- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
- Contro Sherlock Holmes a caccia di misogini (la redattrice non ha letto il romanzo)
- A favore Panni sporchi di svastiche (la redattrice ha letto il romanzo)
- Chiara Orlandi Vs. Sara Troilo
- Contro La storia dell'embrione con le unghie e di sua mamma che graffia più di lui
- A favore Quando decidere non è un gioco da ragazzi
- Sara Troilo Vs. Paola Galgani
- Contro Era meglio non spiegare il male puro e semplice
- A favore C è di meglio, cè di peggio provare non costa nulla... solo il costo del biglietto
- Mattia Signorini Vs. Federico Lommi
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Un bacio romantico - My Blueberry Nights
Ring del 30 03 2008
Recensione contro
I mirtilli non dovrebbero suonare il piano
di Antinoo
Il percorso di una ingenua ragazzina attraverso le varie sfumature della distanza che si crea tra due persone. E che la conduce esattamente all'incantato, e stucchevole, punto di partenza.
In un locale super affollato, il figherrimo Jeremy (ovviamente Jude Law), gestore dello stesso, riceve una telefonata particolarmente improbabile: una ragazza gli chiede se il suo uomo è andato lì con un'altra donna. Jeremy, spinto da una gentilezza umana che odora dell'intera Comunione dei Santi, decide di stare al gioco, e cerca di capire mentalmente di chi possa trattarsi basandosi sugli alimenti che mangia di solito, nonostante il campionario che, verosimilmente, attraversa un posto simile. Alla fine dice che sì, l'uomo era lì con una donna. Probabilmente più per saggiarne la reazione che per vera memoria fotografica: e dall'altra parte del filo si interrompe la comunicazione. La ragazza, poco dopo e visibilmente alterata, si presenta al locale: si chiama Elizabeth (una stupefacente Norah Jones) e gli chiede, con violenza, di ridare le chiavi di casa al suo uomo se e quando tornerà. Invece, quasi immediatamente, è lei a tornare, disperata e bisognosa di parlare con qualcuno. Il bellissimo gestore, già conquistato, cerca di rimediare al cuore infranto raccontando infinite storie appartenenti ai numerossimi mazzi di chiavi che conserva in un vaso trasparente. Elizabeth crede di poter trovare la pace in una motivazione valida all'esser stata tradita, e Jeremy gliela dà, a modo suo: molte torte vengono ordinate ogni giorno. Sono tutte ugualmente buone, ma quella di mirtilli rimane spesso intatta. La ragazza decide di assaggiarla: è evidente che l'uomo la paragona ad essa. E dichiara, serissima, di trovarla molto buona. Inizia così una complicità fatta di aneddoti altrui e propri, fette di torta mangiate come si consumano i giorni, e la scoperta che tra i tanti mazzi che compongo la collezione di chiavi c'è anche quello di Jeremy, abbandonato dalla fantomatica Katya (Chan Marshall), una russa volata via dalla sua vita in un battito di aereo.
Elizabeth, nonostante le attenzioni e le lusinghe del nuovo amico, ha bisogno di trovare le proprie gambe per compiere il percorso che la porterà all'elaborazione del suo lutto: decide così di partire all'improvviso, senza una meta ben precisa che non sia se stessa. Il lavoro di cameriera che sceglie per mantenersi, fornendo sempre un'abbreviazione diversa al suo nome completo, le permetterà di esplorare tutta la gamma delle distanze che si possono sperimentare tra due persone, grazie ad una serie di figure che incontrerà strada facendo. Il solitario e alcoolista Arnie (David Strathairn), che poeticamente racconta i suoi fallimenti in forma di gettoni bianchi, distrutto dall'essere stato abbandonato dalla moglie: Sue Lynne (una spettacolosa Rachel Weisz), capace di mozzare il fiato all'intero locale (e alla sala cinematografica) con il suo solo apparire. Poi sarà la volta della dispettosa Leslie (Natalie Portman), con il vizio del gioco, delle bugie e delle auto veloci, anche se mai abbastanza veloci da non avvicinarla a un misterioso uomo di Las Vegas da cui preferisce restare lontana, ma da cui inevitabilmente corre.
Il primo film americano di Wong Kar-Wai parla di questo: la distanza. Il titolo originale My Blueberry Nights (ma come si fa ad adattare un titolo così orrido per renderlo talmente iperglicemico come Un bacio romantico: senza alcun senso per l'intera economia della storia, peraltro) fa riferimento alla torta che Jeremy offre ad Elizabeth, proprio per colmare la distanza tra loro. Distanza che Elizabeth, invece, ricrea velocemente. Riempiendola, però, con cartoline a cui lui non può, evidentemente, rispondere. Distanza resa ancor più evidente dalla didascalia che separa i vari episodi, e che ha come punto di riferimento i chilometri che separano la ragazza da New York, dove tutto comincia. Spunti molto belli. Ed attori realmente strepitosi e ben scelti, tranne forse Jude Law, che nei panni del gestore-scout, tutto preso dal desiderio di sedare le ferite del cuore della giovane a colpi di panna, invece che sdraiarla nel retrobottega come si addice al suo sorriso impertinente, non convince in pieno.
Uno dei problemi del film è la scelta registica di narrazione: l'alternare scene frenetiche, acceleratissime, a rallentamenti non solo visivi ma anche nei dialoghi, in cui a volte per cavare una parola da un personaggio che sta lì lì per dire qualcosa ci vogliono tempi morti che ho trovato, francamente, inutili e troppo caricati, quando la drammaticità del momento era evidente senza bisogno di accessori e ninnoli. E poi l'American Dream on the road, reso in maniera vistissima e poco personale, con qualche evidente riferimento a Thelma & Louise. Ma questi sarebbero anche peccati veniali. La cosa che davvero infastidisce, e affonda l'intero film, è la crescita spirituale di Elizabeth che, dopo aver conosciuto e sperimentato su se stessa, tramite i racconti degli altri, i baratri di solitudine a cui due persone possono avvicinarsi pur stando insieme, e dopo aver percorso chilometri e chilometri lontano dalle consuetudini a cui era abituata, non fa che guardare il mondo con occhi da cerbiatta, sbatticchiare sentenze da prima elementare e, soprattutto, concludere il tutto con una specie di frasetta da annuario dell'asilo del genere "per quanto io abbia visto, sono rimasta me stessa e mi piaccio come sono". Aveva già deciso che la torta di mirtilli era davvero buona, quindi perchè non restarsene a casa?
A nulla valgono i paesaggi urbani ben fotografati, specie le strade dai semafori sospesi, e i già vistissimi scorci del Gran Canyon. A poco servono i ritratti di coppia e di padri e figli se il percorso conduce a tornare esattamente dove si era prima. Alla fine, in considerazione di questo, rimane solo l'impressione che Norah Jones sia molto più brava come attrice che come cantante narcolettica al pianoforte. E questo Mi pare un po' pochino.
Recensione a favore
Irresistibile e stucchevole come una torta ai mirtilli
di Sara Troilo
I primi minuti del nuovo film di Wong Kar Wai sono meglio di una manciata di ore passate in un centro benessere tra massaggi, tisane e bagno turco. Colori caldi su una pellicola che sembra di tessuto, morbida e confortevole, con inquadrature fuorifuoco, giocate sul punto di vista esterno al locale in cui si svolgono quelle prime scene, come se quel bancone dove viene consumata la torta di mirtilli fosse un sancta sanctorum e percio' inviolabile. Durante queste notti, prima concitate e poi sempre piu' intime, trascorse tra torte-metafora e chiavi-reliquie vengono presentati i personaggi perno di My Blueberry Nights: Elizabeth (un'inedita Norah Jones fresca e bambinesca) con il cuore frantumato dall'ex fidanzato che si sta dedicando a un'altra donna e Jeremy (un Jude Law in grande spolvero), inglese approdato a New York che si cura le ferite amorose, inferte anni prima da una russa patita di tramonti, cucinando nel proprio locale. Tra loro la torta di mirtilli richiamata dal titolo originale (e facciamo finta che quello italiano nemmeno esista) emblema di cio' che al mondo c'e' di buono, ma che passa inosservato e la boccia di vetro piena di chiavi dimenticate negli anni dai clienti, custodite con cura e foriere, attraverso i bei racconti di Jeremy, ognuna della propria storia. Il ristorante di Jeremy rivela sin dal principio la propria natura di oasi protetta, luogo senza tempo che offre rifugio alle chiavi, ma soprattutto alla possibilita' che queste aprano di nuovo le serrature per cui sono state costruite e nido della torta di mirtilli che ogni sera rimane intatta, ma che ogni giorno viene cucinata ex-novo perche' deve esserci.
La vera terra delle possibilita', costruita da un inglese in terra statunitense e filmata da Wong Kar Wai come solo lui sa fare, per dirla male. Il chiosco notturno di Hong Kong Express nella sua versione newyorkese, senza ombra di dubbio, per dirla meglio.
A un certo punto pero' Elizabeth decide di lasciare il nido, la ragazza abbandona quelle atmosfere morbide e accoglienti per crescere e per dimostrare a se stessa di essere in grado di saper attraversare prima la strada e poi il Paese da sola, senza lo strazio autoinflitto di spiare l'ex fidanzato insieme alla nuova compagna, ma anche rinunciando al prezioso supporto di Jeremy al quale scrive cartoline senza rivelargli mai il proprio indirizzo. Qui la storia comincia a sapere di gia' visto e gia' sentito e lo zucchero del mirtillo unito a quello del gelato alla vaniglia cominciano a pesare sulle papille gustative. Problema di poco conto pero' dal momento che la mano del regista continua ad accarezzarci gli occhi e ogni tanto arriva ad abbagliarci come fa con l'entrata in scena di Sue Lynn (una magnifica Rachel Weisz), ex moglie del poliziotto Arnie (David Strathairn sempre bravo), alcolizzato romantico che proprio non se ne fa una ragione. Questo secondo momento, pur non essendo all'altezza dell'incipit, irretisce lo spettatore che spesso si ritrova negli occhi curiosi e smarriti di Elizabeth e che nella terza parte del film invece comincia a non crederci piu' tanto.
Il terzo personaggio, Leslie (Natalie Portman che sembra essere ormai immancabile) e' il meno credibile di tutti ed e' quello che, almeno in negativo, regalera' i maggiori insegnamenti alla protagonista oltre ad un'avventura adrenalinica. Di fatto Elizabeth giunge al momento di crescita interiore abbeverandosi alla fonte della banalita', con tanto di chilometri percorsi che non fanno che avvicinarla a New York e ai sentimenti semplici e spontanei, fino al punto in cui davvero lo zucchero della torta diventa stucchevole e l'unica via di scampo sono, di nuovo, le immagini e il tocco del regista.
Il giudizio complessivo sul primo film non orientale del regista di Hong Kong e' comunque ottimo, la trama visiva non e' scalfita affatto da quella del racconto che, come appena detto, pecca di banalita'. Le prove di tutti gli attori sono ottime e la novellina Norah Jones sa concedere il giusto spazio ai colleghi bravi e navigati, cosi' lo stesso Jude Law, che da' vita a un bel personaggio con un look da favola, rimane in secondo piano senza mai essere schiacciato. E tutti i colpi di straccio dati al vetro del bancone e i giochi di sfocature potrebbero durare una vita senza mai sapere di manierismo quanto piuttosto di cifra registica forte. Il tasso di pop di questo My Blueberry Nights e' pari a quello gia' presente nel magnifico Hong Kong Express (che penso restera' sempre il mio preferito) e la colonna sonora di Ry Cooder e' ottima. Il ricorrere del brano di Charlyn "Chan" Marshall aka Cat Power per la quale il regista ritaglia un piccolo ruolo nel film, fa venire voglia di mettersi a fare le fusa in sala mentre il gelato si scioglie e penetra nel mirtillo.
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