
Io non ricordavo niente della storia. Anche adesso, dopo aver visto il film, se scavo nella mia memoria non trovo un solo articolo di giornale, non trovo un servizio in tv, non trovo una discussione fra amici, non trovo niente sulla donna serial killer giustiziata negli Stati Uniti. Per me quindi, ed immagino per molti altri, questo film è prima di tutto la scoperta di una storia di cronaca. Certo l'ipocrisia di una nazione, dipinta dalla retorica ufficiale come paladina di libertà e diritti ed in realtà ancora visceralmente preda dei più bassi e biechi istinti di sommaria vendetta, non viene qui narrata per la prima volta. Il cinema americano si è interrogato spesso sull'origine del delitto, del fatto di sangue, su cosa trasformi dalle loro parti così frequentemente un essere umano in una bestia capace di uccidere, in un mostro, appunto. Monster fa la stessa cosa dunque, però la fa prendendo una storia vera, recente, e cercando di raccontarla nel modo più fedele possibile, senza perdersi in enunciati etici, senza mettere abiti bianchi ai buoni e scuri ai cattivi, senza cadere dunque nel solito semplicistico schematismo morale tanto caro all'America dei bravi cittadini. Non ci sono vialetti in Monster, nessuna macchina lucida, nessun canestro appeso sopra al garage, nessun barbecue in giardino, niente dell'America narcotizzata e prigioniera di sé stessa che abbiamo imparato a conoscere. C'è un'America brutta, lurida, puzzolente. C'è una puttana e non somiglia per niente a Pretty Woman. La fedeltà maniacale ai fatti pervade tutto il film fin dalla protagonista. Charlize Theron è il cuore del film, e la sua bravura, forse ancor più enfatizzata dal fatto di essere in verità inattesa, è talmente nitida, netta, palpabile, da lasciare davvero poco spazio alle critiche. Oscar, lodi a Berlino, Golden Globe, tutti premi alla metamorfosi dell'attrice, al suo imparare ad essere un'altra, al suo diventarlo nei gesti, nelle parole, finanche nel corpo. Quanto poco credibile sarebbe stata tutta la pellicola con una ragazza snella, bella, dal sorriso perfetto e bianchissimo, come protagonista? Io non sapevo nulla della storia e dunque non ho idea di come fosse, come parlasse e come si muovesse la vera Aileen Wuornos, ma chi oltreoceano ha avuto modo di fare un confronto fra realtà e interpretazione giura sull'incredibile veridicità di quest'ultima. La Theron può

apparire eccessiva nelle movenze, sgraziata, dura, volgare e squinternata in modo quasi parossistico, ma se questo era il suo personaggio, questa la persona vera che lei doveva interpretare, riprodurre nel modo più fedele possibile nell'ottica dello spirito del film, questa esasperazione è sicuramente da intendersi come un merito, come frutto evidente della sua abilità. Questa mimesi è dunque il fulcro del film e come nella realtà quotidiana ognuno di noi è protagonista assoluto della propria personale esistenza, così tutto il film è centrato sulla figura di Aileen, presente praticamente in ogni inquadratura, con un'insistenza tale da trasformare tutto il resto in fondale lontano e sfocato. Nulla ha importanza se non come parte, più o meno corposa, del naufragio di una donna. La violenza, lo squallore della prostituzione, l'infamia degli uomini, finanche l'amore, tutto sembra parte di una gigantesca trappola, pareti di un invisibile labirinto in cui ogni strada è sbagliata, ed in cui, semplicemente, il destino ha dimenticato di contemplare una via d'uscita. A questo disegno si piega tutto nel film, gli altri personaggi soltanto di contorno, la regia funzionale, asciutta. Del resto in un'opera come questa ogni orpello sarebbe sembrato fuori luogo, perfino i rarissimi sorrisi che l'America, bigotta e razzista senza il coraggio di esserlo per convinzione, buona e giusta ma stranamente con la pistola sempre in pugno, riesce a strappare appaiono del tutto incidentali, proprio come se ci trovassimo in Michigan e ci scoprissimo a sorridere amaramente per qualcosa di consueto per quella realtà e assolutamente pazzesco per noi. Una storia orrenda, realmente orrenda, raccontata con assoluta pervicacia nell'evitare ogni possibile abbellimento. Per una volta che Hollywood ha voglia di raccontare lo schifo che ha sotto casa io non posso che apprezzare.