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MEDFILM festival: Roma al centro della cinematografia del mediterraneo
- tipo Festival
- Michela Albanese
15 11 2011
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02 11 2013
Speciale pubblicato il 12 11 2004
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MedFilm Festival '04 - Terza giornata
di Laura De Gregorio
La parte centrale della serata di ieri al Capranica era dedicata al cinema iraniano con due opere del 2003 proiettate di seguito. La prima è Dreams of Dust per la Rassegna Euromediterraneo, della regista Sepideh Farsi, produzione iraniana-francese. Più che una storia sembra un poema per immagini, i dialoghi sono scarni e misteriosi. I tre protagonisti, un camionista, una giovane vedova e un piccolo figlio della strada non sono figure reali ma simboliche, sono archetipi dell'Uomo, la Donna, il Bambino. Quando le loro storie si incontrano a causa dell'incidente fatale che vede fianco a fianco la donna e il bambino e che coinvolge anche l'uomo dal momento in cui li ospiterà sul suo camion, comincerà un lungo viaggio attraverso l'Iran. Dreams of Dust è il racconto di questo viaggio e della casuale combinazione per cui tre persone sostanzialmente estranee si ritrovano all'improvviso insieme, condividendo lo spazio stretto dell'abitacolo di un automezzo e dormendo nel retro.
Ma il film non è né un reportage sull'Iran né l'evoluzione di una convivenza fortuita perché, e vale la pena ripeterlo, non c'è azione drammatica ma solo la libera successione di stati d'animo, desideri, ricordi, sogni. Soprattutto sogni: si guarda il film come se si fosse in fase REM, la proiezione cinematografica diventa psicoanalitica, la visione è puramente onirica. Le fila della trama in senso stretto sono i fili sottili della trama intessuta sul velo di lei, se provi a toccarla ti rimane impigliata tra le dita, è talmente delicata che rischi di sfilacciarla, puoi solo lasciarti sfiorare dalla sua seta liscia. Il contro solo allora può rovesciarsi in pro e Dreams of Dust ti apre al puro piacere della visione, all'incanto della bellezza, quella del paesaggio anzitutto, preponderante cornice, quasi personaggio esso stesso che come tale cambia continuamente espressione: le aspre, sconfinate spianate del deserto si addolciscono sulle acque calme del Mar Caspio.
Il viaggio ha portato fin qui, il camion è approdato in riva alla spiaggia, la finestra di una piccola casa si tuffa nel blu intenso del mare. Resta un barattolo aperto al vento, che è come il messaggio nella bottiglia consegnato alle onde: dentro ci sono i tesori nascosti dell'anima, di tre anime che vagano ciascuna nel proprio mondo e fluttuano tra flussi di coscienza. In tal senso è estremamente difficile trovare i nessi causali dell'intreccio perché è cinema pienamente iraniano con i suoi lunghissimi silenzi.
Di tutt'altra specie è il secondo film iraniano in programma ieri, Silence between two thoughts, anch'esso presente nella Rassegna Euromediterraneo. Non è la prima volta che Babak Payami partecipa ad un festiva italiano: nel 2000 ha portato il suo Un giorno in più al Festival di Torino nella sezione Lungometraggi In Concorso, nel 2001 si è aggiudicato alla Mostra Cinematografica di Venezia il Leone d'Argento per la regia di Il voto è segreto e nel 2003, nella sezione Controcorrente, è tornato al Lido proprio con Silence between two thoughts. In questa occasione ha realizzato una versione speciale del film che merita qualche cenno in più: i negativi sono stati confiscati dalle autorità iraniane e, come si legge nel comunicato stampa che è stato distribuito ieri in sala, non si sa bene perché né se né quando saranno disponibili. Come ha illustrato il montatore del film che ieri ha presentato la proiezione, Babak Karimi, si è trattato di un lavoro di vera e propria ricostruzione, coadiuvato dal montatore Pasquale Scimeca e dall'Istituto Luce che farà uscire il film in Italia nel 2005, avvalendosi soltanto del telecinema. Si spiega così perché in più di un caso assistiamo al montaggio di inquadrature con il timecode sul bordo sottostante. A quel punto la domanda era lecita: perché l'intervento così duro e repentino della censura? Babak Karimi non ha saputo darmi una risposta semplicemente perché non c'è: gli organi statali sono intervenuti per sentito dire, forse perchè si intaccava in qualche modo la reputazione dell'Iran e dei musulmani.
Sorprende ancor di più perché, come ha evidenziato ancora Karimi, il film è stilizzato, la scenografia sembra uno sfondo teatrale e anche gli elementi più scabrosi non sono espressamente mostrati. Nondimeno, Silence between two thoughts racconta esplicitamente una storia vera e frequente in Iran, quella di un talebano obbligato dal capo tribù a sposare una giovane condannata a morte. I carceri iraniani, ha proseguito Karimi, sono pieni di storie così, le donne vengono uccise all'alba del giorno seguente alle nozze per le medesime ragioni espresse all'inizio del film: la religione vuole che le vergini vadano in paradiso e invece queste donne sono destinate all'inferno per i reati che hanno commesso. Il regista ha dichiarato in proposito che non ha volutamente spiegato la natura del crimine perché ancor prima delle consuetudini religiose sono le ragioni sessuali che fanno dell'essere donna la principale colpa di una donna iraniana. Ma quella femminile, pur indispensabile e ben centrata, non è l'esclusiva prospettiva della storia. Silence between two thoughts è appunto il silenzio nell'intervallo di tempo tra un pensiero e l'altro, il solitario e sofferto silenzio di un uomo davanti a due pensieri, il codice talebano da un lato e la sua messa in discussione dall'altra. È il calvario di una prigioniera e del suo carceriere, della vittima e del boia diventati marito e moglie. I due punti di vista non si incontrano mai tranne in qualche intenso sguardo tra i due, che forse vorrebbero avvicinarsi ma sanno che i loro ruoli sono antagonisti. Non così tanto in fondo: si prova una grande pena anche per lui perché il carnefice è sostanzialmente una vittima e come lei è prigioniero del fondamentalismo religioso. Il regista ne aveva parlato già a Venezia: "E' un tema antico come l'uomo. Satana ci lavorava anche nei Giardini dell'Eden".
Il suo giovane militante talebano in preda ai dubbi di una scelta inumana stavolta combatte da solo, stavolta non può vincere. Silence between two thoughts comincia come finisce. I drammi individuali si perdono nella violenza collettiva, il capo tribù contro il moezin, i padri contro i figli, i talebani contro la loro stessa gente, tutti contro tutti. Una microstoria diventa l'emblema di una realtà diffusa, dove i più sono schiacciati dai pochi come fossero le gigantesche montagne che gravano sul villaggio, parte attiva nel film. Esclusa la protagonista, Maryam Moghaddam che è una tra le più conosciute attrici iraniane, gli attori sono tutti non professionisti. Significativo dettaglio è che Payami ha vissuto per mesi con la gente del luogo perché, avendo bisogno di molte donne per il suo film, si è dovuto guadagnare la loro fiducia. Un'altra curiosità sul film è che il set è stato costruito con tecniche che risalgono a 2000 anni fa. Compromettendosi in prima persona (si è indebitato per produrlo) e con la volontà di denunciare la questione femminile nella più ampia oppressione sociale in Iran, Payami ha fatto di Silence between two thoughts un film di grande impegno civile che si colloca a pieno titolo in questo festival. D'altronde, come ha concluso Karimi, ci sono tanti film iraniani di cui è auspicabile la visibilità per ragioni che esulano da quelle prettamente cinematografiche. A domani!
Ma il film non è né un reportage sull'Iran né l'evoluzione di una convivenza fortuita perché, e vale la pena ripeterlo, non c'è azione drammatica ma solo la libera successione di stati d'animo, desideri, ricordi, sogni. Soprattutto sogni: si guarda il film come se si fosse in fase REM, la proiezione cinematografica diventa psicoanalitica, la visione è puramente onirica. Le fila della trama in senso stretto sono i fili sottili della trama intessuta sul velo di lei, se provi a toccarla ti rimane impigliata tra le dita, è talmente delicata che rischi di sfilacciarla, puoi solo lasciarti sfiorare dalla sua seta liscia. Il contro solo allora può rovesciarsi in pro e Dreams of Dust ti apre al puro piacere della visione, all'incanto della bellezza, quella del paesaggio anzitutto, preponderante cornice, quasi personaggio esso stesso che come tale cambia continuamente espressione: le aspre, sconfinate spianate del deserto si addolciscono sulle acque calme del Mar Caspio.
Il viaggio ha portato fin qui, il camion è approdato in riva alla spiaggia, la finestra di una piccola casa si tuffa nel blu intenso del mare. Resta un barattolo aperto al vento, che è come il messaggio nella bottiglia consegnato alle onde: dentro ci sono i tesori nascosti dell'anima, di tre anime che vagano ciascuna nel proprio mondo e fluttuano tra flussi di coscienza. In tal senso è estremamente difficile trovare i nessi causali dell'intreccio perché è cinema pienamente iraniano con i suoi lunghissimi silenzi.
Di tutt'altra specie è il secondo film iraniano in programma ieri, Silence between two thoughts, anch'esso presente nella Rassegna Euromediterraneo. Non è la prima volta che Babak Payami partecipa ad un festiva italiano: nel 2000 ha portato il suo Un giorno in più al Festival di Torino nella sezione Lungometraggi In Concorso, nel 2001 si è aggiudicato alla Mostra Cinematografica di Venezia il Leone d'Argento per la regia di Il voto è segreto e nel 2003, nella sezione Controcorrente, è tornato al Lido proprio con Silence between two thoughts. In questa occasione ha realizzato una versione speciale del film che merita qualche cenno in più: i negativi sono stati confiscati dalle autorità iraniane e, come si legge nel comunicato stampa che è stato distribuito ieri in sala, non si sa bene perché né se né quando saranno disponibili. Come ha illustrato il montatore del film che ieri ha presentato la proiezione, Babak Karimi, si è trattato di un lavoro di vera e propria ricostruzione, coadiuvato dal montatore Pasquale Scimeca e dall'Istituto Luce che farà uscire il film in Italia nel 2005, avvalendosi soltanto del telecinema. Si spiega così perché in più di un caso assistiamo al montaggio di inquadrature con il timecode sul bordo sottostante. A quel punto la domanda era lecita: perché l'intervento così duro e repentino della censura? Babak Karimi non ha saputo darmi una risposta semplicemente perché non c'è: gli organi statali sono intervenuti per sentito dire, forse perchè si intaccava in qualche modo la reputazione dell'Iran e dei musulmani.
Sorprende ancor di più perché, come ha evidenziato ancora Karimi, il film è stilizzato, la scenografia sembra uno sfondo teatrale e anche gli elementi più scabrosi non sono espressamente mostrati. Nondimeno, Silence between two thoughts racconta esplicitamente una storia vera e frequente in Iran, quella di un talebano obbligato dal capo tribù a sposare una giovane condannata a morte. I carceri iraniani, ha proseguito Karimi, sono pieni di storie così, le donne vengono uccise all'alba del giorno seguente alle nozze per le medesime ragioni espresse all'inizio del film: la religione vuole che le vergini vadano in paradiso e invece queste donne sono destinate all'inferno per i reati che hanno commesso. Il regista ha dichiarato in proposito che non ha volutamente spiegato la natura del crimine perché ancor prima delle consuetudini religiose sono le ragioni sessuali che fanno dell'essere donna la principale colpa di una donna iraniana. Ma quella femminile, pur indispensabile e ben centrata, non è l'esclusiva prospettiva della storia. Silence between two thoughts è appunto il silenzio nell'intervallo di tempo tra un pensiero e l'altro, il solitario e sofferto silenzio di un uomo davanti a due pensieri, il codice talebano da un lato e la sua messa in discussione dall'altra. È il calvario di una prigioniera e del suo carceriere, della vittima e del boia diventati marito e moglie. I due punti di vista non si incontrano mai tranne in qualche intenso sguardo tra i due, che forse vorrebbero avvicinarsi ma sanno che i loro ruoli sono antagonisti. Non così tanto in fondo: si prova una grande pena anche per lui perché il carnefice è sostanzialmente una vittima e come lei è prigioniero del fondamentalismo religioso. Il regista ne aveva parlato già a Venezia: "E' un tema antico come l'uomo. Satana ci lavorava anche nei Giardini dell'Eden".
Il suo giovane militante talebano in preda ai dubbi di una scelta inumana stavolta combatte da solo, stavolta non può vincere. Silence between two thoughts comincia come finisce. I drammi individuali si perdono nella violenza collettiva, il capo tribù contro il moezin, i padri contro i figli, i talebani contro la loro stessa gente, tutti contro tutti. Una microstoria diventa l'emblema di una realtà diffusa, dove i più sono schiacciati dai pochi come fossero le gigantesche montagne che gravano sul villaggio, parte attiva nel film. Esclusa la protagonista, Maryam Moghaddam che è una tra le più conosciute attrici iraniane, gli attori sono tutti non professionisti. Significativo dettaglio è che Payami ha vissuto per mesi con la gente del luogo perché, avendo bisogno di molte donne per il suo film, si è dovuto guadagnare la loro fiducia. Un'altra curiosità sul film è che il set è stato costruito con tecniche che risalgono a 2000 anni fa. Compromettendosi in prima persona (si è indebitato per produrlo) e con la volontà di denunciare la questione femminile nella più ampia oppressione sociale in Iran, Payami ha fatto di Silence between two thoughts un film di grande impegno civile che si colloca a pieno titolo in questo festival. D'altronde, come ha concluso Karimi, ci sono tanti film iraniani di cui è auspicabile la visibilità per ragioni che esulano da quelle prettamente cinematografiche. A domani!
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