romanzo con una voce "fuori campo" ricordando un po' Il Dormiglione di Woody Allen e che la prima volta che compaiono hanno qualche sussulto alla Mr. Zed.
Tony Leung e Zhang Zihi sono veramente bravi nei loro ruoli, peccato che, come già detto, il film duri 2 ore e questi siano gli unici personaggi ben caratterizzati. Gli altri, benché interpretati spesso da ottimi attori (Faye Wong, Li Gong) sono ridotti a macchiette attorno al protagonista. Ci sono anche registi come Robert Altman che riescono a introdurre decine di personaggi e a caratterizzarli tutti benissimo, benché questi siano in scena per pochi secondi, Kar Wai non ha questo talento.
Se lo scopo del cinema è comunicare qualcosa, bisogna tenere conto di tutti i parametri della comunicazione, incluso il ritmo, l'attenzione dello spettatore a cui si rivolge il film. Per i primi venti minuti non succede niente. Il problema è che anche nel resto del film non succede più o meno niente. 2046 si limita a raccontare una storia banale e a trarne conclusioni altrettanto banali. Alcune ridicole frasi dal tono moralista, enfatizzate anche dal pessimo adattamento italiano, compaiono tra un momento di nulla e l'altro: "il futuro bisogna andarselo a cercare", dice il protagonista a cena, "se la nostra storia fosse ambientata in un'altra epoca, sarebbe stata diversa", dice Tony Leung alla figlia di fianco all'insegna al neon dell'hotel, per arrivare alla meravigliosa, illuminante conclusione che "quando l'amore arriva nel momento sbagliato, svanisce". Dato che non mi sembrava un film indirizzato a un pubblico adolescente, mi sento piuttosto sereno nel definire queste clamorose prese di coscienza, una serie di inutili banalità. In definitiva, Kar Wai comunica poco e male.
Capolavoro? Basta una buona fotografia e due bravi attori a fare un capolavoro? Io non credo. A questo aggiungiamo che dell'ottima colonna sonora i brani veramente utilizzati sono tre, ripetuti anch'essi ben oltre la soglia della noia, accoppiati spesso all'ennesimo ralenti. Quando si vuole girare un film la vanità è il primo pericolo da cui difendersi. Se ci facciamo prendere la mano rischiamo che il risultato sia un'insieme di immagini autoreferenziali, più che un'armoniosa composizione di forma e contenuti. Kar Wai ripete all'eccesso alcune soluzioni registiche che sono semplicemente pesanti quando vengono ostentate in questo modo. Personalmente mi sono sentito preso in giro durante tutta la visione. In ogni momento ho sperato di vedere comparire Antonio Rezza. Ho sperato di vederlo prendere quella maledetta sigaretta e, dopo averla sbattuta a terra, sentirlo gridare con la sua vocina, gli occhi pieni di collera: "E' questo il cinema?"
Recensione a favore
Il vero amore è il racconto
di Sara Troilo
Quattro anni di lavorazione si vedono tutti. I dettagli sono curati con una precisione maniacale in modo da restituirci la Hong Kong degli anni '60 piu' particolareggiata che ci sia. Larga parte del film e' intrisa di erotismo, a ritagliare l'inquadratura spesso fanno da quinte fianchi femminili fasciati in abiti da sera. Le donne del film sono impeccabili e seducenti in ogni momento, orientate pesantemente sul versante geisha, eccezion fatta per la meravigliosa Faye Wong, protagonista di un episodio di Hong Kong Express, qui scrittrice anch'essa.
L'amore per il racconto e' totale, denso e fondante. Il protagonista, come gia' detto, scrive. Abita in una stanza d'albergo, ha un amore perduto e alcune donne che attraversano la sua vita, ma che non trattiene. Le guarda, le spia, si lascia sedurre dai profili dei loro corpi, da come parlano e si muovono, ma non ha intenzione di dormirci insieme per una notte intera. Aveva chiesto a una donna di seguirlo a Hong Kong da Singapore, ma quella donna, la donna della sua vita, gli ha risposto con un inequivocabile no. Da allora l'unico legame che coltiva e' quello con la scrittura che trova un'eco vivace nella figlia maggiore del proprietario dell'albergo, Faye Wong, che per comunicare con il proprio fidanzato giapponese deve imparare quella lingua e si esercita di continuo parlandola ad alta voce. Chow Mo Wan (Tony Leung) racconta di un'epoca futura, Kar Wai racconta il passato, la cifra stilistica e' il melodramma (tutti i personaggi nel corso della narrazione si trovano ad avere una guancia rigata da una lacrima) e i piani temporali si confondono di continuo. La narrazione ha come segno distintivo la malinconia e seguire questa connotazione impedisce di resistere al film cercando vie di fuga razionali che si cimentino in esplicazioni sul tempo visto nel proprio sviluppo lineare. Ogni resistenza e' fuorviante, il godimento estetico/estatico e' la miglior guida al sentire di 2046, titolo denso di significati. 2046 come il numero di stanza degli amanti di In the Mood for Love, come l'anno in cui e' ambientato il romanzo che il protagonista sta scrivendo, come luogo della memoria e del ripiegamento in se stessi, come cassetto interiore.
L'estrema raffinatezza del racconto filmico ne contiene uno letterario in fieri, di nuovo regista e protagonista prendono parte a un gioco di rimandi metanarrativi e tutti e due hanno un valido supporto: Christopher Doyle ha curato la fotografia del film, il personaggio di Faye Wong aiuta Chow Mo Wan a stendere il romanzo. La cura esasperata della resa estetica crea un ambito di raffinatezza totale, un humus particolarmente adatto alla creazione artistica e alla seduzione; erotismo e mente, abiti futuribili alla Issey Miyake e storia d'amore impossibile. A una suggestione fisica ne corrisponde una emotiva, all'intreccio intellettuale fa da contraltare la perfezione di abiti e arredi. Nel romanzo ambientato nel futuro, l'uomo protagonista parla dell'usanza di scavare un buco nel tronco degli alberi per sussurrarvi dentro un segreto in modo che sia custodito per sempre, l'assistente di viaggio androide tenta di farsi albero per lui, 2046, nella veste di film e di libro, forse ci riesce.
I lettori hanno scritto 19 commenti
- indirizzo IP 151.52.122.123
- data e ora Giovedì 09 Novembre 2006 [19:53]
- commento Cricri (o pipi), con chi ce l'hai? :)
- indirizzo IP 87.14.230.124
- data e ora Mercoledì 11 Aprile 2007 [18:49]
- commento Tirelli? Ma va' a vedere "ho voglia di te": almeno quello riuscirai a capirlo!
- indirizzo IP 151.65.231.210
- data e ora Mercoledì 11 Aprile 2007 [19:06]
- commento Rotfl, ti assicuro che ti stupirebbe la complessità delle cose che è in grado di comprendere il Tirelli. :)
- indirizzo IP 213.140.11.139
- data e ora Mercoledì 11 Aprile 2007 [21:21]
- commento e poi un ring a proposito di Ho voglia di te proprio non me lo vedo qui... certo 2046 resta un filmone, ma questo non intacca la profondità del Tirelli ;)
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