Uomini che odiano le donne
- Contro Sherlock Holmes a caccia di misogini (la redattrice non ha letto il romanzo)
- A favore Panni sporchi di svastiche (la redattrice ha letto il romanzo)
- Chiara Orlandi Vs. Sara Troilo
Juno
- Contro La storia dell'embrione con le unghie e di sua mamma che graffia più di lui
- A favore Quando decidere non è un gioco da ragazzi
- Sara Troilo Vs. Paola Galgani
Un bacio romantico - My Blueberry Nights
- Contro I mirtilli non dovrebbero suonare il piano
- A favore Irresistibile e stucchevole come una torta ai mirtilli
- Antinoo Vs. Sara Troilo
Halloween the beginning
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- Mattia Signorini Vs. Federico Lommi
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A Dangerous Method
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
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02 11 2013
Recensione contro
Il pessimo metodo
di Sara Troilo

La storia narrata dal film è quella della relazione tra Jung (Michael Fassbender) e Sabina Spielrein (Keira Knightley) che ha come spettatore e giudice Freud (un Viggo Mortensen piuttosto piatto). Ad un certo punto appare anche una macchietta, interpretata da Vincent Cassel: Otto Gross che applica il metodo “governo italiano” alle sue pazienti svelando il meccanismo di transfert e portandolo alle naturali conseguenze (in questo caso non la crisi economica, di quella soffre lo psicoanalista stesso). Il film scorre estremamente lento dopo un exploit iniziale piuttosto forte in cui la Spielrein sciorina a uno Jung - in setting analitico freudiano - le violenze subite dal padre e come queste l’abbiano portata a sviluppare un forte masochismo.

Dopo questa apertura fortemente drammatica il film si sviluppa come un banale film biografico, basato su quel lasso di tempo della vita di Jung che, così ci mostrano, ha sposato una donna ricchissima, intreccia una relazione con la sua paziente Spielrein e approfondisce la conoscenza di Freud che lo invidia all’inverosimile per quanto è ricco. E la noia cala sulla sala, non un guizzo del regista, non un’apertura ad altre dimensioni, si rimane lì bloccati a Zurigo tra parole dette e scritte, incontri tra padri della psicoanalisi tra cui ogni tanto emerge questa tormentata figura femminile che supera la propria nevrosi, si iscrive all’Università e sviluppa teorie proprie poi approfondite da Freud come quella della pulsione di morte.

Questo Jung monodimensionale, con la sua barca, la sua villa, le sue relazioni extraconiugali con pazienti-colleghe, annoia e rasenta la fiction televisiva. Freud invece è ritratto come ossessionato dal denaro, circondato dai figli, ossessionato dai riconoscimenti della società e dell’ambito medico, tanto da bollare come eretico tutto ciò che si discosta dalla psicoanalisi così come l’ha concepita. Otto Gross è presentato come un patetico straccione che rincorre le donne. La Spielrein passa dallo smascellarsi all’accettare il proprio masochismo in un battito di ciglia. No. Questo non è Cronenberg. Mi manca, rivoglio indietro quello vero!
Recensione a favore
La violenza della psicoanalisi
di Keivan Karimi

Provenendo da due thriller di natura prettamente violenta e cruda come History of violence e La promessa dell'assassino, l'autore riscopre una certa sofisticatezza nella regia di questo intreccio, così ben sviluppato ed ambientato con minuzia di particolari spaziali e temporali tra la Svizzera e l'Austria dei primi decenni del XX secolo; non c'è azione, non si sceglie di mettere i personaggi nelle mani dell'ambiguità di un'estetica surreale e crudele, bensì si tratta di un film basato sulla filosofia dei pensieri, è un confronto/scontro fra le due menti più importanti nel campo della moderna psicoanalisi.
L'intento di Cronenberg è di differenziare i caratteri di due studiosi, due uomini accomunati dallo stesso modo di agire nei confronti dei pazienti ma così diversi nell'essenza del loro pensiero e dei propri istinti.

La violenza estetica dell'autore, già presente in suoi capolavori di tutt'altra matrice come Existenz o Crash, si sviluppa non tanto nei rapporti quasi burrascosi tra i personaggi, bensì nelle immagini crude di Sabina, presentata fin dalle prime sequenze del film così turbata nella mente e di conseguenza nel fisico, capace di esprimere una sorta di furia oppressiva nettamente visibile, il punto di partenza di una storia ideologicamente affascinante.

L'analisi, così forte ed ingombrante per le enormi tematiche trovate, porta lo spettatore non tanto a prendere le parti di Freud o Jung, ma a comprendere le distanze ideologiche tra i due, tra il filosofo austriaco così innovatore ma allo stesso tempo fermo sull'idea di non poter cambiare il mondo, mentre il suo comprimario svizzero si dedica anima e corpo al paziente, al soggetto, all'uomo analizzato per essere curato, non soltanto per essere messo di fronte alla dura realtà della vita.
Il film può risultare borioso e poco intrigante per chi ama l'azione, l'effetto speciale, l'emozione visiva, ma esteticamente si tratta di un progetto arduo e ben riuscito, un'analisi dialettica e storica ben consumata, una raffinatezza negli spazi e nei particolari che fa pendant con il vigore delle teorie messe in mostra.
Non sarà un thriller o un poliziesco hollwoodiano, ma A dangerous method merita grande attenzione per la forza emotiva dei suoi contenuti.
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