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Incontro con Vittorio Moroni
di Roberta Folatti
Lo incontro mentre sta accompagnando, amorevolmente, su e giù per l'Italia il suo film Tu devi essere il lupo, che dopo un lungo purgatorio distributivo, ha trovato finalmente la via delle sale, anche quelle di provincia. Ma il merito va ascritto a Moroni stesso e ai suoi collaboratori, non a qualche distributore lungimirante, e il successo del film dimostra quanto gli addetti ai lavori nel nostro paese siano spesso scarsamente competenti.
Cominciamo dall'inizio...
Come nasce l'idea di fare cinema in una cittadina di provincia come Sondrio?
E' nata più tardi, quando già facevo l'Università a Milano, studiando filosofia, estetica e storia e critica del cinema. Prima scrivevo racconti ed ero appassionato di fotografia. Fino a diciannove anni ho guardato molti film in videocassetta o in tivù, anche perchè l'offerta cinematografica a Sondrio non era molto variegata.
Il tuo percorso com'è proseguito?
Ho deciso di iscrivermi alla Scuola di cinema di Milano, passando attraverso una selezione potente, prima per entrare e poi da un anno all'altro. Una vera trafila di selezioni, andavano avanti pochissime persone. Dopo il diploma ho cominciato con i corti, ma i miei erano corti a vocazione lunga, considerati sempre come palestra in vista del lungometraggio. Il mio corto Eccesso di zelo è stato premiato al Festival di Nanni Moretti e in altri Festival europei.
In seguito mi sono messo alla prova con un corto completamente privo di dialoghi, La terra vista da Marte, un muto di 33 minuti.
Successivamente ho realizzato parecchi documentari, è una modalità di ricerca che mi interessa molto. Documentario come indagine, anche sulle sceneggiature, sulle tracce del fatto. Un mio soggetto per un documentario, sulla schiavitù contemporanea in Amazzonia, ha vinto il premio Solinas. Attualmente sto lavorando a un documentario narrativo, la storia di un ragazzo bengalese, che vive a Roma da quattro anni, ed è molto inserito, molto occidentalizzato. Ma a un certo punto ha deciso di sposarsi, e lo ha fatto seguendo la tradizione: sua madre gli ha trovato una donna bengalese e il matrimonio si è celebrato là: io c'ero e l'ho filmato. I documentari hanno la bellezza dell'utilizzazione della camera come una penna, è molto diverso dal fare un film, anche con piccolo budget.
Questo genere sta vivendo un momento felice...
Il documentario in Italia continua a vivere una gravissima crisi. La Rai sta tagliando tutti gli spazi, restano solo i documentari sugli animali e quelli tipo Geo&Geo. In effetti in sala si è aperta una piccola finestra su questo genere, ma si tratta prevalentemente di pamphlet, sullo stile tracciato da Micheal Moore. Io preferisco i documentari di osservazione e di indagine, mi viene in mente il francese Essere e Avere.
Che altri film e registi ami?
Amo alcuni registi che fanno un cinema molto diverso da quello che faccio io e che è nelle mie corde. Godard, Angelopulos, Cassavetes, Kiarostami. E altri con cui sento maggior vicinanza di stile: Kieslowsky, i fratelli Dardenne, Atom Egoyan. Tra gli italiani Garrone, Sorrentino, Crialese, che fanno un cinema all'altezza dei loro colleghi internazionali.
Comunque finisco sempre per pensare ai film più che agli autori, amo molto opere come Gruppo di famiglia in un interno di Visconti, Prima della rivoluzione di Bertolucci, La leggenda del santo bevitore di Olmi. E poi Diario di un maestro di Vittorio De Seta, un regista molto moderno, che ha insegnato molto alle generazioni successive di autori.
Come vedi invece la scena del cinema italiano nel suo complesso?
E' un mondo che scarseggia di competenze, molti produttori, distributori ed esercenti non sanno fare il loro mestiere. Le politiche culturali sono veramente scarse. Il pubblico è molto più attento ed aperto, a volte anche più competente, delle persone che decidono cosa proporre. Esercenti e distributori ragionano per meccanismi molto puerili, il mio film è stato giudicato debole, perchè mancavano scene di sesso, di violenza. La reazione del pubblico, quando finalmente siamo riusciti a mostrarglielo, è stata ben diversa.
In Italia c'è una fetta di pubblico molto generoso, che discute, che scrive, che propone riflessioni, che si mette dalla parte del film e lo aiuta a farsi conoscere. Il passaparola col mio film, come con quello di altri registi giovani, ha funzionato molto bene. Ma resta una quota di spettatori a cui le cose non arrivano, gli addetti ai lavori li disabituano alla qualità.
Tu devi essere il lupo ha avuto un percorso un po' travagliato.
Sono passati sette anni da quando è cominciato il lavoro sulla sceneggiatura. Ho avuto i fondi ministeriali grazie all'Articolo 8, ma il budget era basso, poco più di due miliardi, che sono pochissimi soprattutto per girare in Valtellina dove non esistono maestranze specializzate, bisogna tutte portarle da fuori. Una volta girato, nel 2003, credevo che il grosso delle fatiche fosse terminato. Invece il film è stato un anno e mezzo fermo, senza distruibutore, con la sensazione che non fosse a causa di un giudizio puro sul film, ma fosse colpa di una situazione più generale.
Alla fine, abbiamo reagito. In quattro, io, Valentina Carnelutti, una delle interpreti, il cosceneggiatore e l'assistente alla regia, abbiamo iniziato a sondare il terreno per capire quanti soldi servissero per distribuirlo in maniera indipendente. Abbiamo calcolato che, stando bassissimi, servivano almeno 70-80.000 euro (lo stesso budget serve a malapena per organizzare la festa d'uscita di un film hollywoodiano!). Una volta che ci siamo fatti un'idea, abbiamo cercato dei finanziatori e in contemporanea abbiamo "fondato" la Myself, che equivale a dire soldi di tasca nostra. Dopo tutti questi sforzi, disponevamo di otto copie del film e siamo usciti inizialmente in cinque città. La stampa ha reagito da subito favorevolmente e il pubblico ci ha dato un forte incoraggiamento. Siamo stati sei settimane a Roma che non è un risultato da poco, bene anche nelle altre città, ogni volta che volevamo uscire in una città nuova dovevamo spostare le copie. In pratica ho imparato un altro lavoro! Ora tante persone ci chiedono di produrre e distribuire i loro film!
Ora parliamo di Tu devi essere il lupo dal punto di vista artistico, come hai scelto gli attori e soprattutto la giovane Valentina?
L'attore che interpreta Carlo, il padre, l'avevo in mente sin dall'inizio, invece la scelta della madre è avvenuta tardi. Era un personaggio difficile da inventare per degli autori maschi, poi era misterioso, vago. Valentina Carnelutti è stata capace di dare un contributo alla sua definizione.
Per trovare chi interpretasse la giovane Valentina abbiamo setacciato tutte le scuole della Valtellina, vedendo almeno 800 ragazzi. La Merizzi era restia ad accettare, diceva di aver partecipato al provino solo per perdere un'ora di scuola, non le piaceva l'idea di lavorare durante le vacanze. All'inizio eravamo terrorizzati, avevamo paura che mollasse dopo poche riprese visto l'entusiamo scarso con cui partiva. Invece dal primo ciak è stata estremamente professionale, diligente, e la sua interpretazione ha ricevuto diversi premi. Penso che gli attori non professionisti debbano essere molto simili ai propri personaggi per riuscire bene.
Che importanza ha la natura e il tuo essere valtellinese nella ideazione del film?
Io ci tenevo moltissimo a girare in Valtellina, anche perchè conoscevo i luoghi, legati a suggestioni, a cose vissute. E poi trovavo che la natura valtellinese rendesse bene l'idea della protezione e al tempo stesso della gabbia rappresentata dal rapporto fra Valentina e suo padre. In certi momenti le cose vengono dette mostrando semplicemente il paesaggio naturale. Con Tu devi essere il lupo credevo di star facendo un film sulla provincia, sulle relazioni e la società di provincia. Invece questo aspetto è passato un po' in secondo piano, il mio è un film su un incontro interiore.
E' un film molto maturo, avrei giurato che fosse stato girato da una persona più grande.
E' frutto di molte ricerche e la sceneggiatura finita è stata sottoposta al parere e alle impressioni degli attori. C'è stato un lavoro di limatura dei dialoghi in base alla personalità degli attori. Valentina Carnelutti ci ha aiutato molto, è madre di due figlie femmine e quindi aveva una grande esperienza in proposito. Il mio lavoro di documentarista mi è servito per lasciare che la realtà degli attori prendesse un poco il sopravvento sulla rigidità della carta scritta.
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