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Speciale del 09 09 2004

 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

Venezia 61 - Parlare di fantasmi

di Francis Purocotone

[proviamo]

"Mi alzo a fatica: nello specchio, sopra il cranio del veterinario vedo scivolare un viso inumano.
Tra poco me ne andrò al cinema."

Perfetto. Pagina? 36. Ore? 21:36. Perfetto.

Stando al muro del pianto locale (ridateci i nostri soldi), il problema principale della mostra è l'organizzazione, salvo alcune sporadiche quanto demagogiche sbandate verso la scarsa disponibilità delle bellezze in mostra.
Io punterei sulla scomodità congenita: devi farti cacciare da almeno tre posti prima di poterti distendere su qualcosa di morbido a leggere.

Mi alzo a fatica: sotto le chiome del bel mondo in passerella vedo scivolare visi inumani, e mi chiedo come sarebbe lanciarsi dal mio personale palco sopra un pubblico di tale eccezione: mi prenderebbero al volo o mi sacrificherebbero alle loro necessità di compostezza?
Non avrei il tempo per pormi queste domande, ho meno di dieci minuti per materializzarmi in sala.

Il film è "Land of plenty" di Wim Wenders, e l'inizio ti da una conferma a base di notturno metropolitano costellato di luci e dolci riff di chitarra acustica, che ti accompagneranno fino in fondo.
Guardi lo schermo e ti sembra di scorgere le righe nere sopra e sotto, tanto è caratteristico quello che vedi: un'Amelie passata per il Million Dollar Hotel t'introduce ad una storia di paranoie multilivello e ritratti di un mondo (a me) sconosciuto: la favela californiana, the hunger capital.
L'attenzione si alterna tra claustrofobie suburbane e sconfinamenti desertici, tra l'ennesimo ritratto di un'America colpita e gli innumerevoli fantasmi che la popolano. La cosa più strana è che in entrambi i casi hai la sensazione che molte di quelle scene non stonerebbero nel canonico aggiornamento serale sul vicino oriente, che la differenza sia solo nell'approccio o nella necessità, a seconda dei punti di vista.

Curiosamente, di fantasmi parlano (almeno) altri due film di questa mostra, "Binjip" (Iron 3 - Empty House) di Kim Ki-Duk e "Birth" di Jonathan Glazer. Con approcci, risultati e (forse) intenti opposti: delicatissimo, leggero e coinvolgente, nonostante i due protagonisti si scambino una sola battuta in tutto, il primo; prolisso, pesante all'inverosimile e inutile il secondo. La fiaba surclassa il racconto.

Buonanotte.

 
 
 
 
 
 
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