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Francesco Ventura, Il cinema e il caso Moro
di Francesca Paciulli
Francesco Ventura, Il cinema e il caso Moro
Le Mani, 2008
221 pp 16,00 euro
Nel trentennale della morte di Aldo Moro, un libro ne ripercorre le vicende attraverso l'analisi di tre pellicole italiane
Il cinema e il caso Moro
Roma, 9 maggio 1978. Il corpo senza vita di Aldo Moro viene rinvenuto nel portabagagli di una Renault4 rossa in via Caetani, tra via delle Botteghe Oscure, sede del Partito Comunista, e piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana. Si conclude dopo 55 giorni la segregazione, ad opera delle Brigate Rosse, del presidente della Democrazia Cristiana, strappato il 16 marzo 1978 ai suoi cari e ai colleghi di partito a poche ore dall'approvazione in Senato del governo del "compromesso storico", quello che avrebbe garantito l'ingresso del PCI nel governo.
A ripercorrere gli accadimenti, attraverso una accurata e scrupolosa indagine delle opere filmiche che hanno trattato l'argomento negli ultimi venti anni, è il trentenne Francesco Ventura, che con lo statista romano condivide una data importante. Il 9 maggio 1978, dopo 55 giorni di prigionia, nelle prime ore del mattino, Moro viene rinvenuto assassinato nel portabagagli di una utilitaria, lo stesso giorno, attorno a mezzogiorno, a Mantova, nasce Ventura. Di lì a trent'anni il giovane giornalista presenterà una tesi di laurea dedicata alla figura di Moro "vissuta" attraverso lo sguardo di tre registi italiani, Giuseppe Ferrara, Marco Bellocchio e Renzo Martinelli. Tesi che, a sua volta, si trasformerà, di lì a qualche mese, nella pubblicazione editoriale Il cinema e il caso Moro, nella quale il giovane autore mantovano descrive ad addetti ai lavori, appassionati di storia recente e lettori, le tre pellicole italiane che si sono occupate della vicenda che ha drammaticamente segnato la storia della Prima Repubblica: Il Caso Moro di Giuseppe Ferrara (1986), Buongiorno, notte di Marco Bellocchio (2003), Piazza delle Cinque Lune di Renzo Martinelli (2003).
Tre pellicole stilisticamente differenti dalle quali, spiega l'autore, traspaiono tre distinte interpretazioni storico-politiche degli eventi che hanno caratterizzato quel periodo. Il periodo del "compromesso storico", come ricorda nel capitolo dedicato alle sinossi dei tre film presi in esame (nello specifico del film di Ferrara): il 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Moro e dell'uccisione dei suoi cinque uomini della scorta in via Fani, il Parlamento italiano si apprestava a votare la fiducia a un governo appoggiato, per la prima volta in 40 anni, anche dal Partito Comunista. Il governo del "compromesso storico", di cui proprio Moro fu il principale ispiratore. Moro che non era solo il presidente della DC, ma il politico di riferimento per i delicati equilibri di governo del Paese e il sostenitore di quell'incontro con il Pci, il più grande partito comunista d'occidente, che era in netta contraddizione con le strutture dell'impero occidentale di cui l'Italia faceva parte, a partire dalla Nato, e con le politiche dell'Unione Sovietica, ostili all'eurocomunismo di Berlinguer, ma anche con la diffusa mentalità politica che considerava i comunisti non come avversari ma nemici da combattere. Quel mattino di marzo va in frantumi il progetto del cosiddetto governo del "compromesso storico" e per lo statista della DC inizia la lunga agonia nella "prigione del popolo", nel covo delle BR di via Montalcini.
Nel libro, attraverso la ricostruzione delle trame e l'inserimento di alcuni fotogrammi significativi, il parallelismo tra paradigmi tematici (il rapimento in via Fani, la prigionia, i media, l'ultima lettera inviata alla moglie Nori, il covo di via Gradoli, il ritrovamento in via Caetani), interviste ai registi (incluso Aurelio Grimaldi, autore di una trilogia su Moro mai distribuita), Ventura prova ad analizzare quanto il mezzo cinematografico ha negli anni espresso sul caso Moro, con la profonda convinzione di poter dare vita ad una sorta di vademecum sull'argomento, una mappa per insinuarsi nei meandri della vicenda senza rimanere disorientati dalla mole di pubblicazioni e di posizioni contrapposte già esistenti. Ed effettivamente, pagina dopo pagina, la visione dei tre film accompagnata dalla preziosa analisi di Ventura, permette non solo di entrare nel vivo della vicenda ma di riflettere sul rapporto tra "arte" e "storia", tra "momento autonomo" (versante espressivo-formale) e "momento eteronomo" (versante storico-politico) di ognuna delle tre pellicole.
Ed è proprio nel rapporto tra arte e storia che le tre opere in esame si collocano su piani differenti: nel primo dei tre film girati, Il Caso Moro, sono presenti entrambi gli aspetti, autonomo ed eteronomo; vi è una rappresentazione diretta della vicenda (dalla strage di via Fani all'uccisione di Moro, interpretato da Gian Maria Volonté) ma senza articolati approfondimenti psicologici né una marcata connotazione artistica personale; vi è anche una rappresentazione dello sfondo storico-politico - il governo, i servizi segreti, la P2 - ma senza dilungarsi in chiare interpretazioni personali. Meno equilibrato sul fronte del rapporto tra momento autonomo e momento eteronomo sembra essere invece il film di Bellocchio, ispirato al libro Il prigioniero di Anna Laura Braghetti, proprietaria prestanome, insieme al compagno Prospero Gallinari, dell'appartamento di via Montalcini: Buongiorno, notte, per Ventura, esamina il primo e trascura il secondo, abbonda nella descrizione delle psicologie dei personaggi (da qui la critica all'eccesso di umanizzazione delle figure dei brigatisti mossa all'epoca dell'uscita del film), ma lesina descrizioni storico-politiche degli accadimenti. Al contrario, Piazza delle Cinque Lune si concentra quasi per intero sull'aspetto eteronomo, mentre manca quasi del tutto l'aspetto autonomo. La rappresentazione diretta del rapimento e dell'assassinio, spiega Ventura, è quasi completamente assente eccezion fatta per una ricostruzione filmata dell'agguato di via Fani e l'inserimento di documenti autentici. L'interpretazione storico-politica è poi la protagonista assoluta della pellicola: nel film, Martinelli ha il coraggio di esplicitare "certe verità" mettendo sul piatto nomi e cognomi veri e portando avanti l'interrogativo più scomodo: il perché del sequestro e dell'uccisione, impostosi in primo piano già in quei giorni.
"Secondo la versione ufficiale - la più semplice - Aldo Moro fu sequestrato e ucciso dalle Br - scrive Ventura -. Ancora a distanza di quasi trenta anni, però, molti aspetti della vicenda non sembrano chiari, e alcuni interrogativi non vedono d'accordo gli studiosi. Ad esempio, le Br avevano infiltrati tra le loro fila? Che ruolo giocarono i servizi segreti, italiani e stranieri? E la loggia massonica segreta della P2? Ci furono ombre nella gestione della vicenda da parte dello Stato? Questi interrogativi sono legittimi o si tratta di 'dietrologia'?".
Se Il Caso Moro è disseminato di episodi "sospetti", che vengono rappresentati senza essere tuttavia sviscerati, in Buongiorno, notte vi è solo una sequenza nella quale si può estrapolare un segnale di qualcosa di "sospetto" (la carta intestata Presidenza del Consiglio dei Ministri con la frase "semplicemente senza condizioni", sulla scrivania del Papa). Fitta di episodi è invece la sceneggiatura di Piazza delle Cinque Lune, nella quale l'indagine condotta dal giudice Saracini (Donald Sutherland) evidenzia ombre che, a tutto oggi, permangono sulla vicenda Moro.
Tre linguaggi cinematografici le cui differenze si esprimono al massimo anche nel trattare la toccante sequenza della lettera d'addio ("Vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio, sentimi sempre con te e tienimi stretto ( ) tutto è inutile quando non si vuole aprire la porta") recapitata alla moglie Eleonora il 5 maggio 1978, pochi giorni prima del ritrovamento del corpo di Moro. In Il Caso Moro, Ferrara offre una rappresentazione molto classica dello scritto, ma di grande impatto emotivo. La famiglia dello statista, nel film, è presente in diverse scene: è compatta, lucida, ma isolata dalla DC, il partito della fermezza. In Buongiorno, notte, la lettura dell'ultimo straziante scritto di Moro è alternata allo scritto di un condannato a morte della Resistenza. Tutto accade nella mente di uno dei carcerieri di Moro, la giovane Chiara (Maya Sansa), figlia di un ex partigiano. In Piazza delle Cinque Lune invece la lettera a Nori viene rappresentata alla fine di un duro scontro tra due personaggi del film, Fernanda e il marito, che la rimprovera di mettere a rischio l'incolumità della famiglia per occuparsi del caso Moro.
Un cammino di analisi cinematografica lungo oltre duecento pagine che Francesco Ventura ha sapientemente percorso rileggendo tre opere che il cinema italiano ha dedicato a quei tragici 55 giorni. E al quale Maria Fida Moro, figlia del presidente della DC assassinato dalle BR il 9 maggio 1978, ha contribuito offrendo generosamente il suo contributo nella toccante prefazione del libro: "Di Aldo Moro all'esterno della famiglia si sapeva pochissimo ed è per questa ragione che è quasi impossibile che un film su di lui venga davvero bene - scrive la figlia dello statista -. Mi sembra improbabile infatti che si possa narrare ciò che non si conosce. Inoltre è altrettanto impossibile conoscere le ragioni della sua morte se non se ne conosce intimamente la vita. Chi si sente di ricercare la verità lo faccia pure e chi è disposto a ritrovare l'umanità garbata, che caratterizzava mio padre, e a tentare di descriverla farà una buona azione. Perché solo se il ricordo si fa umano diventa struggente, altrimenti è rotocalco patinato dove anche il sangue sembra finto. Io preferisco il silenzio, non un minuto di silenzio, ma un silenzio sconfinato come i deserti che amo".
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