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La ricreazione - Incontro con Emiliano Cribari
di Sara Troilo
Ciao Emiliano, innanzitutto complimenti per la tua carriera, tra scrittura per il cinema e il teatro, regia e poesia, hai ricevuto riconoscimenti consistenti. Giovane e gia impegnato su molti fronti, insomma.
Grazie infinite per i complimenti, che fanno un enorme piacere. Io ho la fortuna di poter fare questo lavoro da tanti anni, e la fortuna - perché io la ritengo tale, ancora - di aver raggiunto sempre pochi risultati: questo mi dà fame e sofferenza, consentendomi di scrivere e progettare incessantemente ventiquattr'ore al giorno.
Riesci a identificare un ambito d'elezione? Un medium col quale ti senti maggiormente a tuo agio. Un'esperienza decisamente divertente?
Sicuramente la poesia. Lo dico sempre: io non riuscirei mai, dal nulla, o peggio ancora su commissione, a scrivere una storia, o a fare una regia (anche se confesso che a brevissimo ho in progetto di provarci, su un testo di Erika Renai). Io ho bisogno di un flash, di un ricordo, di un'epifania. E allora, una volta trovate queste miracolose macerie, costruisco intorno a esse qualcosa: un qualcosa che però non mi interessa più di tanto, o comunque mai quanto quel flash, quel ricordo, quell'epifania. Sarà forse per questo, che amo quasi esclusivamente i registi-autori come Nuti, Moretti e via dicendo. Non potrei fare diversamente, oggi. Quindi: la poesia in funzione del cinema. Io sono così.
Veniamo a La ricreazione. La genesi di questo film qual è? E quali sono stati i principali passaggi che ti hanno portato poi alla distribuzione con Cecchi Gori?
La ricreazione è nato in una pizzeria, grazie all'idea di un carissimo amico, che lavorando come docente nella scuola mi lanciò questa provocazione: un film non sulla scuola - dove già grandi maestri del cinema hanno infatti detto tanto - ma un film ambientato in provincia e incentrato quasi esclusivamente su quei quindici minuti di scuola - la ricreazione, appunto - in cui succede tutto, in cui ogni cosa - anche il vuoto - è spinta al massimo. Inizialmente, lo confesso, doveva trattarsi di un progetto più piccolo, come durata e come ambizioni. C'era indubbiamente la voglia di far bene, chiaro, ma il nome Cecchi Gori sembrava - a noi della produzione - un'utopia bella e buona. Poi... circostanze fortunose, bravura, casualità, qualità e mille altri fattori ci hanno portato un giorno davanti a quel campanello. La "C" e la G" intrecciate. E il viaggio, inaspettatamente, è iniziato.
A cosa si può paragonare la realizzazione di un film dal concepimento al supporto digitale? E c'è stato un momento in cui hai smesso di crederci?
Si può paragonare a un lavoro, a un qualsiasi lavoro - difficile e snervante, ma gratificante - fatto bene. Un lavoro complesso - appunto - che prende il via dall'analisi delle proprie possibilità, e passando attraverso l'arte (il momento della scrittura), la psicologia e la capacità di gestire il cantiere del set (attori, tecnici, burocrazia) arriva fino al marketing puro (il contatto col distributore, la creazione della copertina, la promozione del prodotto-dvd e via dicendo). Certo, io sto parlando di una produzione minuscola come la mia, dove tu sei lo sceneggiatore e il regista ma anche l'ufficio stampa di te stesso. Quanto alla seconda domanda, devo dire che io ogni giorno smetto di crederci e ricomincio a farlo follemente: smetto di crederci quando vado a vedere un gran film al cinema, quando non so fare una carrellata che credevo di saper fare, quando mi accorgo che dinanzi a una battuta comica di un personaggio il pubblico non ride come e quanto vorrei. Ma ricomincio a crederci, subito, quando penso ai risultati ottenuti, alle cose dette, ai passi fatti, all'età - che è dalla mia parte, ancora - e al gruppo di professionisti e amici col quale lavoro. E riprendo a crederci quando mi impossesso nuovamente di me, della mia penna, delle mie idee. Pur non ritenendomi affatto presuntuoso, di me ho infatti molta stima.
Nel tuo film emergono due anime. Una intimista e lirica, l'altra molto giocata sulla gag. Personalmente ho preferito la prima anima che fa da cornice agli eventi che si svolgono all'interno della scuola, l'ho trovata più originale rispetto alla parte scanzonata debitrice alla comicità toscana. Ma vorrei chiederti che cosa ti ha spinto a giocare su due piani di per se antitetici.
Tanti fattori: da una parte i mezzi, sicuramente. Nel senso che non possiedo ancora le qualità per raccontare una storia "classica" dall'inizio alla fine, e devo quindi per forza, volendo lavorare su un minutaggio importante, per così dire sminuzzare la trama, lavorare su episodi, momenti, finestre che si aprono di volta in volta su mondi nuovi, legati da un filo più o meno sottile ai mondi appena lasciati. Dall'altra parte, come dicevo, il mio gusto personale, la mia attitudine al frammento, alla gioia panica di un istante, al mio disinteresse nei confronti della banalità a cui una storia "classica" inevitabilmente, almeno in qualche momento, ti fa scivolare. Sto cercando in sostanza di evitare i "buongiorno", "buonasera", "come stai?": se ho in mente una battuta, voglio iniziare la scena con quella battuta e con quella stessa battuta chiudere la scena. Il prezzo da pagare è l'effetto mosaico che ha il film, certo, ma dall'altra sponda si è sempre davanti a una sceneggiatura nerboruta, che ti tiene in tensione per tutta la durata del film. Comunque, tornando alla domanda principale, anch'io preferisco l'anima lirica del film, rispetto a quella comica. Perchè è ciò da cui vengo, la poesia. Anche se è poi il comico, ciò che alla fine ti paga di più - in termini di plausi - e ciò su cui, probabilmente, investirò di più almeno nell'immediato futuro.
Riguardo al soggetto, invece, l'unità di tempo, luogo e azione delle vicende scolastiche viene interrotta da altri paesaggi e altri toni, come si è già detto. Da un lato l'amore sofferto e idealizzato, dall'altra quello vissuto che si scopre soltanto sul finale. Amore senza dubbio adolescenziale, ammesso che si possa attribuire un'età a un sentimento. Questa scelta non ti ha portato a confrontarti con una cinematografia sterminata? E come hai vissuto questa sfida?
La mia, forse, è stata un'operazione anche un po' furbetta, volendo: cacciandomi infatti tra le braccia di un genere nuovo, etichettato lecosechesodime, ho evitato modelli scomodi, quantomeno relativi alla struttura del film, dovendomi quindi confrontare coi modelli soltanto nel contesto dei singoli momenti del plot narrativo, cioè nelle singole scene. Detto questo, è chiaro che in un momento di pochi mezzi e di poca visibilità come questo, è facile farsi "deprimere" dai modelli: perchè ce ne sono, e tanti. Nuti, Moretti, Muccino, Pieraccioni, Salvatores, Tornatore, Castellitto. I grandi del cinema italiano: l'unico cinema che amo, che concepisco, che studio.
Ora facciamo finta che tu debba instradare lettrici e lettori di Cineboom alla realizzazione di un lungometraggio. Cosa diresti loro? Ti sentiresti di consigliare questa esperienza? E che trucchi vorresti condividere con loro?
Io che consiglio come far cinema a qualcuno mi fa strano... Diciamo semmai che posso consigliare come iniziare a fare questo lavoro: sicuramente, farlo se si ha il bisogno, l'urgenza, la necessità di farlo. Farlo se si è artisti, se si ha un minimo di studio alle spalle, quindi non farlo a caso. Tanto prima o poi viene fuori, se ti prendi - e prendi - in giro. Viene fuori davanti a un foglio da riempire di parole, davanti agli occhi di un attore su un set, davanti alle domande di un distributore piuttosto che di un valido giornalista. Avere quindi cose importanti da dire e almeno un'idea - non necessariamente strepitosa e rivoluzionaria - di come fare a dirle, come procacciarsi i mezzi per dirle e via dicendo. E avere attorno una squadra compatta, che remi tutta nella stessa direzione, affiatata, autocritica, propositiva. Essere democratici ma non troppo. Saper ascoltare bramosi il consiglio dell'ultimo arrivato sul set, sia pure esso un elettricista. Che anzi: ha una visione pura, oggettiva, naturale.
Da La ricreazione a? Progetti per il futuro? Se non sbaglio ora sei impegnato con il teatro, dobbiamo aspettarci altri film firmati da te? Ah, questo è anche un invito ufficiale a tenerci aggiornat*!
Innanzitutto grazie infinite per l'intelligenza delle domande, i complimenti al film e l'invito a continuare il dialogo, che per un artista è cosa fondamentale. Quanto al futuro... il futuro, o almeno un piatto di futuro, è pronto sul piatto: ho infatti da poche settimane finito di girare il mio secondo lungometraggio, che spero possa uscire a breve sempre per la Cecchi Gori. Si intitola Tuttotorna, e - con tutto il rispetto per La ricreazione, film per me fondamentale - siamo qui su un altro livello: altro cast artistico, altra regia, altre professionalità. Sarà un film sorprendente - Tuttotorna - ne sono certo. Girato con gli stessi, irrisori mezzi de La ricreazione, sempre in digitale, ma un film con la "f" maiuscola. Come durata (94 minuti circa), storia (sempre frammentaria ma senza dubbio più organica) e con un digitale nobile, spinto cioè alle sue massime potenzialità.
Un occhio alla settima arte made in Italy. Come vedi il cinema italiano? Mi spiego meglio, hai qualche autore che ti ha ispirato? E un amore folle per qualche film, allargando alla cinematografia mondiale?
Come dicevo, Nuti e poi Moretti. E Muccino, e Pieraccioni, e Salvatores, e Castellitto, e Tornatore. Io il cinema italiano - contrariamente a tutto ciò che si sente dire in giro - lo vedo bene, superiore a qualsiasi altro cinema. Perchè non gira intorno a nulla, il cinema italiano: parla. Senza bisogno di effetti, sparatorie, bombe, viaggi onirici e allucinati nel nulla: racconta, fa ciò che il cinema è chiamato a fare. E lo fa con sceneggiature importanti, e con poco - pochissimo denaro - chiave di volta di tutto: perchè è dalla penuria, che scaturisce l'arte. Un amore folle? Donne con le gonne, Bianca, Come te nessuno mai, Il ciclone, Nuovo cinema paradiso, Non ti muovere.
Per quanto riguarda la critica italiana che è il campo di Cineboom. Da autore, sbilanciati, dai, e dicci che effetto fa leggere una recensione su una propria opera.
Emozione: anche se questa - lo so bene - è una parola di per sé vuota, retorica. Io ho sempre sofferto, e visto soffrire, la poca attenzione: sembrerà una sciocchezza, per chi magari fa un altro mestiere o per chi ha avuto subito successo, ma parlare con un interlocutore che ha speso del tempo per cercare di interpretare e poi commentare una tua opera è quanto di più grande possa chiedere alla vita un artista. In giro c'è troppa poca attenzione, ci sono troppi circoli chiusi dove gli artisti (?) creano soltanto per se stessi, senza guardarsi intorno. Servirebbero meno opere e più occhi attenti a osservarle. Meno libri, meno film, meno pittori, e più cultura di massa. A partire dalla classe politica fino a arrivare alla gente. Ma questa è un'altra storia: un mondo impossibile con l'assenza cronica del quale un artista vero oggi deve fare i conti.
I lettori hanno scritto 7 commenti
- indirizzo IP 80.104.166.171
- data e ora Lunedì 14 Novembre 2005 [16:01]
- commento non siamo severi con questo giovane autore. deve ancora crescere ed affinarsi, ma sprigiona tanta energia e voglia di mettersi alla prova. lasciatevelo dire da chi l'ha conosciuto di persona!
- indirizzo IP 151.42.76.114
- data e ora Sabato 18 Marzo 2006 [1:52]
- commento Cribari ti consiglio solo una cosa: sii meno presuntuoso e lascia giudicare gli altri. E' solo un consiglio. Conta molto anche la simpatia nel porci, quindi sii più umile. Per il resto complimenti.
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