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Festival
Speciale del 28 11 2006
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- molti film in rassegna sono distribuiti dalla
- qualcun altro viene dalla
- Sito ufficiale de Il calamaro e la balena
Prima che scompaiano - Filmmaker, capitolo 11
di Vincenzo Rossini
FILMMAKER, CAPITOLO UNDICI
Bari, 3-9 novembre 2006
A Bari non ci sono molte sale cinematografiche. Le poche attive hanno una programmazione prevedibile e "di massa", e capita spesso che uno stesso film venga replicato in più sale contemporaneamente. Per gli amanti del cinema "altro", non resta che affidarsi a quelle tre o quattro sale d'essai che cercano, faticosamente, di proporre un criterio nella scelta dei film da proiettare che non sia esclusivamente quello del ritorno economico. Tutto ciò in una città di 350.000 abitanti. Ovviamente ne fanno le spese i film a distribuzione più ridotta. Non occorre faticare per vederli. Semplicemente non arrivano. Accade però che ogni anno, in novembre, cinefili scatenati e non si radunano in una di queste sale "differenti" per una rassegna che riesce a fare il pienone di pubblico anche con un film di Gela Babluani (see over for details). La rassegna in questione si chiama Filmmaker, ha una tradizione decennale e ospita una ventina di film, tutti (mal) distribuiti nella stagione precedente e mai arrivati in terra pugliese. Qua e là ci scappa anche qualche anteprima (quest'anno Marie-Antoinette di Sofia Coppola), ma il succo della rassegna è tutto nella scoperta di film altrimenti invisibili, dalle audaci sperimentazioni di autori dai nomi impronunciabili fino alle più "classiche" commedie indie statunitensi.
Questo non è, tuttavia, un articolo sulla rassegna; piuttosto è una "proposta di visione", un elenco di film visti in questi giorni e che in qualche modo mi hanno folgorato. Film da recuperare assolutamente, testimonianze coraggiose di un cinema che ha "l'urgenza di dire cose" e di dirle in modi non convenzionali. Modi che stanno stretti alle larghe logiche delle grandi case di distribuzione e al circuito dei multiplex. È un cinema che può piacere o meno, può ammaliare o ripugnare, ma ha diritto d'esistere così come il pubblico di una città come questa ha il diritto di poter scegliere tra alternative di ogni genere, e non solo tra "Jack Sparrow e il forziere blindato" e "Superman ci prova ancora".
GLI IRRINUNCIABILI:
Il calamaro e la balena di Noah Baumbach (USA, 2005) Lo so, lo so che l'avete visto. Qui però il debutto registico dello sceneggiatore di Wes Anderson (I Tenenbaum) non ha lasciato traccia. Almeno finora. Peccato. Perché si tratta di un gioiellino nascosto dai tagli brutali e i piani-sequenza "al mal di mare" tipici di certo cinema americano targato Sundance. La storia è piuttosto banale: una famiglia si sfascia quando marito e moglie, lui scrittore in declino, lei aspirante e talentuosa giornalista, decidono di separarsi. Che banalità. Già. Per fortuna a Baumbach non interessa raccontare una storia, ma piuttosto penetrare nelle piccole pieghe nascoste dei sentimenti e delle difficoltà quotidiane. Anche qui sembra tutto banale. Ok. Allora aggiungerò che il tono dei dialoghi è quanto di più lontano ci sia dalla retorica e dal prevedibile; una grossa quantità di sarcasmo e di singolare alienazione caratterizza gli incontri e gli scontri tra i membri di questa ex-famiglia, stranezze e paradossi generano sorriso e al contempo nascondono la tragicità degli eventi. Baumbach regista sta addosso ai personaggi senza concedere un attimo di tregua, e riesce anche a dirigere gli attori in modo egregio. Jeff Daniels e Laura Linney, appesantiti e imbruttiti, sembrano essere sempre altrove, come fossero rapiti da pensieri più grandi di loro, pensieri pesanti ed ingestibili, mentre i personaggi dei figli si barcamenano tra le sfide della loro età e i capricci dei genitori con grazia e intensità, senza rinunciare a un gusto umoristico che rende il tutto estremamente piacevole. Il finale è insolito e sottilmente poetico.
13 - Tzameti di Gela Babluani (Georgia, Francia, 2005). Nero potentissimo. La trama la si può leggere da qualche parte, ma ve lo sconsiglio. Non vorrei togliervi il gusto raggelante dello scoprire cosa significa quel numero 13 che porta il nostro protagonista, un manovale nel posto sbagliato al momento sbagliato, a vivere un'esperienza incredibile. Appannato da un bianco e nero livido e cattivo, 13 è un vero grandioso noir come se ne vedono pochi. Lasciate perdere gli autori e le citazioni colte, Tarantino, Leonard, Ellroy eccetera. Qua c'è dell'emozione vera. Distribuito in lingua originale.
Napoleon Dynamite di Jared Hess (2005) Culto assoluto. Un saggio di antropologia sociale sull'essere nerd al giorno d'oggi. Con tanto di citazioni di "storia del nerdismo", dal walkman per le audiocassette alla palla di vetro nel soffitto di una sala dove si celebra il fatidico "ballo scolastico". Napoleon Dynamite è, senza mezzi termini, uno sfigato. Ma lo è in modo quasi eroico, circondato da esseri mostruosi che non hanno nulla da invidiargli in termini di sfiga: il fratello è un trentenne represso che passa ore in chat con la sua fidanzata (che non ha mai visto); lo zio è un esaltato venditore porta a porta di contenitori ermetici di plastica, ed è un vero intralcio alla vita - già complessa - di Napoleon; il migliore amico di Napoleon è un messicano imbambolato che si candida all'elezione di rappresentante degli studenti Il campionario è vasto ed il rischio di cadere nella derisione gratuita è enorme; eppure sta qui la grandezza del film: il giovanissimo Jared Hess riesce a rendere umani questi esseri grotteschi, come fossero degli anti-eroi inconsapevoli, perciò si ride di loro ma contemporaneamente ci si affeziona e ci dispiace delle loro sfighe. Il tutto è diretto in modo impeccabile, con eleganza e dosaggio perfetto degli elementi. Una sorta di Beavis & Butthead con un po' più di cuore. I titoli di testa sono uno spasso.
Le mele di Adamo di Anders Thomas Jensen (Danimarca, 2005). Adam, neonazista recluso, deve scontare il resto della sua pena detentiva in una casa-famiglia, sotto la direzione di Ivan, un pastore singolare ed imprevedibile. La missione di recupero coincide nel trovare un obiettivo da perseguire e lottare per raggiungerlo: nel caso di Adam si tratta di fare una torta con le mele del giardino. Il melo è rigoglioso, ma le insidie sono tante: i corvi, i lombrichi, il maltempo Cosa fare di fronte alle prove che "il diavolo" (o Dio, almeno a quanto dice il film) ci pone davanti? Questo film è esattamente il contrario di quello che sembra raccontandone la trama: una tavoletta edificante è in realtà un affresco grottesco e cinico sull'ambiguità del male, spiazzante nel senso stretto del termine; è sempre difficile prevedere cosa succederà o come si comporteranno i personaggi, e questa imprevedibilità traduce una reale difficoltà dell'uomo a gestire i propri progetti. Troppo complesso per prenderlo sul serio, Le mele di Adamo è anche una divertente commedia surreale con un finale spietato eppure tenerissimo, in cui ci si ritrova a ridere dei fanatismi e delle follie private, demistificando simboli sacri e icone assolutiste: Dio, Hitler, Satana, Maometto e tanti altri ancora. Da vedere assolutamente, anche due volte.
Il tempo che resta di Francois Ozon (Francia, 2005). Prolifico quasi quanto il suo nume tutelare Fassbinder, Ozon ha alternato buoni film a mezzi passi falsi. Il tempo che resta è uno dei suoi lavori più riusciti, perché realmente sensibile e non ingabbiato in una "retorica dei sentimenti trattenuti" piuttosto frequente nel cinema francese contemporaneo. La trama è essenziale: Romain scopre di avere un cancro diffuso che gli lascerà poche settimane di vita. Il classico percorso a ritroso lo porterà a ripensare alla sua vita e a fare scelte radicali. Sembra tutto così banale, eppure il film riesce ad essere toccante, perché Ozon non sfrutta mai il dramma in modo strumentale, per generare una commozione forzata e innaturale, ma al contrario fa compiere al suo personaggio un percorso difficile e non scontato, che porterà a un finale delicato e riconciliante. Parlato sottovoce e lento al punto giusto da sembrare un vero "francese", il film si avvale della performance eccezionale del suo attore protagonista, Melvin Poupaud e di una femme fatale del cinema francese, Jeanne Moreau, invecchiata e fascinosa. Distribuito in lingua originale e (forse) tagliato per quel che riguarda un paio di scene hard.
Oltre a questi «imprescindibili», la cui esistenza mi fa riflettere sui criteri balordi con cui vengono distribuiti i film in Italia, erano in rassegna anche Bombon - El Perro di Carlos Sorin, L'arco di Kim Ki-Duk e Mary di Abel Ferrara, di cui potete già leggere soddisfacenti recensioni su Cineboom. Ho visto anche un mediocre indipendente americano, Hooligans di Leni Alexander, il cui titolo spiega tutto, un film scritto male e dalla morale tristemente ambigua. In rassegna anche Thumbsucker di Mike Mills, La spina del diavolo di Guillermo Del Toro, Shutter di due registi thailandesi dal nome complicatissimo - film sul quale i cinefili si sono scatenati in interpretazioni, dissertazioni e complesse argomentazioni; per finire col documentario Face Addict di Edo Bertoglio sull'artista "malato di volti" sotto la benedizione di Andy Warhol e Basquiat.
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