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Ballando ballando
di Carlo Griseri
Il Museo Nazionale del Cinema di Torino si rinnova. A sette anni dalla sua nascita ha infatti affidato a Gianni Amelio la realizzazione di due film di montaggio - della durata di 18 minuti ciascuno - destinati a essere proiettati ininterrottamente sui grandi schermi dell'Aula del Tempio. I due filmati hanno sostituito Sguardo sulla storia d'Italia, realizzato da Carlo Lizzani nel 2000 per l'inaugurazione del Museo.
Ballabile in bianco e nero e Ballabile a colori, questi i titoli scelti da Amelio: scelte eloquenti, in quanto i due prodotti sono una selezione di sequenze di ballo, tratte dai più importanti e significativi film italiani dal secondo dopoguerra ad oggi. "Ci sono scene intere o frammenti di film molto popolari - ha dichiarato lo stesso Amelio - dove tutti ricordiamo di aver visto i nostri divi e le nostre dive alle prese con tanghi, mambi e cha-cha-cha. Magari proprio quei momenti ci sono rimasti impressi, anche se i film sono belli e importanti per altri motivi. Non ho seguito un filo cronologico né una graduatoria di merito. Gli accostamenti sono nati al montaggio, per contrasto o per assonanza, e senza la pretesa di dimostrare alcunché, dato che non si tratta di un saggio critico in pellicola ma di un affettuoso divertimento".
Alla presentazione dei corti era presente anche Alberto Barbera, Direttore del Museo del Cinema, il quale ha voluto sottolineare come la precedente opera di Lizzani sia stata in questi anni "una delle attrattive dell'Aula del Tempio (location in cui sono situati i maxischermi, NdR) più apprezzate dai quasi tre milioni di spettatori che in questi anni hanno visitato la Mole Antonelliana". Un'eredità gravosa, quindi, ma Amelio ha saputo creare un montato di grande qualità. "Mi sono divertito tantissimo - ha detto il regista -. E' bello riguardare la storia del cinema italiano attraverso i momenti in cui la gente è felice: questa è stata la prima idea che mi è venuta in mente quando mi è stato proposto il lavoro".
Nel film di Lizzani, di grande livello artistico e storico, manca secondo il cineasta di origine calabrese "la voglia di ricominciare a vivere", e quindi nei nuovi collage sono inserite scene in cui "ogni occasione è buona per ballare perché si ha bisogno di dare alla propria vita un altro ritmo, un altro senso. Forse questi lavori completano un'immagine dell'Italia raccontandone un'altra faccia (rispetto a quella drammatica, dura del film del regista di Cronache di poveri amanti). Io ritengo che anche attraverso una sequenza come quella della ballata de I vitelloni di Fellini si possa raccontare la storia". Il risultato del lavoro "è tutt'altro che un film frivolo, un viaggio nella stessa Italia che il Museo ha mostrato per sette anni fatto con un'altra ottica. Non so se resterà altrettanto a lungo: mi auguro di sì, ma mi auguro anche di no perché mi candido da ora per realizzarne un nuovo capitolo!".
I due filmati sono il risultato anche di compromessi. "Ho tanta gioia ma anche qualche rammarico, per tutte le scene che non abbiamo potuto inserire: a causa della difficile concessione dei diritti ma a volte anche per la mancanza di copie. Sui materiali scelti è stato necessario un notevole lavoro di restauro dell'immagine e del suono, per una qualità finale davvero di riguardo". Al termine della proiezione, un applauso convinto. Amelio si schermisce, ironico: "Queste stronzate non le ho girate io! Ho fatto quello che ho potuto: la "colpa" è di Fellini, è di Bertolucci, di Lattuada, di De Santis ho dovuto arrangiarmi con quello che c'era". La platea è curiosa, e tra le prime domande che vengono poste al regista c'è la più ovvia: a quale delle sequenze scelte sia più affezionato. "A tante, naturalmente. Vittorio De Sica che balla Parlami d'amore Mariù, ma anche la sequenza di La voce della luna, in cui si sovrappongono il valzer e la musica metallara, da cui si capisce anche il viaggio che ha fatto l'Italia nel corso degli anni: un Paese si racconta anche più efficacemente quando lo si guarda un po' lateralmente". Quali le differenze tra il filmato in bianco e nero e quello a colori? "Nella prima parte si balla solo quando c'è un luogo preposto a farlo, nella seconda si danza, si va verso la rappresentazione di sé stessi mentre si balla. E' una delle maggiori differenze tra il cinema italiano e quello Usa: la loro commedia musicale è un disegno astratto, fanno ballare i protagonisti anche nelle situazioni più irreali. L'apoteosi è la scena in cui Gene Kelly balla sulle pozzanghere in Cantando sotto la pioggia. Una sequenza come quella nel cinema italiano non c'è mai stata e probabilmente non ci sarà mai!". Il cinema italiano ha di bello, e forse anche di limitante, il fatto di "restare con i piedi per terra anche quando sta ballando un cha-cha-cha, un twist. A me commuove in particolare la parte degli anni sessanta, quando io ero ragazzo e, vedendo quei film al cinema, vi ritrovavo le stesse cose che vivevo nelle feste, mi ritrovavo a ballare le stesse canzoni. Il ballo ci riporta più di qualsiasi discorso all'ingenuità, alla malizia di un'epoca".
La selezione a colori si ferma al 1990, con l'unica eccezione tratta da Così ridevano del 1998, dello stesso Amelio. "I motivi sono vari - confessa il regista -: di tempo (non volevo fare una sorta di blob, volevo mantenere il rispetto per l'integralità delle varie sequenze senza scorciarle), e d'autore (l'obiettivo non era fare un Bignami del ballo nel cinema italiano, ma solo scegliere le sequenze che più mi emozionavano). Io poi sono vecchio, oggi non andrei a ballare! Invece ai tempi dei film che ho scelto ci andavo. Ho messo le cose che ho sentito più vicino a livello emotivo". Il punto massimo di commozione in tutti i 36 minuti di montato è senza dubbio per il regista "Stefania Sandrelli che balla in Io la conoscevo bene con quel bimbetto di 10 anni, e si accorge che quel bimbetto si è eccitato stando stretto a lei: io all'epoca al cinema ho avuto un colpo. Ma anche Claudia Cardinale, una delle donne più belle dell'universo-mondo: quando la vedo impazzisco, e quindi l'ho inserita più volte".
La selezione a colori inizia con Ginger e Fred. "Nella parte in bianco e nero c'era una mancanza troppo forte, quella di Marcello Mastroianni (non abbiamo ottenuto i diritti, ma avrei tanto voluto inserirlo mentre balla il rock nel 1957 in Le notti bianche: mi sembrava una cosa unica, negli anni in cui il rock era appena arrivato in Italia!). Ho voluto compensare subito, e per lo stesso motivo ho inserito subito dopo di lui un'altra icona del nostro cinema che ancora mancava, la signora Sofia Loren (con Vittorio De Sica in Pane Amore e ). Ci sono poi molti Bertolucci e Fellini perché mi piacciono. Invece Visconti non c'è, ma solo perché è difficile avere i diritti!". Un grandissimo lavoro di montaggio, sia delle immagini che del sonoro, con soluzioni in alcuni casi sbalorditive, che ha il suo apice conclusivo nella scena già citata tratta da La voce della luna. "Concludere il tutto con una sequenza dall'ultimo film realizzato da Fellini è stata una scelta molto ragionata: innanzi tutto è una scena in cui viene rappresentato un mondo in contrapposizione con un altro, attraverso due stili completamente diversi di movimento sia musicale che fisico (il valzer che in qualche modo cerca di opporsi alla barbarie che avanza, rappresentata dalla musica metal)".
La scelta finale avrebbe potuto ricadere anche su un'altra pellicola. "Trovo molto emozionante anche la conclusione de La messa è finita di Nanni Moretti, in quella semplicità e in quella atmosfera in cui uno non si aspetta che ci si metta a ballare, perché siamo in una chiesa: lo trovo uno dei momenti più belli, forse anche più conclusivi di un certo tipo di storia del ballo nel cinema italiano". Ma alla fine ha trionfato Fellini. "Non ho messo Moretti come ultimo (è inserito un po' prima, NdR) perché dal punto di vista del linguaggio La voce della luna chiude meglio, e anche dal punto di vista della storia. Fu un film molto sottovalutato all'epoca: bisognerebbe rivederlo adesso, così come tutta l'ultima produzione del maestro cesenate, per comprendere come avesse capito tutto quell'uomo, tutto! Ginger e Fred, ad esempio, era sembrato ai tempi della sua uscita nelle sale acqua fresca, o poco più. Ma racconta quegli anni più di dieci trattati di sociologia. La voce della luna, invece, è un film semplicemente immortale".
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