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Introduzione al cinema di Takashi Miike
di Stefano Tirelli
Il suo modo di lavorare è quantomeno singolare per noi occidentali tanto affezionati all'idea del regista dispotico che pretende di avere l'ultima parola su ogni aspetto del film: Miike preferisce infatti lavorare su idee già esistenti e personalizzarle, piuttosto che cercare di costruire qualcosa partendo da una sua idea. Questo non significa affatto che il suo cinema ne sia privo, anzi, è davvero sbalorditivo come con queste premesse riesca a dare a ogni sua opera un carattere così personale e atipico.
La filosofia che applica al cinema è quella della totale libertà, grazie a un estremo contenimento dei costi di produzione. Credo che la maggior parte dei registi (non solo di Hollywood) non riuscirebbero a capire come possano convivere questi due elementi, ma forse questa frase potrà essere illuminante sul suo significato:
"La maggior parte dei filmmaker giapponesi cerca solo di ottenere un profitto dalla distribuzione del film in Giappone. Per questo ci sono delle durissime restrizioni ai finanziamenti. In sostanza, tutto quello che chiedo è la libertà: resterò entro il budget concesso, quindi lasciatemi fare quello che mi pare".
E sicuramente non si fa alcuno scrupolo nel farlo. Il 1996 è l'anno di Fudoh: The New Generations, che dopo una serie di produzioni minori è il primo film che porta alla luce per la prima volta Takashi Miike come autore per il grande schermo facendo il giro dei festival internazionali. Basato su un manga, questa pellicola può essere benissimo già considerata rappresentativa di molti elementi del cinema di Miike. In questo primo yakuza movie il giovane Riki Fudoh, ancora al liceo, mette in piedi una banda di killer minorenni (vedi il campo d'addestramento di bambini dai 4 ai 6 anni) per prendere il controllo della malavita locale rubandolo al proprio padre. Già quest'opera si distingue per una certa crudezza della immagini, sempre accompagnata da un'ironia dissacrante che sarà un altro dei suoi "marchi di fabbrica". Aspetto ancora più evidente in Full Metal Gokudo (1997), con il grande Tomorowo Taguchi di Tetsuo, anche qui alle prese con un film che tratta di uomini cibernetici unito agli immancabili intrighi di mafia, che cammina spesso sul labile confine tra l'ironico e il ridicolo. Certo, ormai inizierebbe a venire il dubbio che Miike sia un semplice regista di genere yakuza con uno stile particolare, ma ecco nel 1998 il teen movie Andromedia e soprattutto The Bird People in China, un film poetico e introspettivo che narra del viaggio di uno yakuza e di un impiegato che si ritrovano dispersi in una remota regione della Cina, in un villaggio i cui abitanti sono convinti di poter volare con rudimentali ali di legno e grazie agli insegnamenti di una scuola tenuta da una giovane ragazza di cui il protagonista s'innamorerà. In quest'anno appare evidente come anche la regia di Miike abbia fatto passi avanti, emancipandosi definitivamente dallo stile di Fudoh che ancora ricordava vagamente il suo passato nell'home video.
Miike dà la prova di essere in grado di confrontarsi con temi completamente diversi con la stessa creatività e originalità. Benché egli sostenga di fare film per puro diletto e non preoccuparsi mai di ciò che il pubblico si aspetta, non sembra così guardando Audition(1999), che lo consacra definitivamente come uno degli autori di spicco del Giappone contemporaneo, facendo parlare molto di sé e raccogliendo pareri positivi in tutti i festival internazionali. Il film, tratto da un romanzo, parte come un'intima commedia sulla solitudine di un uomo alla ricerca di un nuovo amore e finisce con una mezz'ora di sadismo e violenza che creano una vero e proprio shock nello spettatore per il contrasto con la prima parte. Non solo, ma anche Dead or Alive sembra quasi una dichiarazione d'intenti di volersi prendere gioco del genere yakuza che l'ha portato al successo. Se c'è qualche confine che non è stato ancora valicato, Miike gode nell'andare ancora più oltre, dando allo scontro finale - immancabile cliché di ogni film di mafia che si rispetti - un aspetto veramente fumettistico e caricaturale. A questo film, acclamato internazionalmente, Miike accetterà di dare due pseudo-seguiti (allo stesso modo in cui Tetsuo 2 è un non-seguito del primo). Il primo nel 2000, assieme a City of Lost Souls, un divertentissimo film sugli scontri tra mafia brasiliana e giapponese a Tokio, che mette in risalto un'altra dote di Miike che è quella di riuscire a rappresentare sullo schermo realtà diverse da quella giapponese con un incredibile realismo, piuttosto raro tra i suoi connazionali.
Il 2001 è un anno estremamente prolifico per il cinema di Miike. Otto film, di cui un grande successo al botteghino, Ichi the Killer, con la partecipazione di Shinya Tsukamoto come attore, un vero e proprio mix di violenza, sadismo e immagini veramente shockanti (ne circolano infatti due versioni, di cui una tagliata) tenute insieme da una profonda coerenza artistica e narrativa. Bravissimi tutti gli attori, con i quali Miike ha un rapporto particolare: più che imporre il suo volere dice di lasciare molta libertà interpretativa, cercando di essere piuttosto un direttore d'opera. Ma è anche l'anno di una particolarissima digressione sul tema della famiglia. Visitor Q, girato in digitale, è uno dei film più forti che possiate vedere, la famiglia rappresentata da Miike è allo sbando, disturbata e maniacale, con una madre tossicodipendente che si prostituisce, la figlia che lo fa per mantenersi, un padre giornalista fallito alla ricerca di drammi umani per fare notizia, che ha dimenticato la propria dignità e quella di suo figlio, che sfoga la sua frustrazione picchiando la madre. Visitor Q è forse lo spettatore senza nome che compare nella storia, che riuscirà a risolvere la situazione famigliare nel finale veramente alienante, dove la famiglia ritrova un senso di unità proprio nell'esplicitarsi delle perversioni di ciascuno. Un film che sicuramente può provocare disgusto a tratti (sfido chiunque a non provarlo dinnanzi a un pavimento ricoperto di latte materno e liquidi vaginali) ma nel quale non si può non riconoscere una profonda matrice ispiratrice, che dà spunto a numerose riflessioni non solo sulla famiglia, ma anche sulla spettacolarizzazione delle tragedie umane. Ma le sorprese dell'anno non sono finite: Happiness of the Katakuris è infatti un approccio alla famiglia completamente diverso. Questa volta il genere con cui Miike decide di giocare è il musical, pretesto per dipingere la ricerca della felicità della famiglia Katakuri. Credo che chiunque vedesse questi due film uno dopo l'altro non potrebbe credere che si tratta dello stesso regista. Se ancora aveste dei dubbi sulla versatilità di questo autore, ecco nel 2002 Kumamoto Monogatari, un film in costume dall'aria teatrale, che narra la storia di Kumamoto, regione del Giappone di cui la famiglia di Miike è originaria.
Spero di aver ormai reso l'idea che abbiamo di fronte un fenomeno unico nel cinema contemporaneo orientale e non. Alcuni hanno paragonato Miike a David Cronenberg, con cui ha in comune il voler fare film sempre fuori dalla norma, ma il regista non è molto d'accordo, inoltre deve probabilmente fare qualche passo avanti prima di raggiungere la ricercatezza di Cronenberg, ma non credo nemmeno che abbia molta voglia di farlo. Miike fa un cinema personale, principalmente per divertirsi in modo dissacrante e a volte è difficile non pensare ai Monty Python, come nelle scene di animazione a passo uno di Happiness of the Katakuris. Tuttavia, non corriamo nemmeno l'errore di etichettare Miike come un fenomeno "di genere": è nei film più introspettivi come The Bird People in China (che tra l'altro rimane la sua unica sceneggiatura originale) e Ley Lines (1999) che si nota come il regista abbia qualcosa da dire sia a livello di tematiche che a livello registico, regalando spesso piani sequenza creativi e una fotografia di tutto rispetto.
Purtroppo o per fortuna, il fenomeno Miike non è ancora stato scoperto dal grande mercato cinematografico. Tuttavia, sembra che il suo ultimo film Chakushin Ari (You've Got a Call) verrà distribuito nei circuiti dei grandi schermi di tutto il mondo, anche se probabilmente con i tempi biblici delle produzioni fuori dal mainstream. Nel frattempo, se volete approfondire l'argomento seguite i link riportati e soprattutto tenete d'occhio le videoteche più fornite della vostra zona, con un po' di fortuna riuscirete a reperire almeno i bellissimi Audition e Ichi the Killer; molti DVD sono poi disponibili d'importazione attraverso internet. Poi, chissà, un domani dire Miike sarà come dire Kitano, con la differenza che ogni anno ci saranno 3 o 4 suoi film da vedere.
I lettori hanno scritto 6 commenti
- commento Complimenti all'autore. Non facile parlare in italiano del cinema giapponese.
- commento Visto Audition: devo dire che l'inversione netta tra il finale a effetto e la prima (e forse troppo lunga e lenta) parte del film è inaspettata e degna di nota. La trama è ben costruita e stimola a
- commento una riflessione e messa in discussione della prima interpretazione che si da al film. Aspetto di vedere altre opere per un giudizio sul regista.
- indirizzo IP 62.110.10.163
- data e ora Venerdì 04 Novembre 2005 [10:25]
- commento Visto anche Gozu... Mah! Ad un primo impatto lascia un po' interdetti: la rilettura e...demitizzazione? della Yakuza sembra tingersi pericolosamente di non senso. In profondità, però, mi è sembrato
- indirizzo IP 62.110.10.163
- data e ora Venerdì 04 Novembre 2005 [10:36]
- commento di cogliere un preciso percorso di Miike. Il fatto che la narrazione avvenga attraverso simboli e allegorie rende assai arduo avvicinarsi ad esso, però. Da rivedere e meditare.
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