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Cortopotere Filmfestival 9 -14 Maggio 2006
di Emanuel Perico
Quest'anno Cortopotere ha raggiunto l'età scolastica: 6 anni infatti sono passati dalla prima edizione del 2000 e tanta acqua è passata sotto i ponti. Ma è comunque acqua fresca, dissetante, rigeneratrice, portatrice di buone novelle. Quello del cortometraggio è un terreno che può essere molto fertile, ma soprattutto è indice di un certo fermento di creatività che ci dà segnali positivi, segnali che i cervelli non stanno dormendo, che qualcosa si muove nel sottobosco e non si vuole fermare ai "natali a miami" né assopirsi sugli allori di "bestie nei cuori". I talenti ci sono, ed è ora che qualcuno se ne accorga e incominci a rischiare un po' di più e ad investire su di loro. Polemica a parte, questa sesta edizione di Cortopotere, si presenta con tanta carne al fuoco. 31 le opere in concorso (selezionate tra le 200 pervenute), organizzate in diverse sezioni: fiction, documentario, ricerca e giovani autori bergamaschi a cui si aggiunge un premio speciale per sceneggiature (ben 70 quelle in concorso); il piatto si arricchisce con sette rassegne da leccarsi i baffi: David Lynch e il suo cinema onirico e surreale, i videoclip musicali di Chris Cunningham, le sperimentazioni espressioniste di Peter Tscherkassky, l'animazione tradizionale di Simone Massi, il cinema antropologico (che getta uno sguardo approfondito sul fenomeno del tarantismo nonchè sui culti e le credenze popolari del profondo sud rurale) e Europe in shorts 11 - Hybridisation of images, ovvero una selezione di cortometraggi provenienti da tutta Europa realizzati mescolando tecnica tradizionale e digitale. Chiude l'elenco Futures, una serie di documentari (6 per l'esattezza) realizzati durante un corso tenuto dall'associazione Lab80.
Il piatto più succulento è rappresentato senz'altro dalla rassegna dedicata a David Lynch, e non possiamo che essere grati agli organizzatori (e chi c'era lo può testimoniare) per averci mostrato autentiche perle di uno dei più importanti autori del cinema contemporaneo statunitense. Abbiamo potuto così godere di alcuni suoi cortometraggi come Six men getting sick, del 1967, primo esperimento di "film painting" ovvero pittura animata, dove il regista mette in scena sei teste collegate ad altrettanti stomaci che, al suono ossessivo di una sirena, iniziano a gonfiarsi mentre le teste vomitano liquido biancastro. Tutto questo in un loop che dura un minuto ma sembra protrarsi all' infinito. Con questa opera Lynch vinse il primo premio del concorso all'Academy Arts of Philadelphia e il denaro ricavato gli diede modo di acquistare una nuova cinepresa per realizzare, l'anno successivo, il suo secondo lavoro, The Alphabet, dove l'incubo di una donna ha la forma di lettere dell'alfabeto che vengono partorite da oggetti organici e riassorbite di nuovo dal suo stesso cranio. Proseguendo in ordine cronologico troviamo un mediometraggio del 1970, The Grandmother: un ragazzino (figlio non desiderato di una coppia non troppo gentile) decide di piantare un seme dal quale nascerà una nonna premurosa e amorevole, che darà al ragazzino l'affetto negatogli dai crudeli genitori. In questo lavoro iniziamo a intravedere i primi indizi di quello che sarà in futuro il cinema di David Lynch: rimandi sessuali, mondi paralleli, uso frenetico di effetti sonori, la disgregazione della famiglia. Qui il regista sovrappone gli attori in carne ed ossa a figure animate utilizzando una tecnica particolare chiamata pixillation. L'effetto stop-motion accostato alla mancanza quasi totale di luce con le figure che emergono dalle tenebre, crea un'atmosfera angosciante e claustrofobica. Tre anni dopo The Grandmother, Lynch confeziona un corto per testare due tipi di pellicola per conto dell'American Film Institute: The Amputee. Inquadratura fissa di una donna senza gambe che fuma e scrive una lettera; sentiamo i suoi pensieri in voice over e nel frattempo entra in scena un dottore (interpretato dallo stesso regista) per medicarle le ferite agli arti inferiori. Ma qualcosa non va e dai monconi inizia a sgorgare sangue accompagnato da gorgoglii e rumori raccapriccianti, ma la donna, impassibile, continua a fumare e scrivere. Lo schermo è come diviso in due: ciò crea uno stato di ansia accentuato dal sonoro della voce che narra di fatti sconosciuti allo spettatore che non sa se seguire la vicenda della lettera o vedere come si concluderà la medicazione. Segue The cowboy and the frenchmen, che fa parte della serie "La Francia vista da ", ovvero cortometraggi di vari registi commissionati dal periodico Figaro Magazine. Si tratta di un lavoro atipico per Lynch in quanto dirige una western comico che sconfina nel surreale, dove si incrociano stereotipi e cliché americani e francesi a ritmo di musica country e cancan dagli effetti esilaranti. Chiude l'elenco dei corti Lumiere, realizzato su commissione per il centenario della nascita del cinema. 40 registi hanno l'opportunità di girare utilizzando le storiche macchine da presa dei fratelli Lumiere rispettando però regole ben precise: solo 3 riprese, luce naturale e divieto di usare suoni in sincrono. Sono 55 secondi di puro delirio Lynchiano: la prima inquadratura vede tre poliziotti che camminano verso il cadavere di una donna steso a terra; poi una seconda figura femminile in un salotto che attende qualcosa; segue una sorta di flashback dove percepiamo strane presenze in un luogo mostruoso, per chiudere di nuovo sui poliziotti che suonano ad una porta, forse per comunicare un fatto terribile, quasi a confermare un fantomatico presagio. Oltre a questi corti troviamo in programma anche il primo lungometraggio di David Lynch, Eraserhead, capolavoro che già conoscevamo, diventato un cult-movie nelle proiezioni di mezzanotte. Il suo stile visionario e onirico qui è espresso ai massimi livelli: figure deformi (una su tutte l'inquietante feto-coniglio), liquidi organici, teatrini surreali, suoni disturbanti, tempi dilatati a cui Lynch ci ha in seguito abituati.
Passando invece ai corti in competizione, sono molti i lavori interessanti: il vincitore per la categoria fiction, Buongiorno diretto dal leccese Melo Prino, (che ha praticamente vinto qualunque festival di cortometraggi del pianeta), ci mostra un uomo che, svegliandosi la mattina, scopre che il suo riflesso nello specchio possiede un'anima propria. Tutto ci appare come un sogno dentro un altro sogno, attraverso il ripetersi quasi ossessivo della stessa scena (strizzando un po' l'occhio a Ricomincio da capo di Harold Ramis). Per quanto riguarda la sezione Ricerca, vince Body Electric #1 di Davide Pepe, rappresentazione del corpo di una donna (la ballerina Miriam King) scosso da sussulti elettrici al limite del contorsionismo, dal montaggio incalzante e un sonoro efficace dal ritmo sincopato. Si aggiudica la categoria Documentari (ma ottiene anche la preferenza del pubblico) Lonco/Chupasesos di Anna Recale Mirando, reportage girato in Cile su due gruppi di alunni appartenenti a contesti sociali opposti: una scuola privata francese della capitale Santiago e un istituto pubblico frequentato da bambini di origine Mapuche, indios della Patagonia e del sud del Cile. Pensieri, aspettative, punti di vista sul mondo e speranze emergono dalle interviste e soprattutto dai due cortometraggi animati realizzati dai ragazzi. Degni di menzione anche Fumo di Ippolito Chiarello, dove un gruppo di musicisti in viaggio si perde in una masseria del sud Italia, in un'atmosfera magica sospesa tra la realtà e il ricordo quantomai reale di uno dei membri della band; in Compito in classe di Daniele Cascella, viene trattato il delicato tema della violenza sui minori; Il dio della pioggia di Angelo Amoroso d'Aragona, nel quale "ogni estate una fanciulla viene chiesta in sposa dal vulcano" in cambio di un' acquazzone che sollevi dalla terribile arsura estiva; accattivante anche Zettelkastchen Cinema - Act 2° un collage di 99 film montato sapientemente dal regista Giacomo Triglia in perfetto stile "Blob", pane per gli affilati denti dei cinefili più incalliti. Un lavoro analogo viene presentato anche nella rassegna Europe in shorts, ovvero Fast Film di Virgil Wildrich che ci catapulta nel magico mondo della celluloide dove vediamo Humphrey Bogart, Cary Grant, Grace Kelly e tutti i nostri beniamini compiere un viaggio allucinante via terra-aria-acqua, tra le pellicole e i personaggi che hanno fatto la storia del cinema. Un lavoro maniacale durato due anni durante i quali sono state assemblate più di 65.000 immagini tratte da 300 film. Il risultato però è strabiliante e ci lascia oltremodo stupefatti. La rassegna di corti europei è un segnale di come, fuori dall'Italia, ci siano molte risorse economiche dedicate ad un certo tipo di cinema, e che la cultura (e chi la produce) viene supportata adeguatamente, tutto a vantaggio della qualità del risultato, e questo, dobbiamo ammetterlo, si vede benissimo, ad esempio, in opere di rara bellezza come Obras di Hendrick Dusollier, un unico piano sequenza nel quale assistiamo a selvagge trasformazioni urbanistiche tra le macerie di edifici demoliti a Barcellona.
Allo stesso modo ci lascia allibiti il lavoro di Peter Tscherkassky, cineasta austriaco che produce filmati non con la cinepresa ma manipolando pellicole già esistenti, in camera oscura. Ciò che ne esce è un prodotto completamente rinnovato sia nell'immagine che nel significato (uno su tutti l' ultimo suo lavoro, Instruction for a light and a sound machine, realizzato partendo da alcune sequenze tratte da Il brutto, il buono e il cattivo di Sergio Leone).
Chris Cunningham, nello spazio dedicato ai videoclip, ci mostra i suoi mondi, a volte magici e misteriosi (Bjork e Madonna), a volte terribilmente inquietanti e disturbanti (Aphex Twin e Leftfield) a conferma di quanto, al giorno d'oggi, i videoclip possano essere un potentissimo mezzo d'espressione nonché un'opportunità concreta, per giovani registi, di emergere e sviluppare le proprie idee, e non soltanto un mero accompagnamento a brani musicali di qualità opinabile.
Un interessante spaccato dell'Italia meridionale ce lo offre la parte di festival dedicata al cinema antropologico, dove le ricerche sul campo di maestri documentaristi (Mingozzi, Di Gianni, Ferrara, Mangini) ci mostrano un Sud magico ed esoterico, ricco di tradizioni e culti pseudo religiosi che ricalcano pratiche arcaiche antiche.
Arricchisce il già pingue menù del festival, una serie di corti animati di Simone Massi (Pittore Aereo, Tengo la posizione, Piccola Mare, Io so chi sono), disegnatore pesarese che propone dei veri e propri lavori di artigianato, suggestivi e poetici, realizzati a mano attraverso l'uso di carboncini, matite colorate e pastelli a cera e nei quali pone al centro dell'attenzione l'uomo e il suo quotidiano.
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