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del 12 12 2006

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Premi dell'Asian Film Festival

Riceviamo e pubblichiamo:

I Premi dell'Asian Film Festival

Si conclude la quarta edizione ...Miglior film  4:30 di Royston Tan, giovane e promettente regista di Singapore

Premiati anche Johnnie To per la miglior regia di Exiled e Perpetual Motion di  Ning Ying come film più originale.

La giuria composta dall'on. Elisabetta Gardini (presidente), l'on. Roberto Poletti, Fabrizio Colamartino e Leonardo Lardieri ha assegnato i seguenti premi:

Miglior film: 4:30 di Royston Tan per la capacità di esprimere il tema dell'incomunicabilità nella società moderna e per il modo con cui viene guardato l'universo adolescenziale.

Miglior regia: Johnnie To per Exiled per il modo con cui ha saputo legare l'elemento narrativo con la messa in scena e per la grande maestria tecnica.

Miglior attore: On Ju-wan per The Peter Pan Formula di Cho Chang-ho per la capacità di aver interpretato magistralmente un ruolo che segna il difficile passaggio dall'adolescenza all'età adulta.

Miglior attrice: Yuan Tian per Luxury Car di Wang Chao per il modo con cui ha manifestato in maniera sottile la tristezza del suo personaggio e per la grande espressività.

Film più originale: Perpetual Motion di Ning Ying per come ha raccontato una storia di donne con uno stile nervoso e innovativo attraverso le forme del digitale.

4:30

Regia e soggetto: Royston Tan. Sceneggiatura: Liam Yeo, Royston Tan. Fotografia: Lim Ching-leong. Montaggio: Low Hwee-ling. Musica: Hualampong Riddim. Interpreti: Xiao Li Yuan, Kim Young-jun. Produzione: Gary Goh, James Toh, Makota Ueda per Zhao Wei Films. Durata: 93'. Origine: Singapore, 2005. 35 mm/colore. Contatti: Pascale Ramonda, 2 rue Turgot, 75009 Paris, tel. 33 1 49 70 85 64, fax 33 1 49 70 03 71, website: http://www.celluloid-dreams.com/

Zhang Xiao Wu, un ragazzino abbandonato a se stesso, passa la sua vita tra la scuola e l'appartamento vuoto nel quale vive. La sua vita è sconvolta improvvisamente dall'arrivo di Jung, un coreano trentenne che sta cercando di affrontare i postumi di una storia d'amore. Nel disperato tentativo di relazionarsi con il nuovo venuto, Zhang Xiao Wu fa di tutto per cercare di trovare un punto in comune tra loro due. Anche per questo motivo si sveglia ogni mattina alle 4:30, penetra di soppiatto nella stanza da letto del coinquilino, e si appropria di ogni cosa che può, a suo parere, permettergli di capire più a fondo il taciturno trentenne: una lattina di birra, un pelo pubico, un mozzicone di sigaretta. Giorno dopo giorno, avvolti dalla sfiancante ripetitività del quotidiano, i due inizieranno a condividere quel sentimento di solitudine che li accompagna e che, in una Singapore livida e statica, sembra essere il destino dell'intera umanità.

Il secondo lungometraggio di Royston Tan, a tre anni di distanza dall'interessante esordio di  15 (passato, in un'immeritata indifferenza, nel 2003 alla Mostra del cinema di Venezia), mette in mostra un'indubbia maturazione autoriale. Laddove in 15 si notava l'urgenza di una messa in scena schizoide, umorale, a tratti quasi istintiva nella sua mancanza di logica, in 4:30 l'intero impianto si fa molto più stabile e razionale. Senza che per questo venga meno però l'etica che sembra guidare, fin dai cortometraggi degli esordi, il cinema di Royston Tan: il cineasta di Singapore ha un approccio estremamente passionale verso i personaggi che mette in scena, in un gioco di simpatie (nel senso etimologico del termine) che non ha molti eguali nel panorama contemporaneo, asiatico e non. Un desiderio di "soffrire con" che lo porta a descrivere un mondo a parte, quello della città/stato Singapore, dove gli esseri umani sono destinati alla desolazione, persi in un universo dai contorni fin troppo definiti, gabbia fisica che si trasforma ben presto in gabbia spirituale. Era così per gli adolescenti inquieti di 15 ed è così anche per Zhang Xiao Wu, il ragazzino abbandonato a se stesso dalla madre protagonista di 4:30. Nel descrivere la straziante routine nella quale passa le sue giornate Zhang Xiao Wu, Royston Tan lavora continuamente di sottrazione, circoscrivendo l'azione a pochi luoghi simbolici e prediligendo inquadrature fisse, semplici, scarne ed essenziali. In questo modo riusciamo ad avere una percezione limitata della "realtà" in cui vive il ragazzino: il tratto di strada da percorrere per arrivare a scuola e nel quale svolgono gli esercizi fisici un gruppo di buddisti, l'angolo fuori dalla classe nel quale viene ripetutamente messo in punizione, il negozio di alimentari dove vengono acquistate le tagliatelle in scatola (in pratica l'unico cibo mangiato dai due protagonisti), il baracchino del venditore ambulante di gelati. Perfino l'appartamento nel quale convivono Jung e Wu all'inizio ci è celato nella sua totalità.

In un film che è dunque un viaggio di scoperta (del sé in relazione all'altro, della propria condizione di solitudine), anche lo spettatore riesce ad avere una visione d'insieme solo poco per volta, in un crescendo emozionale che è uno dei punti di forza di 4:30. La spinta verso un rapporto umano e il tentativo di costruire una relazione che assomigli anche solo vagamente a quella padre/figlio classicamente intesa, portano Zhang Xiao Wu a cercare il senso della convivenza nei frammenti di vita di Jung che riesce a mettere insieme; nelle lattine di birra che il trentenne si scola ogni sera fino a ubriacarsi regolarmente, addirittura nei peli pubici, il ragazzino abbandonato può ritrovare la realtà (impossibile) di un legame affettivo che non ha mai avuto. Wu che si fotografa a letto accanto a uno Jung profondamente addormentato rappresenta con poetica semplicità la disperata voglia di un'intimità che è ignorata da una generazione - ma forse anche più d'una - lasciata letteralmente a se stessa. Jung e Wu, entrambi alieni a un mondo tonitruante e ipercinetico, sono vittime sacrificali destinate alla sconfitta, perché la loro ribellione alla prassi, alla norma, all'ovvio è troppo silenziosa, dominata dall'oblio e dalla solitudine.

Ma più che una critica alla società contemporanea, o specificatamente a quella di Singapore, Royston Tan sembra voler mettere in scena dei microcosmi umani che, per scelta o per necessità, non hanno preso parte al processo di omologazione; inconsapevoli schegge impazzite che pur volendosi far notare (e l'esuberanza fanciullesca di Zhang Xiao Wu è ben più che una vaga indicazione) non hanno ancora la forza per dire la loro nella società in cui vivono. Resta loro la via del silenzio, come per Wu e Jung: la loro è una delle storie d'amore inespresse più dolorose e catartiche che il cinema degli ultimi anni abbia avuto modo di regalarci. Perché non c'è più una reale possibilità di salvezza per i due protagonisti e quella che vivono è una semplice illusione di normalità. La vita li schiaccia, lasiandoli soli e disperati a dipingere di nero gli ultimi sprazzi di luce.

Con 4:30 Royston Tan fa un balzo avanti notevole e iscrive il suo nome tra quelli da tenere d'occhio nel panorama asiatico: perché non sono in molti a saper trattare l'adolescenza con la mano inusuale che mette in mostra questo giovane autore di 29 anni. A prima vista ci vengono in mente i nomi di Hirokazu Kore-eda e Yamashita Nobuhiro, e pochi altri. Royston Tan potrebbe rappresentare il futuro del cinema orientale; i presupposti ci sono tutti.

Biografia del regista

Nato il 5 ottobre 1976 Royston Tan è insieme a Eric Khoo una delle personalità di spicco della cinematografia contemporanea di Singapore. Fin dai suoi esordi nel cortometraggio, poco più che ventenne, Tan ha collezionato premi in diversi festival internazionali. Opere come Sons (2000), Hock hiap leong (2001), Mother, 24 Hours e 15 (tutte e tre del 2002) hanno fatto il giro del mondo, iniziando a far parlare di sè Tan per la capacità di mescolare stili e tecniche di ripresa. Proprio il soggetto di 15, allargato e rimodellato, ha permesso a Royston Tan di esordire nel lungometraggio nel 2003: il film, dopo aver ottenuto il premio principale al festival del cinema asiatico di Deauville ed essersi aggiudicato il riconoscimento per la miglior regia e una menzione speciale al festival internazionale del cinema indipendente a Buenos Aires, è approdato nel settembre dello stesso anno al Festival di Venezia, creando un pur minimo scalpore per la maniera in cui era trattata una tematica forte come quella delle tendenze nichiliste delle giovani generazioni. Dopo aver realizzato nel 2005 un altro cortometraggio di 13 minuti, Cut, ha diretto nello stesso anno 4:30. La pellicola, presentata anche all'interno dell'Open Doors Factory del Festival di Locarno, segna con ogni probabilità la definitiva consacrazione di questo giovane cineasta indipendente. Royston Tan sta lavorando al progetto del suo nuovo lungometraggio, il cui titolo provvisorio è 132. Come attore è apparso in Be With Me di Eric Khoo.

                                                                                                                 Raffaele Meale

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 7 commenti

 
 
utente
Sara
  • indirizzo IP 151.38.135.241
  • data e ora Mercoledì 13 Dicembre 2006 [10:11]
  • commento ma la gardini e' presidente di giuria in nome di che?
 
 
 
 
 
utente
Luigi
  • indirizzo IP 151.52.125.145
  • data e ora Mercoledì 13 Dicembre 2006 [11:11]
  • commento Scelta molto discutibile, in effetti.
 
 
 
 
 
utente
Dudoski
  • indirizzo IP 83.103.92.98
  • data e ora Mercoledì 13 Dicembre 2006 [11:18]
  • commento Johnnie To si è anche beccato ben quattro premi al 25th Hong Kong Film Awards con Election: miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura, miglior attore. Alzi la mano chi l'ha visto in sala...
 
 
 
 
 
utente
Sara
  • indirizzo IP 151.38.135.241
  • data e ora Mercoledì 13 Dicembre 2006 [11:38]
  • commento in sala? ma quando mai! cmq non va certo alla gardini il merito di aver premiato qualcuno. Non sa nemmeno riconoscere i maschi dalle femmine lei.
 
 
 
 
 
utente
Dudoski
  • indirizzo IP 83.103.92.98
  • data e ora Mercoledì 13 Dicembre 2006 [14:45]
  • commento Guarda che invece alle passate edizioni ha fatto un ottimo lavoro come supervisione dei cessi e proprio per premiare il suo encomiabile impegno l'han fatta presidente.
 
 
 
 
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