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Tim Burton: l'outsider dalle mani d'oro
di Sara Troilo
Antonie de Bacque, Tim Burton
Lindau, 2007
176 pp. 18,50
La monografia sul regista californiano scritta da Antoine de Bacque racconta il Tim Burton autore procedendo dalla formazione di quest'ultimo, e dalle suggestioni che hanno accompagnato la sua infanzia, fino alle opere più recenti (La sposa cadavere). Quella proposta da Lindau è una trattazione rigorosa e strutturata che incastra momenti biografici a pareri professionalissimi sui film citati. Il tutto scorre leggero, la scrittura è fluida e mai pomposa né sterilmente citazionista. Il fil rouge è la personalità complessa del regista e il suo essere decisamente un outsider che però ha sin da subito trovato un posto proprio nelle grandi produzioni. Dai primi lavori alla Disney, alle megaproduzioni con la Warner, il suo talento visionario e sempre vicino all'espressionismo è riuscito ad emergere, anche se non sempre senza dolore, in condizioni di forti pressioni.
Il piccolo Tim nasce e cresce a Burbank in California, in un quartiere dalle case tutte uguali posizionato tra l'aeroporto e il cimitero in cui il bambino passava molto tempo. Introverso anche per fuggire ai cambi di umore di mamma e papà, ha come vicini di casa alcuni grandi studios cinematografici e come via di fuga dalla banalità della sua città e dei prodotti in serie della majors il cinema che fa sognare e che apre spiragli nell'eccentrico. A differenza della media italiana, Tim va a vivere da solo già a sedici anni, come amici i "film strani" che vede di continuo sviluppando un'ammirazione enorme per l'attore Vincent Price, protagonista di alcuni film di Roger Corman, esteta e dandy. Pare che Gli Argonauti (Jason and the Argonauts, 1963) girato in stop motion, sia stato uno dei primi film visti dal regista. Altra passione del piccolo sono i mostri, tanto che, nell'Olimpo personale del bambino, accanto all'idolo Vincent Price, sta Godzilla, creatura postnucleare che disintegra le città a colpi di coda.
Tim Burton, originale a partire dall'aspetto fisico (che non è molto cambiato dall'infanzia) descritto con le parole di Johnny Depp in apertura di libro, con i capelli incasinati, gli occhi curiosi e le mani sempre in movimento, muove i primi passi nel mondo dell'animazione proprio alla Disney. Lì disegna alcune scene di Red e Toby nemiciamici (The Fox and the Hound, 1981) e si deprime per il fatto di essere costretto a disegnare creature allegre e saltellanti. Partecipa poi alla realizzazione di Taron e la pentola magica (The BlackCauldron, 1985) dove progetta scenari e propone le sue idee che non verranno utilizzate. Nonostante il cattivo periodo, all'interno della Disney gode della stima di due dirigenti, uno dei quali gli affida Vincent , tratto da un poema in versi scritto proprio da Tim Burton: due mesi di lavoro (con Rick Heinrichs, da lì in poi suo collaboratore) per sette minuti di animazione in stop motion che celebrano la manifestazione al mondo dell'immaginazione dell'autore. Il protagonista è infatti molto simile sia al regista che a molti dei personaggi che questo creerà negli anni a venire. Da qui in avanti l'universo interiore di Tim emerge sempre di più attraverso altri progetti come PeeWee's Big Adventure (1985) grande successo realizzato a costi molto contenuti. Il suo enorme talento fa sì che i grandi studios passino sopra al suo esere eccentrico e irrimediabilmente portato all'anarchia, infatti proprio a lui la Warner Bros affida la trasposizione dal fumetto di Batman, ma ci sono confini che le majors non attraverseranno mai e qui lo scontro si fa arduo. Se a Burton Batman appare subito come un eroe tormentato e dark che fa più riferimento alla lettura che ne danno sia Frank Miller (Il ritorno del cavaliere oscuro, Dark Knight Returns) che Alan Moore (The Killing Joke) e che vede incarnato dall'attore Michael Keaton che, dotato di maschera, può sbarazzarsi di se stesso e diventare altro ripercorrendo le orme del cavaliere oscuro, appunto, i fan delle serie a fumetti si imbazzarriscono e inscenano proteste e la Warner non apprezza tutto il nero del film. Lo stesso dicasi per il Joker che nella trasposizione assume un ruolo primario e smette i panni di spalla dell'eroe varcando più di un confine. I sudori freddi devono essere passati alla Warner solo a incassi effettuati mentre l'amarezza del regista per le ingerenze della casa di produzione, no.
A volte poi i finanziatori esagerano, qualcuno arriva ad immaginarsi Tom Cruise nei panni di Edward mani di forbice? Quello era l'attore emergente e la Fox chiede a Burton di incontrarlo. Non posso fare a meno di ripensare alla scena del balletto di Risky Business con un Cruise dalle mani di forbice, praticamente un Freddy Kruger coi Rayban! Mentre per Johnny Depp e Tim Burton è stato subito colpo di fulmine. Altro passo importante è quello che riguarda la destrutturazione della trama, della storia e della sceneggiatura. Nessun rigore formale, nessuna strada già percorsa, ma un discorso intimo che si attorciglia su di sé o che si frantuma in mille pezzi e nessun immaginario riservato a qualche fascia d'età, niente di tutto ciò è nella mente del regista californiano, ma solo e soltanto un percorso proprio nel quale sempre più spettatori lo seguono e nel quale riceve anche gli onori della critica.
Le parole di Antoine de Baecque ci portano a pensare a Tim Burton come a un talentuoso visionario con le idee molto chiare che lavora all'interno delle grandi produzioni ritagliandosi un proprio spazio di autonomia anche grazie alla schiera di collaboratori di altissimo livello che man mano raduna attorno a sé e da cui non si separa mai. Molto suggestivo pensare che anche all'interno di fagocitanti realtà che mirano all'appiattimento e all'uniformità ci sia spazio per un emarginato che è sopravvissuto grazie alla fantasia e al cinema, o meglio a un certo tipo di cinema. Altrettanto bello pensare che la sfera intima e personale che cresce con gli individui sia, in casi come questo, capace di far sognare milioni di persone e di commuoverle, ma soprattutto di proporre loro un'alternativa alle visioni massificate e totalitarie, pervasive e unte che foderano le nostre vite di spettatori occidentali e che ci desensibilizzano quasi rendendoci impermeabili al diverso. Anche in nome di questa magia è particolarmente azzeccata la scelta dell'autore di questa monografia di interfacciare vita interiore e film del regista trattato. Dal documentario sugli animali che si intravede dietro a Batman - Il ritorno al romanticismo de La sposa cadavere che fa dire a de Baecque che "Tim Burton è un cineasta decisamente più morto che vivo" poiché i morti sono colorati, entusiasti, divertenti, sensibili e commoventi, mentre i vivi sono grigi, ciò che l'autore ci racconta del regista è sempre e solo essenziale e ciò che coglie nei suoi film particolarmente acuto. Il resto è tutto da leggere per poi ripercorrere la filmografia burtoniana con il prezioso ausilio di de Baecque.
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