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Alice incontra Libero
di Alice Trippolini
Libero De Rienzo, il Bart di Santa Maradona, è passato dietro la macchina da presa. Nato a Napoli, ma romano verace, Libero ha firmato una pellicola forte, un po' surreale, anzi molto, che ha scritto assieme all'attrice Regina Orioli. Sangue - la morte non esiste, interpretato da Elio Germano, Emanuela Barilozzi e Luca Lionello, è uscito in Italia in queste settimane, distribuito molto male. Mikado, anche casa produttrice, ha stampato solo 8 copie per tutto il paese. Nonostante questo, le critiche sono positive e l'attore/regista sta girando le città per promuovere il film insieme al cast. Lo abbiamo incontrato a Perugia. Molto emozionato e desideroso di esprimere il suo disappunto.
Come ti sei trovato a dirigere per la prima volta un progetto così azzardato?
Noi, intendo io e le persone che hanno lavorato con me, abbiamo attraversato una specie di notte della creatività. Siamo stati incoscienti, ma non ci siamo limitati: avevamo una possibilità e l'abbiamo sfruttata fino in fondo, creando effetti di ripresa con mezzi di fortuna. Al di là del giudizio di valore, io spero che le persone si rendano conto che abbiamo messo una parte di noi in questo film. Mi piacerebbe che fosse riconosciuto il nostro lavoro. Abbiamo girato a Torino, la fabbrica in cui è ambientato il secondo episodio l'abbiamo allestita da soli, le riprese del rave sono vere. Giravamo in mezzo alla gente, senza fermare nessuno. Pensare che un piano etico possa avere un corrispettivo produttivo ci ha portato a fare cose che non pensavamo sarebbero state possibili, impegnandoci per primi. Anche se molte locations sono saltate, i soldi non ci bastavano mai, siamo andati avanti. Pensavamo a comprare le spade e le armature per l'inseguimento della polizia invece di preoccuparci delle riprese da far saltare. Interi personaggi sono stati cancellati, io ho dovuto improvvisare il mio cameo del ragazzo spagnolo prendendo gli occhiali di una ragazza sul set. Volevo far dire quelle battute e ho dovuto inventarmi la scena del pulmino.
Cosa c'è che non va nel cinema ora?
Se sei fuori dal circuito delle grandi distribuzioni, non puoi girare. Il modo in cui è stato distribuito il nostro film ci deve far pensare. La casa di produzione Mikado, che distribuisce e finanzia il film, ha investito in promozione l'equivalente di una gita scolastica. Sono andati contro i propri interessi solo per fare in modo che non cambiasse nulla nel panorama cinematografico. Il cinema è pericoloso perché fa pensare, quindi va tenuto a freno. In Italia ci siamo inventati il lavoro autoriale, penso a Pasolini, e ora che fine ha fatto? Tutti a investire nei film per la tv. La vita però non è come nei film di Muccino, dove le donne sono tute belle, i mariti fanno tutti i pubblicitari e i problemi sono legati solo al tradimento. Se io mettessi una telecamera nello studio di un produttore sentireste in che modo parlano del pubblico. Gli italiani vogliono solo tette e parolacce. Dato che questi addetti ai lavori scelgono per noi quello che dobbiamo vedere, l'unico modo che abbiamo per fare politica reale è scegliere di consumare solo quello che ci rappresenta di più e lasciar perdere il resto. Il mio film sarà presuntuoso e spigoloso, difficile da mandare giù, ma almeno ho detto qualcosa che mi rappresenta. Il cinema è un biglietto da visita per una civiltà. Pensa se arrivassero gli alieni e dopo 50 anni quello che rimane del nostro cinema è l'archivio di Cinecittà: io mi vergognerei.
Perché dividere il film in tre episodi?
Gli episodi sono diversi tra loro, sia per modalità di ripresa e suono, che per stile narrativo perché si riferiscono a tre universi differenti. La prima parte è il racconto di Stella, la protagonista, una ragazza borghese che ha un rapporto molto forte con il fratello Iuri. Stella è confusa, ma ha tutto, è fortunata: per rappresentarla ho montato l'episodio in stile videoclip. La seconda parte è dedicata a Iuri e parla delle sue paure e di come sia attaccato a Stella: è più sinuosa, il suono è diverso, la pellicola è sgranata e violenta, diciamo che rappresenta un piano più fisico. Nell'epilogo comico i protagonisti si rifugiano in una chiesa. Ho deciso di usare uno stile convenzionale perché si tratta di un episodio più cerebrale.
La musica che ruolo ha nel tuo film?
Il suono non si accorda con l'immagine, ma va dalla parte opposta: abbiamo deciso di usarlo per evidenziare lo stato d'animo del personaggio, piuttosto che per rafforzare l'immagine e l'evento mostrato. Nella prima parte è un suono veloce che ha più una funzione di commento, nella seconda diventa strano, poi sempre più lento. Una specie di percorso di consapevolezza.
Nell'ultima parte scegli di far celebrare una messa al protagonista: scelta forte.
L'ho fatto per esigenze tecniche, mi serviva una platea a cui il personaggio potesse dire tutto quello che pensava. Il fatto che fosse il funerale di un maresciallo mi ha permesso di creare uno scontro fra divise e di mettere il personaggio di fronte a tutte le sue più grandi paure. È soprattutto una scelta ironica, la maggior parte delle scene nel film sono gratuite e le ho messe perché mi piacevano. Il film è molto ironico e surreale, altrimenti sarebbe sopraffatto da se stesso.
Perché Iury dice "La verità è una cosa da ubriachi"?
Quella frase è semplicemente una chiusa, ma trovo che rappresenti molto bene il personaggio. Uno come Iury non può sapere le risposte, non si preoccupa di cercare la verità.
Nel film c'è molto di te?
Si, ho voluto metterci tutto quello che mi rappresenta di più. Ci sono molte citazioni di film che mi hanno colpito e a cui mi sono ispirato, sia nello stile che nei dialoghi. Per esempio, io quando parlo cito in continuazione Hot shots e Hot shots 2 e ho messo questo particolare nei dialoghi tra Iury e Stella. Oppure, quando Iuri descrive Stella parlando con lo spagnolo, ripete una frase di Jean Paul Belmondo in Á bout de souffle di Godard. Oltre a questo, molte cose le ho vissute in prima persona. Rivedendo alcune scene del film provo una strana sensazione, come se qualcuno mi stesse spiando. Purtroppo, il lavoro del regista finisce al montaggio e dopo il film appartiene a tutti, non è più solo mio: chiunque lo vede ci mette qualcosa di sé. I film di Godard ora sono anche miei, dopo averli visti decine di volte. Difficile da accettare, ma è così.
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