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Speciale del 12 09 2006

 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

Venezia 63 - Difficile platea

di Nicola Bassano

Quelques jours en Septembre di Santiago Amigorena, Zwartboek di Paul Verhoeven, Paprika di Kon Satoshi

Sceneggiatore di successo con più di venti soggetti alle spalle, l'argentino Santiago Amigorena si presenta alla 63^ mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia con un'opera prima convincente, capace di strappare alla "difficile platea" della Sala Grande parecchi minuti di applausi. Costruito attorno a un cast di assoluto livello Quelques jours en Septembre, ambientato nel settembre del 2001, narra la vicenda di Elliot (Nick Nolte), agente della Cia che, venuto a conoscenza di informazioni terrificanti sul futuro scenario politico internazionale - l'attentato alle Torri -, vuole rivedere sua figlia Orlando (Sara Forestier) e il suo figliastro David (Tom Riley) con l'aiuto di un ex agente francese interpretato magnificamente da Juliette Binoche. Il suo desiderio è quello di far incontrare i due ragazzi e nel contempo, grazie alla vendita delle importanti informazioni in suo possesso, lasciar loro un mucchio di soldi. La realizzazione di questo piano è, però, pregiudicata dalla presenza di un killer psicopatico (John Turturro) che ossessionato dalla figura di Elliot, lo insegue per eliminarlo. Ambientato tra Parigi e Venezia il film mette in campo diversi argomenti, tenuti insieme da una sceneggiatura solida e da una regia volutamente discreta. La forte presenza scenica della Binoche, che si è presentata al Lido bionda per l'imminente inizio delle riprese del suo prossimo film - la nuova pellicola di Hou Hsiau Hsiang -, diventa il fulcro attorno cui far girare una vicenda che mescola lo spionaggio al dramma interiore. Orlando e David, l'una francese e l'altro americano, rappresentano con efficacia il sentimento di amore e odio che esiste tra due culture distanti e apparentemente inconciliabili. Il duello dialettico che mettono costantemente in campo parte assumendo i toni violenti dello scontro ideologico per finire con quelli ironici e allusivi della schermaglia amorosa.
Amigorena si affida alla costruzione di personaggi forti e convincenti, capaci di prendere per mano la pellicola. Il regista argentino concentra così la sua attenzione sulla figura dell'assassino, interpretato da Turturro, la cui recitazione risulta però in parte penalizzata da un francese un po' zoppicante. È un personaggio sofferente e tormentato, perennemente in lotta con i suoi demoni interiori, costretto ad affrontare inevitabilmente un destino tragico e doloroso. Un esordio quindi più che positivo per un film che, pur mantenendo i sapori e i colori del cinema d'oltralpe, ci appare in grado di rispondere efficacemente alle richieste e agli stimoli del mercato internazionale.
Non si può dire lo stesso per Zwartboek che, pur trattando anch'esso un argomento delicato, non ha avuto del resto la stessa accoglienza. Provocatorio, revisionista, ambiguo. Il giorno dopo la presentazione al Lido dell'ultima fatica cinematografica di Paul Verhoeven gli aggettivi, infatti, si sono sprecati e il coro unanime dei critici ha sancito in maniera netta la stroncatura del film che prende spunto dalla storia del "libro nero", diario scritto da un avvocato dell'Aja che durante gli ultimi anni di guerra fece da intermediario tra la resistenza e i tedeschi in modo da evitare esecuzioni arbitrarie o attentati. Divulgato negli anni sessanta, il libro innescò molte critiche e dibattiti per i nomi di insospettabili collaborazionisti contenuti in esso. Il regista, ignorando completamente la delicatezza del soggetto, mette in scena la tragica esistenza di una donna - Carice van Houten - che, dopo aver assistito al massacro della propria famiglia in un'imboscata dei nazisti, decide di infiltrarsi nel comando tedesco offrendo il proprio corpo a un ufficiale nemico incontrato sul treno e invaghitosi di lei.
Attraverso un ritmo indiavolato e una crudezza visiva a tratti fastidiosa, il regista olandese ci conduce in un universo stravolto dall'orrore della guerra dove non esistono figure eroiche ma solo uomini che alternano azioni coraggiose a deplorevoli inganni e tradimenti. La visione cupa e iconoclasta di Verhoeven non risparmia neppure la resistenza all'interno della quale individua zone d'ombra che non esita a sviscerare. Tutti questi argomenti non facili vengono spettacolarizzati da una regia che scade spesso nella descrizione troppo stereotipata del male, finendo per disarticolare un impianto filmico che per lunghi tratti appare tuttavia ben strutturato. Il personaggio di Rachel/Ellis è comunque molto ben costruito, anche in virtù dell'ottima interpretazione di Carice van Houten. La sua è un'eroina che non esita a mettersi in gioco, anche compiendo azioni moralmente discutibili, e lo fa senza ripensamenti, cercando tra i confini labili del bene e del male una via di fuga e di salvezza. Un film contraddittorio insomma, che alterna spunti interessanti e riflessioni irritanti, ingenuità narrative e sequenze e inquadrature pienamente riuscite. Arriva invece dal Sol Levante l'opera più particolare della prima settimana della 63^ mostra internazionale d'arte cinematografica. Acclamato da un nutrito gruppo di sostenitori il regista giapponese Kon Satoshi - Millennium Actress e Tokyo Godfathers - porta al Lido un film d'animazione capace d'incantare il pubblico e strappare una standing ovation forse inaspettata. Tratto dai romanzi di fantascienza di Yasuka Tsutsui, Paprika ipotizza un futuro dove grazie a un dispositivo hi-tech è possibile curare pazienti affetti da qualsiasi tipo di nevrosi, semplicemente "visitandone" i sogni. A capo del progetto oltre al dottor Tokita troviamo la psichiatra Atsuko che dovrà indagare sul furto del congegno e evitare che, cadendo in mani sbagliate, possa diventare un'arma pericolosa. Muovendosi tra visioni oniriche affascinanti, il film ci conduce in una dimensione dove sogno e realtà possono influenzarsi reciprocamente e, in alcuni casi, anche confondersi. I toni caldi contribuiscono a enfatizzare le intuizioni grafiche del regista che dimostra qui tutta l'importanza del suo esordio come disegnatore di manga e della gavetta agli ordini di Katsushiro Otomo. Il vero punto di forza della pellicola sta nel giusto equilibrio tra il ritmo forsennato e il potenziale visionario della storia; il tutto condito da una buona dose di erotismo e da una colonna sonora che non è mai invadente o fuori luogo. Da ricordare le inquietanti bambole protagoniste dei sogni dei protagonisti e le loro roboanti parate per le strade della città. Il regista inoltre semina qua e là alcune riflessioni sul cinema visto come passaggio privilegiato da utilizzare per colorare una realtà sempre più asettica e tecnologica con le armi taumaturgiche del sogno. Una bella sorpresa per un'opera che si appresta a vestire gia i panni del cult movie.

 
 
 
 
 
 
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