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Venezia 63 - Un weekend postfascista
di Vincenzo Rossini
Notte del 1.9
Stanco e sfinito da queste prime giornate, mi appresto a una nuova visione. Un film di Paul Verhoeven, cacchio, quello di Basic Instinct, sicuramente ci sarà da divertirsi. Il mio amico insiste per leggermi la trama di questo film dalla nazionalità dubbia (è olandese? Ma lo coproducono praticamente tutti i paesi del Commonwealth ) ma io ribadisco "no, la trama non si legge prima della visione, e poi sarà sicuramente qualcosa di movimentato, divertente, magari un thriller!". Vai a vedere che uno che ha fatto i soldi a Hollywood coi Robocop e Starship Troopers ci rifila una roba in stile muto-asiatico o, peggio, un film sui campi di concentramento. Infatti.
ZWARTBOEK ossia BLACK BOOK di Paul Verhoeven
135 minuti. Ripeto, 135 minuti. Non sono 90 minuti. C'è una donzella ebrea un po' ribelle che si è rifugiata dalla persecuzione presso dei cattolici. Ad un tratto lei esce, va a prendere un po' di sole. Passa un velista, le si avvicina. In quel preciso istante le bombardano la casa dove si rifugiavano. Guarda un po'. Lei scappa col velista, e da lì inizia tutta una sequela di mascheramenti e avventure che la porteranno a diventare una spia della resistenza al nazismo infiltrata presso il governo. Siccome è un film sul nazismo bisogna per forza parlare di orge di partito, di feste dissolute e di parate. E, nel frattempo, occorre anche precisare che in questo film i cattivi sono anche un po' buoni e i buoni possono essere anche cattivi. Ma guarda un po'. La trama si perde in mille episodi, a volte inseriti per il puro gusto di far scorrere il racconto; alle volte, ed è peggio, sfiorano il ridicolo essendo decisamente improbabili - come quando nel finale la giovane, diabetica, riesce ancora una volta a salvarsi da un'iniezione letale di insulina mangiando della cioccolata che, guarda un po', il suo stesso carnefice le aveva offerto cinque minuti prima. Sì, lo so, ho raccontato il finale, ma chi se ne frega, tanto si sa la storia come va a finire. Più che di influenze da action-movie americano, qua siamo in zona «fiction televisiva» sul nazismo & Co.; Verhoeven ha scelto di non dare giudizi assottigliando tutti i personaggi, e facendoli diventare profondi come pozzanghere.
Va a finire che Zwartboek è una catena meccanica di eventi, improbabili e a tratti imbarazzanti - perché indugiare sulla protagonista che, per fingersi ariana, si tinge anche
sì avete capito bene, proprio lì! E soprattutto, perché propinarci 135 minuti di questo polpettone? Peccato, perché il ritmo c'è e non lo si può negare, e persino alcuni effetti speciali non sfigurano accanto ai prodotti medi per la televisione. Ma, appunto, in televisione la serialità prevede la divisione in episodi di durata ridotta, mentre qui, ripeto, abbiamo 135 minuti di materiale. Troppo. Ovviamente applauso scrosciante in sala, dove il pubblico pagante è capace di tributare ovazioni anche alla lista della spesa letta in split screen contemporaneamente da Valeria Marini e Giampiero Mughini. Mah, vediamo un po' domani, se c'è qualcosa di meglio. C'è World Trade Center alle 13.15. No, per carità, anche Oliver Stone
Un film segreto russo? Il mio amico si è offeso, non so se per la proposta o perché ho osato difendere "l'interessante approccio dinamico di Zwartboek alla luce di un punto di vista oggettivo ed esterno che tende a sminuire la rilevanza socio-politica dei personaggi per mettere in risalto il fluire indistinto degli eventi". No, è offeso perché voleva l'autografo da Maria Bello, e lei l'ha snobbato. Maria Bello???
Postilla notturna
Visto stamattina anche un film delle Giornate Degli Autori, tale Falkenberg Farewell di Jesper Ganslandt, che recita pure, un prodotto svedese pieno di mestizia su un gruppo di giovani che ritornano nel loro paese natale e trovano la solita noia e la solita depressione. Ci scappa il suicidio. Bella fotografia, ma che tristezza.
02.09
Oggi è sabato. Cosa vuoi che facciano i veneziani di sabato, viste le poche alternative che la città offre loro? Vanno al festival, ovvio. Ma ci vanno proprio tutti. Il sabato alla Mostra del Cinema è qualcosa che tocca da vicino l'idea di "apocalisse contemporanea". Le code, già considerevoli, diventano pantagrueliche, anche per un film del - fatidico, a questo punto - cinema segreto russo. Del resto le proposte odierne sono allettanti: The Queen di Stephen Frears e Private Fears in Public Places di Alain Resnais, proiezioni da cui il pubblico di accreditati è ovviamente escluso. Tocca ripiegare allora sulle sempre molto disponibili Giornate Degli Autori.
COME L'OMBRA di Marina Spada
Film minimo. In tutti i sensi. Milano. Giovane trentenne impiegata in un'agenzia turistica frequenta un corso di russo e si innamora del professore, un individuo apparentemente rassicurante ma in realtà sospetto che le piazza in casa una cugina ucraina venuta in Italia chissà perché. Il giorno della sua partenza la ragazza scompare e la nostra milanese si mette alla ricerca. Scopre così una serie di bugie, che la ragazza non era una turista ma era in Italia per fare strani traffici, e che il suo professore era meno affidabile di quello che le era sembrato. Ma cosa fare con la sua valigia, piena di soldi ottenuti chissà come? La storia è interessante, perché ci immerge in realtà quotidiane eppure sempre troppo apparentemente distanti da noi, come l'immigrazione clandestina e le difficoltà di integrazione. Marina Spada tiene a freno tutti gli elementi, evitando di cadere in luoghi comuni su stranieri e criminalità. Tuttavia il film è talmente dosato da apparire freddo e tutto è circondato da un'atmosfera di sufficienza generale, non aiutata certo da un paesaggio ostico, una Milano industriale e sbiadita. Poteva dire qualcosa di più il finale, che invece lascia un po' con l'amaro in bocca. Per fortuna c'è una scena di culto: le due ragazze, inizialmente diffidenti l'una dell'altra, vanno in un pub, si ubriacano, e si ritrovano in automobile a cantare "La solitudine" di Laura Pausini in versione italo-ucraina. È sabato, va ricordato. Persino gli omoni della security vorrebbero andare in giro a cazzeggiare, o magari, chissà, a farsi un giro al lido, magari per vedere l'ultimo film di Resnais Invece sono qui, sotto un caldo torrido, a rovistare tra le nostre sacche per scoprire tesori misteriosi, armi nascoste in scatoline portaocchiali, esplosivo liquido dissolto in bottigliette di energizzanti, o magari il Corano nascosto tra le pagine del Ciak in Mostra. E così le loro buone intenzioni, davanti a code chilometriche di gente che, dopo aver pagato l'accredito, pretende pure di voler entrare, diventano insofferenza e, in certi casi, cafoneria. E così l'omone forzuto rivendica la sua virilità nel bloccarmi l'accesso al Palalido per vedere "Bellissime" (i giornalisti presenti potevano essere 80, in una sala da 800 posti) e soddisfatto afferma "IO NON TI FACCIO ENTRARE COMUNQUE, ANCHE SE C'E' SOLO UNA PERSONA IN SALA". Wow. Ovviamente i rifiutati, i rigettati, i reietti si riversano su quelle pochissime proiezioni dove siamo ammessi con priorità - che significa che se io mi faccio una coda di un'ora e poi arriva un giornalista gli ultimi cinque minuti, lui può entrare e io no. Fila mostruosa, quindi. Enorme. Animalesca. Gente che grida "Veltroni, Veltroni!". Già. Sembra che qui all'immagine della Mostra di Venezia non ci tengano proprio, nonostante sia l'anno più critico. Tanto la Rai dice comunque che tutto è bellissimo, tutto funziona alla grande, applausi in sala Persino il muro di Gianni Ippoliti - la bacheca della discordia dove vengono affisse le stroncature ai film - ha perso la sua ferocia iniziale, e qua e là spuntano delle critiche allo stesso giornalista e alla sua invenzione. Ho fatto la coda per entrare a vedere The Hottest State con Ethan Hawke in sala, Paprika con Kon Satoshi in Sala e Offscreen, un film violento e disturbante che mi è stato risparmiato. Ovviamente non ho visto nulla di tutto ciò. Alle 18.45 danno The Hottest State al circo-cinema, e lì qualcuno di noi (ma nemmeno tutti) riesce ad entrare, ma solo dopo essersi accertati che tutti i biglietti vendibili siano stati venduti. Poi potete entrare voi, bestie. E ricordatevi di fare la coda per lasciare la borsa. Ore 19 e qualcosa, con una ventina di minuti sull'orario previsto, comincia The Hottest State.
THE HOTTEST STATE di Ethan Hawke
Arriva puntuale puntuale il film dell'attore che vuole diventare un autore. Hawke ha già scritto due libri e diretto altri film (ma questa cosa l'ho scoperta leggendo il catalogo della Mostra). Per molti (e molte, soprattutto) Ethan Hawke è sempre quello dell'attimo fuggente, o, al massimo, di Prima dell'alba. Che bello, dice qualche scatenata. Mah. Ha i denti storti, e il capello disordinato. Sembra un po' la versione texana di Isabelle Huppert nelle scene madri della Pianista di Haneke. Comunque comincia il film, e subito si sente odore di "Warner Indipendent", il braccio «autonomo» - si fa per dire - della Warner Bros (che però non produce questo film, bensì Infamous). Macchina da presa mossa, perché il cinema indipendente americano si fa così, tanta (buona) musica, e un complesso di Edipo pronto per essere servito insieme al burrito. William conosce Sara, le ronza attorno, perde la testa per lei. Lei esce da una storia con strascichi traumatici. Una sera, si può fare. Lui comincia a farle una corte spietata, lei tentenna. Ah, già che ci siamo, lui vuole fare l'attore, ha avuto una parte in un film da girare in Messico e chiede a lei di accompagnarlo. In Messico, i due scopeggiano allegramente. Un giorno vogliono sposarsi. Lei fa la proposta, poi ritratta. Lo lascia. Lui impazzisce. Le fa serenate sotto la finestra, le manda lunghi messaggi in segreteria, le fa regali. Niente da fare. Lei l'ha usato. Poverino. Siccome bisogna dare una spiegazione psicologica alla Morelli, si capisce che lui non riesce a trattare con le donne perché i genitori hanno divorziato, il padre è scomparso e così via. Edipo, ancora lui. Detto così, il film sembra essere una cazzata. Lo è, infatti. Però è una cazzata godibile, a tratti pericolosamente sulla strada dell'autobiografismo narcisista (tipico degli attori-autori, vedi alla voce Verdone), a tratti molto vicino a un telefilm per adolescenti americano per cui molti di noi hanno sacrificato pomeriggi di studio assistendo ad improbabili conversazioni colte tra improbabili diciottenni alla ricerca di improbabili motivazioni filosofiche per cui andare o non andare a letto. Per chi non avesse capito di che telefilm parlo, potrei aggiungere che in The Hottest State c'è un'epifania di nome Michelle Williams in un ruolo assolutamente irrilevante. Film indipendente carino, di cui non sentivamo la necessità, ma che, onestamente, al termine di una giornata di code vane e in cui l'unico film visto è un omaggio al cinema minimalista à la Giada Colagrande ci può anche stare. Alle 21, c'è un buco enorme nel programma. In sala grande è tutto pieno, se si vuole vedere altro bisogna attendere le 24. No, per carità. È stato un sabato massacrante, pieno di rifiuti e di negazioni, di omoni che si impongono e di imposizioni che si infrangono. Un weekend di follia in cui ho finalmente capito che l'accredito culturale è una panzana, una scusa per sottrarre soldi ai malati di cinema, quelli - poveretti - che non ce la fanno proprio a stare lontani dalle sale, che si fanno centinaia di chilometri per vedere l'ultimo Tsai Ming-Liang o l'ultimo Weerasethakul. Quelli che non contano nulla, perché se ci siamo o no in sala non fa differenza a nessuno, non scriviamo su giornali, non smuoviamo l'opinione pubblica, non distribuiamo il film in nazioni lontane, non mettiamo le stelline su un numero di Ciak, non paghiamo nemmeno (non è vero - paghiamo l'accredito ma nessuno se lo ricorda). L'unico utilizzo che, a volte, possiamo avere, è quello di riempire i posti di una prima col regista e il cast in sala, per evitare che si vedano "buchi". Wow. Che ambizione. Mostra del Cinema, oggi è sabato e, te lo dico in franchezza, mi stai facendo schifo.
I lettori hanno scritto 3 commenti
- indirizzo IP 87.6.188.5
- data e ora Venerdì 15 Settembre 2006 [16:56]
- commento Su marina spada e Paul Verhoven condivido pienamente caro Vincenzo. E non parliamo poi delle frasi tipo "questo cloroformio è scaduto" o "fammi vedere la tua collezione di francobolli"..
- indirizzo IP 87.7.16.137
- data e ora Venerdì 15 Settembre 2006 [20:38]
- commento un tempo sul ciak giornaliero pubblicavano la rubrica "che weirdo dici", ricordi? ci fosse stata anche quest'anno ne avremmo avute di frasi di culto...
- indirizzo IP 87.6.190.91
- data e ora Sabato 16 Settembre 2006 [17:06]
- commento Alcune ce ne erano anche quest'anno ma non abbastanza, ogni anno il giornaliero peggiora. Ricordi l'ultimo giorno, due pag di articolo sulle scarpe degli addetti stampa? brivido..
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