- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
- Contro Sherlock Holmes a caccia di misogini (la redattrice non ha letto il romanzo)
- A favore Panni sporchi di svastiche (la redattrice ha letto il romanzo)
- Chiara Orlandi Vs. Sara Troilo
- Contro La storia dell'embrione con le unghie e di sua mamma che graffia più di lui
- A favore Quando decidere non è un gioco da ragazzi
- Sara Troilo Vs. Paola Galgani
- Contro I mirtilli non dovrebbero suonare il piano
- A favore Irresistibile e stucchevole come una torta ai mirtilli
- Antinoo Vs. Sara Troilo
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Recensione contro
The other side of the Story
di Emanuel Perico
"C'era una volta un uomo che , travestitosi da regista, decise di portare sullo schermo una bella fiaba, quella che raccontava ogni sera ai propri figli prima che prendessero sonno". Ed è proprio quello che è successo al pubblico di The Lady in the water: si è addormentato. Questa volta M. Night Shyamalan non ha fatto tutti i compiti. La Disney avrà tirato un respiro di sollievo, visto che ha rischiato di produrlo, ma a seguito di un litigio, il regista ha ben pensato di mollare la Buena Vista e di andare a fare danni alla Warner. Il risultato è una pellicola di rara noia, infarcita in ogni dove di banalità, retorica e vicende sconclusionate. Una ninfa di nome Story (probabilmente la metafora della Storia, che - come il suo personaggio - nella realtà non esiste) interpretata da una Bryce Dallas Howard monoespressiva (ben lungi da Manderlay) piomba nella vita di un custode di condominio, Cleveland (sì
è il nome del personaggio interpretato da Paul Giamatti), sbucando dalla piscina per salvarlo dal trauma della perdita della famiglia ("Benvenuti siòre e siòri alla sagra del cliché, venghino
." Ma uno per soffrire deve per forza perdere moglie e figli?) e aiutarlo a credere di nuovo in sé stesso, negli altri.
A sua volta, però, lui deve aiutare lei a tornarsene nel Mondo Azzurro (ma un nome meno banale no, eh?) da cui proviene, stando attento a non finire preda di creature mostruose che se ne stanno acquattate nell'erba.
Il tutto condito da un corollario di personaggi, a loro modo interessanti e accattivanti (ad esempio il tizio che per qualche assurdo esperimento allena solo la metà destra del corpo o il gruppo di allucinati che passano le giornate parlando di banalità e fumando canapa o ancora l'uomo che vive risolvendo cruciverba) ma con psicologie piatte, solo vagamente abbozzate e che quindi faticano a fare presa sul nostro immaginario impedendoci di affezionarci a loro. Stessa sorte riservata anche ai protagonisti, dalle caratteristiche appena tratteggiate e con i quali risulta proprio difficile identificarsi.
Il plot non sarebbe nemmeno tanto male, ma M. Night Shyamalan si è stranamente dimenticato di dare alla trama un po' di tensione (che non è però il bieco trucchetto di far spuntare all'improvviso dal niente qualche mostro col chiaro intento di farci sobbalzare sulla sedia). Tutto scorre piatto e lineare davanti ai nostri occhi e ogni volta che si pone un quesito, viene risolto esattamente trenta secondi dopo.
E' come se il mago, dopo aver fluttuato nell'aria, ci mostrasse i fili che lo sostenevano.
Quando Cleveland, ad esempio, cerca lumi riguardo alla Narf (la creatura della piscina), la prima persona che incontra (una studentessa cinese) gli rivela per filo e per segno la vicenda della ninfa: ovvero trattasi di una vecchia leggenda orientale che veniva tramandata come favola della buonanotte (ohibò!). Risulta incomprensibile, poi, come al primo accenno del preoccupato guardiano riguardo alla faccenda, tutti gli credano sulla parola e senza il benché minimo dubbio, accettano di aiutarlo in questa bizzarra impresa. In uno slancio di egocentrismo il regista, anziché il solito cameo, si ritaglia una parte a dir poco pretenziosa, ovvero lo scrittore che sarà il prescelto al quale Story dovrà fare una rivelazione: diventerà il padre nientepopòdimeno che di un futuro presidente degli Stati Uniti.
Ironica ma alquanto forzata la figura del critico cinematografico spocchioso e pieno di boria che viene, alla fine, dilaniato dai mostri dell'erba, quasi a voler insinuare che gli addetti ai lavori sono quasi sempre stati impietosi nei confronti dei suoi film e qui li si vuole punire in una sorta di contrappasso dantesco.
Per non parlare del bambino, guarda caso metafora dell'innocenza e quindi capace di vedere le cose con altri occhi (ho un déjà vu chissà come mai?), che codifica i segni leggendo il significato sulle scatole di cereali. A dir poco imbarazzante il passaggio in cui Paul Giamatti deve "ritornare bambino", recuperando l'antica purezza per farsi raccontare il finale della leggenda dalla madre dell'inquilina cinese. E ancora: tutte le persone invitate alla festa finale, da dove sono uscite? E durante il giorno dove se ne stanno?
Il film procede così, inesorabilmente inchiodato su due binari dai quali risulta difficile spostarsi e perciò senza particolari sorprese. D'accordo, stiamo parlando di una fiaba e quindi non tutto può essere verosimile o possibile (e viceversa), ma che fine hanno fatto quei bei racconti da brividi dei nonni che ci facevano rimanere tutta la notte con il lenzuolo tirato sopra la testa?
Manca addirittura il colpo di scena finale, marchio di fabbrica di casa Shyamalan, al quale ci aveva abituati dai tempi de Il Sesto Senso (ma che già da Unbreakable diventa prevedibile e arrivati a The Village sembra quasi fastidioso), e ci rendiamo conto, sentendoci in qualche modo traditi (o peggio, presi in giro), che per tutta la durata del film non è successo assolutamente niente. Si insinua impietoso e logorante il sospetto che il suo primo film sia da attribuire al "Fattore C" e pare quantomeno fuori luogo l'epiteto di "novello Spielberg" con il quale veniva etichettato da qualcuno tempo fa.
Insomma M. Night Shyamalan non riesce a decidere se vuole farci paura, farci ridere o farci commuovere. In una cosa è comunque riuscito: ci ha fatti sbadigliare non poco, e nell'acqua è rimasto solo un gran bel buco. Riprovaci ancora M. Night.
Recensione a favore
Acque profonde
di Nicola Bassano
È prima di tutto un grande narratore, M. Night Shyamalan, regista trentaseienne di origini indiane giunto al suo quinto lungometraggio dopo gli ottimi successi - commerciali e di critica - di Il sesto senso (1999), Unbreakable (2000), Signs (2002) e The village (2004). Anche questa volta, con il film Lady in the water, Shyamalan, non si allontana dai territori a lui più congeniali, architettando una favola dark impreziosita da elementi fantastici, atmosfere inquietanti e riflessioni filosofiche mai scontate. Un marchio di fabbrica che tuttavia rischia, a lungo andare, di far sprofondare il regista nelle pericolose acque dell'autocitazione. La trama prende spunto da una fiaba inventata per le sue piccole figlie - pubblicata anche in un libro illustrato da Mark McCreery - a dimostrazione del fatto che tutto il materiale del film ha avuto una genesi molto spontanea, determinata dalla semplice esigenza di costruire una storia capace di emozionare e spaventare.
Il progetto - inizialmente proposto ai vertici della Disney e immediatamente scartato in quanto non in linea con le direttive artistiche dello studio - passò nelle mani della Warner Bros decisa a investire nella realizzazione della pellicola ben 75 milioni di dollari. Tutto ha inizio quando Cleveland Heep - interpretato dall'ottimo Paul Giamatti (Sideways, Cinderella Man, Il Negoziatore, ecc.) - scopre che in fondo alle acque della piscina del condominio dove lavora come custode si nasconde una ninfa di nome Story. Questa - per il cui ruolo Shyamalan ha voluto riconfermare la protagonista di The Village, Bryce Dallas Howard - è costretta a nascondersi per sfuggire agli "scrunt", mostruose e feroci creature verdastre, decise a impedire il suo ritorno a casa. Story è una "narf", creatura acquatica giunta dal "Blue World" per illuminare interiormente il genere umano, rendendolo consapevole del proprio destino.
A questo punto entrano in scena tutti gli abitanti del condominio che, presa coscienza dell'importanza della missione, si impegneranno per aiutare la ninfa a raggiungere il suo scopo, e per far questo riceveranno da lei poteri speciali. Questo è Shyamalan, prendere o lasciare; i suoi film richiedono un atto di fede e uno sforzo immaginativo importante, rischiando per questo di apparire confusi e pretenziosi. L'universo entro cui muove i suoi personaggi deve la sua forza all'originalità della struttura; originalità mai fine a se stessa e sempre mossa da forti motivazioni didattiche che scorrono sottotraccia. Ciò che più interessa al regista è lanciare dei messaggi utilizzando le armi - o meglio i cliché - del film di genere; messaggi che, come nei lavori precedenti, cercano di stimolare lo spettatore al recupero dell'innocenza perduta. Ancora una volta il meccanismo narrativo è basato sulla metafora come pretesto per parlare di tematiche attuali.
Se in The Village la società sceglieva l'allontanamento volontario per preservarsi dai mali della modernità, ora reagisce compatta perché consapevole della propria forza. Ma se nelle precedenti pellicole il regista ci aveva abituati al colpo di scena finale, qui cerca di concentrarsi maggiormente sulla costruzione dei personaggi, creando un'atmosfera equilibrata, aiutato in questo dall'ottimo montaggio di Barbara Tulliver. L'apparizione di Story, rivoluziona le vite dei protagonisti, li rende finalmente consapevoli del ruolo che hanno nella società, risveglia in loro la volontà di credere fermamente nei propri principi e li spinge a lottare per preservarne il valore. Affrontando le sue paure, l'uomo, prende coscienza dei problemi che affliggono il mondo, diventando così l'unico artefice della propria salvezza. Come direttore della fotografia Shyamalan ha voluto fortemente Christopher Doyle, pupillo di Wong Kar Wai con il quale ha magnificamente collaborato per le pellicole Hong Kong Express e In the mood for love. Dopo una severa bocciatura da parte della critica americana - secondo cui Shyamalan ha oramai perso il suo tocco magico - Lady in the water ha incassato negli Stati Uniti solo 41 milioni di dollari.
A due anni di distanza dalle riflessioni utopistiche di The Village, M. Night Shyamalan porta sullo schermo una favola dal forte impatto emotivo, metaforicamente stratificata e esteticamente impeccabile. Ancora una volta, il regista - supportato da un cast tecnico di primissimo livello - ci regala un film di genere capace di scavare tra le paure più profonde e inquietanti dell'uomo per contrastare la sua progressiva perdita di speranza e d'immaginazione.
I lettori hanno scritto 6 commenti
- indirizzo IP 80.104.90.52
- data e ora Mercoledì 09 Maggio 2007 [22:48]
- commento L'obiettivo del regista era solo di raccontare una favola e dire che le favole possono essere reali.I critici cercano assurde psico interpretazioni e la presunzione se li' mangia(o il mostro?)
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