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Venezia 61 - Delusioni
di francis purocotone
non era andata male finora, ma il finale...
fuori dal palazzo inizia la smobilitazione: cavi serpeggiano tra i piedi della gente, rientrano nelle tane; invidiosi i leoni, dopo undici giorni di scherni hanno perso molta della loro iniziale brillantezza, somigliano a quello ingabbiato e triste della sigla, quello che ha strappato un "che brutto!" semigridato ad un'ipersensibile spettatrice.
dal cartellone ormai opaco la dea bendata sembra aver realizzato che scoprire la differenza non valeva poi così la pena, o almeno l'espressione è quella (bagnoli suona decisamente più appropriato ora). nemmeno sull'accogliente stand della stella artois si può più fare conto: tossisce le ultime tre bottiglie e si congeda, abbassando le sue cerate bianche agitate dal vento.
... è stato un brutto colpo.
i vincitori non li ripeto, tanto li conoscevano tutti già l'11 mattina, preferisco un personale elenco di coloro che non hanno vinto (il mio rammarico, come detto, è assolutamente interessato):
per venezia 61 "il castello magico di howl" (miyazaki), per gli orizzonti "vital" (tsukamoto) e "izo" (miike).
a questi aggiungo altri due che mi hanno conquistato con il semplice titolo e che non avrei voluto perdere: "killer shrimps" di piero golia e "darwin's nightmare" di hubert sauper.
non ha vinto nemmeno "le chiavi di casa" (amelio), candidatura strategica, ma su questo non ho nulla da obbiettare, malgrado non l'abbia visto, difatti il problema principale del mio rapporto con il cinema italiano contemporaneo sono i titoli: non saprei trovare un filo conduttore vero e proprio, ma normalmente vi si sente l'eco di un approccio che mi mette i brividi e spazza la mia resistenza al pregiudizio. e così passo.
come garbato segno di protesta diserto le proiezioni dei vincitori e chiudo la mia mostra con "steamboy", ultimo parto di katsuhiro otomo.
passo i primi cinque minuti a stupirmi della cura con cui sono realizzati i disegni delle parti meccaniche, poi prende il sopravvento l'effetto grottesco del parlato giapponese in piena rivoluzione industriale e mi perdo a fantasticare sulla mancanza di una figura fondamentale in sala: il domatore di applausi, quello che è in grado di avviare, smorzare, ritmare, ravvivare, ipnotizzare; il potere è nelle sue mani.
evidentemente la trama non è all'altezza della realizzazione.
esco veramente provato: la mezzanotte, ora d'inizio di "cannibal holocaust" che chiude la rassegna tarantiniana, mi sembra un tragardo irraggiungibile almeno quanto casa, così mi sazio con l'undicesima cioccolata in undici giorni e saluto.
buonanotte.
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