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Venezia 61 - Una giornata
di Francis Purocotone
[Il nostro inviato ci ha comunicato di rifiutare le maiuscole per precisa scelta estetica].
la mostra non piace a nessuno, questo è assodato, eppure deve avere un fascino magnetico: ti aggiri in quei duecento metri in cui il lido si presta, e vedi una risacca di persone trascinarsi fino ai margini del palazzo ed entrare, o ritirarsi in ordine sparso e ingrugnato, respinti da uno dei mille scogli con cui quest'anno la direzione ha seminato l'accesso alle sale.
ti aggiri per il palazzo, e trovi spike lee, nike molleggiate e cappellino d'ordinanza, seduto in terra, schiena contro una parete della sala grande, che scrive trasognato sul suo ibook e ti guarda, mentre tu non lo riconosci, e forse scrive anche di te.
ti aggiri per i sotterranei, e trovi un tarantino (quentin) dallo sguardo inquieto che intesse relazione pubbliche, e lancia di soppiato occhiate languide alla zorzi, la sua sala "privata": corre voce che in un incontro con takashi miike gli abbia affidato la realizzazione di kill bill 3.
e intanto spiega a tutti, dai megaschermi, come con la sua rassegna italian kings of the b's cerchi anche quell'impagabile atmosfera da "drive-in texano" di cui, credo, qui sente la mancanza.
di sicuro non è l'atmosfera del palagalileo, per quanto grottesca: sono entrato a film iniziato, un giapponese di cui non fornirò coordinate precise, e ho preso posto con il balzo del professionista.
doveva trattarsi di roba iperrealista, se esiste il termine, perché non riuscivo a scorgere la minima traccia di disordinarietà nei dialoghi, né interesse sui volti dei miei colleghi, che abbandonavano la nave di minuto in minuto; non ho ingranato, la mia attenzione si concentrava su un pipistrello, la mascotte ufficiosa, che tracciava con le sue evoluzioni la curva della efficienza dell'impianto dolby: magari avessero proiettato the chronicles of riddick.
per un po' ho seguito un dialogo involontariamente comico a base di "ai" (ne ferisce più la lingua che la spada), ma è facile distrarsi in una sala le cui file sono modellate sui sedili posteriori della mini minor: inevitabilmente tendi ad assumere una postura a V che concentra tutto il sangue nella zona pelvica; con la residua lucidità ti domandi se non sarebbe un'idea almeno clamorosa passare alla programmazione di pornografia d'autore.
se poi un coglione risponde al cellulare a voce alta, dopo aver fatto squillare a lungo una suoneria degna del suo proprietario, io esco. è una specie di riflesso: mi alzo (con la disinvoltura del professionista, ma mi alzo) ed esco.
(pausa a base di sviolinate e simpatici ragtime)
rientro per "o quinto império" di manoel de oliveira: il film, lo dico subito a scanso di equivoci, mi ha disorientato.
sembra un'opera teatrale con una scenografia curata nel minimo dettaglio, le varie scene divise da parti musicali, ed è recitato di conseguenza: sul palco si svolge la vicenda del re sebastiano primo (credo) e della sua crisi esistenziale numero uno.
quello che mi ha disorientato è la molteplicità d'interpretazioni possibili (storica, piscologica, politica, altro), meglio non mi saprei spiegare.
chissà cosa aveva in mente il vecchio.
alla fine della proiezione un vento freddo ti spazza i pensieri e ringrazi che almeno uno schermo sia ad immagine fissa: la bionda dea bendata sorride dal cartellone e ti strappa un sospiro alcolico.
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