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Venezia 62 - Tutti in trappola
di Alice Trippolini
Impressioni deformate
In questa 62ma Mostra Internazionale d'Arte cinematografica di Venezia siamo tutti intrappolati. Zona rossa, bagaglio aperto, con le guardie che vogliono sapere cosa tieni nella custodia degli occhiali e a cosa serve il cavo per la macchina digitale.
Metal detector dovunque, dove devi passare tre volte al giorno subendo gli stessi controlli, e poliziotti visibilmente annoiati per la nullafacenza che caratterizza la loro giornata. Infatti, tranne un giorno in cui una piccola e simpatica incursione dei No Global cinefili ha smosso un po' le acque e dato da fare alle 400 unità stanziate per la protezione del Lido, qui non c'è niente da fare.
Speriamo non succeda nulla, ma per ora solo bagni di folla per politici, ministri, stilisti e attricette. Già visti Rutelli con una Palombelli abbronzatissima, Buttiglione e le varie giurie delle sezioni minori. A parte il vip watching, l'impressione è tutto sommato positiva, i film sembrano di livello accettabile, soprattutto il film a sette registi All the invisible children e l'austero ma emozionante Good Night, and good luck.
Kitano ha sorpreso con il film autoreferenziale e le sezioni minori offrono documentari degni di note, come Pavee Lackeen di Perry Ogden. Il thriller pauroso con Calista Flockart, Fragile di Jaume Balaguerò, delude un po' alla fine, ma tutto sommato spaventa.
Perchè, nonostante sia incoerente, gli americani continuano a fare horror dove alla fine le bionde si salvano sempre?
Presentato Takeshi's, il nuovo film di Kitano
Questa mattina, nell'affollatissima proiezione del Film Sorpresa, che non era una sorpresa ormai da due giorni, la stampa tutta ha visto la nuova opera dell'acclamato regista Takeshi Kitano. Fa un po' impressione, dopo le proiezioni impossibili di mezzanotte e un quarto che concludono la serata, vedere tanti avvelenati in fila alle nove. Ma per Kitano questo e altro, soprattutto dopo la curiosità sollevata dalla segretezza del progetto, con tanto di minacce di ritiro se fosse trapelata la minima informazione.
Gli applausi sulla fiducia sono iniziati all'apparire del marchio della casa di produzione del regista, la Office Kitano. Applausi scroscianti, che hanno fatto un po' ridere e un po' tenerezza. Qui, al festival di Venezia, un regista giapponese è trattato come un idolo, un amico che non ci può deludere. Al contrario dei registi italiani, quasi sempre preceduti da promesse disattese. Pregiudizi, anche perché alla fine del film gli applausi sono stati molto meno scroscianti. Il film di Kitano, infatti, confonde un po' lo spettatore, essendo una specie di proiezione onirica del mondo di Beat Takeshi. Il regista Kitano si confronta con il personaggio di Beat Takeshi, biondo ossigenato, che ha una dimensione a sé e un mondo tutto suo, con stereotipi e luoghi comuni. Allora, ecco mescolate carneficine, gag comiche, dialoghi surreali, il tutto incentrato sul mondo cinematografico e televisivo di cui il regista è parte. Si vedono set, produttori, amici invidiosi del successo, attricette, mazzi di fiori alla fine delle riprese: tanti particolari che caratterizzano il lavoro di Kitano e che lo hanno fatto diventare Beat takeshi, tanto che in alcuni momenti lo stesso regista non sa più chi è. In conferenza stampa, il regista è apparso biondo, proprio come il Beat Takeshi protagonista dei suoi film.
Inoltre, sorpresa nella sorpresa, gli è stato consegnato un premio creato appositamente per l'evento. Una complicatissima scultura, una specie di vaso, di cui nessuno vede il contenuto, ma all'interno del quale, ha spiegato Muller, c'è l'alter ego del regista. Un omaggio al film, per creare ancora più confusione e incrementare lo spettacolo. Il regista, ironico come sempre, ha risposto ai giornalisti, alcuni entusiasti, alcuni talmente confusi da rimanere in silenzio per non fare brutta figura. In realtà poco si capisce del film, se non che è un'opera surreale e una grande presa in giro del regista verso se stesso e il suo mondo di stereotipi. Kitano ha precisato di essersi spostato, come già in Zatoichi, verso un piano più referenziale, ma di voler cambiare ancora una volta genere. Le sue opere future, ammette, si orienteranno verso temi meno violenti. Per esempio la pace, la bellezza delle donne, ma soprattutto il regista vorrebbe fare qualcosa di comico. Alla domanda su cosa significassero gli spaghetti alla napoletana, che il personaggio chiede in un ristorante, il regista si è fatto una bella risata: "Credevo - ha detto - che si dicesse spaghetti alla napoletana per indicare la pasta".
Recensione: Love
Tra i film usciti a Venezia c'è una sezione particolare che ha offerto alcune opere interessanti, cioé quella delle Giornate degli autori. Tra queste, Love, un film di Vladan Nikolic, certo non da ricordare per originalità, ma per la costruzione di un buon intreccio, a metà tra il noir e il thriller. Il protagonista è Vanja, jugoslavo, che è arrivato negli Stati Uniti per seguire la ragazza con cui ha avuto una relazione. Vanja non sa chi è, non sa se è serbo, musulmano oppure bosniaco.
Sa solo di essersi arruolato nell'esercito, di aver ricevuto due medaglie al valore e di aver creduto di combattere per la parte giusta. Non appena si rende conto di come non ci sia stata una parte giusta nella guerra della Jugoslavia, Vanja se ne va. Negli stati Uniti Vanja è un killer di professione, che uccide per denaro al servizio di piccoli spacciatori, ma che vorrebbe uscire dal giro.
Durante un'operazione, Vanja si ritrova con un cadavere, una valigetta di droga, soldi e la sua ex ragazza medico, che non vedeva da due anni. Da questo episodio parte un percorso a ritroso, dove Vanja ritorna indietro nel tempo e si ritrova a non poter scegliere di avere una vita normale.
Un film sugli extracomunitari che si aggirano per i diversi stati che li ospitano, sempre fuori casa e sempre fuori posto. Vanja è solo un pretesto che il regista usa per raccontare altri personaggi che gravitano nei bassifondi delle metropoli.
C'è Jean, un travestito amico di Vanja che lavora con lui, ma in segreto è innamorato dell'amico, oppure la ragazza francese con cui Vanja esce saltuariamente, viziata e precipitata in un mondo troppo grande per lei. Inoltre, il poliziotto corrotto, l'italiano Menny che fa il gangster per guadagnare il denaro necessario a far operare la moglie.
Tanti piccoli personaggi, stranieri, che fanno il lavoro sporco alle spalle della popolazione visibile e che sono invisibili.
Come Vanja, che alla fine scompare nel nulla fingendo di morire. Per tornare ad una vita a metà, dove si è sempre dei sopravvissuti e mai delle persone in piena regola, con il diritto di vivere.
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