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Venezia 61 - Di tutto un po'
di francis purocotone
c'è elettricità nell'aria: non so se sia dovuta all'imminenza delle premiazioni o ad una sapiente distribuzione dei generatori, ma c'è.
le voci, sempre più insistenti, candidano per il leone un orientale: pare che il gioco sia tra kim ki-duk e hayao miyazaki. personalmente spero nel secondo, così da potermi gustare "hauro no ugoku shiro" (il castello magico di howl, o qualcosa del genere), inevitabilmente mancato finora.
con un gioco di prestigio sono invece riuscito ad assistere alla prima ufficiale di "eros", l'atteso tris di wong kar wai, soderbergh e antonioni.
ad essere sincero, ero disposto a perdere il secondo espisodio, soprattuttto dopo aver letto sui cartelloni il sottotitolo "da tre grandi maestri del cinema": c'era qualcosa nella numerazione che decisamente mi sfuggiva.
dopo aver proposto il simpatico carosello d'interviste e presentazioni, il rituale non ha più niente di plausibile da frapporre tra gli spettatori e l'inizio del film, deve così esaurirsi rassegnato al magro bottino di soli tre quarti d'ora di ritardo: buio in sala.
i titoli di testa presentano un curioso accoppiamento: disegni di tratto orientale si accompagnano ad una struggente controparte musicale in italiano, tanto per chiarire le cose.
il primo è "la mano", l'episodio cinese, osannato da quanti hanno avuto accesso all'anteprima; grazie ad un flashback iniziale dopo un minuto la trama è chiara, come, credo, la volontà di puntare sul caratteristico e di prendersi moolto sul serio: penombre azzurre e sussurri si susseguono in un crescendo di pathos fino alla chiusura del cerchio e ad un finale magistrale quanto atteso.
tocca a "equilibrium", potrei andare in bagno, ma decido che non sono abbastanza popolare in sala per permettermi un azzardo simile dal centro della fila: l'istinto al lavoro, credo. il secondo episodio infatti è veramente azzeccato: musica giusta, tempi giusti, mai banale, anche nelle citazioni, e decisamente erotico, a modo suo. una piacevole sorpresa.
(applausi in sala)
chiude "il filo pericoloso delle cose" (mi pare; sicuramente c'erano "filo", "pericoloso" e "cose" nel titolo). secondo me il maestro sbaglia una cosa fondamentale: il film è ambientato in una meravigliosa toscana, ma è recitato principalmente in inglese, cosa che da un tocco d'incredibilità al tutto; le attrici si destreggiano anche bene (pure la bellucci in "she hates me" se la cava, tra l'altro), ma l'emozione non viene mai fuori, salvo i (neanche rari) momenti in cui le donzelle si denudano, a liberare tutta la loro pù intima comunicatività.
"eyes wide shut" secondo antonioni, direi.
(applausi e si riaffaccia il rituale)
scappo in sala perla dove danno "come inguaiammo il cinema italiano: la vera storia di franco e ciccio" in cui ciprì e maresco ripartono esattamente da dove avevano lasciato: dalla trinacria cinematografica a franco e ciccio il passo è breve e loro sono fantastici, come i "critici" che interpellano (francesco puma forever).
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