Il voto del redattore
- voto
- 2/5
- valutazione
- Manca l'universale, manca il nuovo, si salva solo in parte.
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- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Pride and glory - Il prezzo dell'onore
di Gavin O'Connor
- Dati
- Titolo originale: Pride and glory
- Soggetto: Gavin O'Connor, Greg O'Connor, Robert Hopes
- Sceneggiatura: Gavin O'Connor, Joe Carnahan
- Genere: Azione - Noir
- Durata: 127 min.
- Nazionalità: USA
- Anno: 2007
- Produzione: Avery Pix, New Line Cinema
- Distribuzione: Eagle Pictures
- Data di uscita: 31 10 2008
Un film tutto onore e distintivo
di Sara Troilo
Anche qui la società precipita, ma non con la bellezza e con la forza con le quali aveva dipinto la banlieue parigina Kassovitz ne L'odio; se Pride and Glory fosse una tartaruga metallica e meccanica la sua corazza sarebbe la retorica di cui è imbevuta certa parte di "cultura" statunitense e il suo timido capino, che ogni tanto sbuca dal guscio, la volontà di togliere un paio di bulloni all'impalcatura che sorregge la struttura di quella corazza per liberarsene o, quantomeno, alleggerirsi un po'. Resta il fatto che quel capino è un po' troppo timido e forse la sceneggiatura non all'altezza del compito con il risultato che, vedendo questo film, si assiste alla manifestazione di un fantasma di denuncia che si nasconde sotto al lenzuolo del già visto. L'orgoglio e la gloria che campeggiano nel titolo sono sì quelli insozzati dalla corruzione e dalla mancanza di scrupoli di alcuni, ma sono ancora di più i vessilli da combattimento dei valorosi e dei prodi. Più che di denuncia trattasi di incoraggiamento alla lealtà al fine di meritarsi pride, glory and so on e se in quest'ottica devono iscriversi i tentativi della tartaruga di evadere dal guscio per entrare in un altro che è sì più onorevole, ma altrettanto paludato, allora manca un ulteriore passo.
Nell'era del cambiamento radicale (carico di speranza) che il trionfo di Obama e i suoi discorsi portano con sé, io decido di non accontentarmi e se la legalità deve tornare a farsi vedere, che torni sulle ceneri di ciò che c'è stato fino ad ora. Mi pare di nuovo che manchi sostanzialmente il coraggio, quel coraggio che gli elettori invece hanno avuto nel voto, di sradicare la retorica che, come le feste comandate, sono ormai gusci vuoti, rappresentazioni del nulla che sta al posto del contenuto, come vuota rappresentazione è l'idea di famiglia che ci viene mostrata anche nel film. Vuota perchè il padre (Jon Voight) è un onoratissimo ex sbirro che beve troppo, non ascolta la moglie e durante il pranzo di Natale ricorda la grande intelligenza e il dono della leadership dei figli maschi (Edward Norton sempre bravissimo e Noah Emmerich) e il "grande cuore" della figlia femmina che è più o meno solo il tramite fra la famiglia e il marito (Colin Farrell decisamente giù di tono), sbirro pure lui. Infatti il plot del film è vecchio, risale a prima del fatidico settembre 2001 momento in cui si poteva soltanto glorificare l'operato della polizia di New York e quindi poco opportuno per far circolare una storia che ne denunciava la corruzione. Vero è che c'è un tempo per ogni cosa e il tempo per questo film è passato; qualcosa di nuovo si intravede, come ad esempio una scena molto cruda in cui Colin Farrell minaccia di ustionare un neonato, l'ambientazione nera e gelida, nessuno spazio concesso all'estetizzazione della vita del poliziotto, ma questi ingredienti non bastano per creare un buon film.
La volontà del regista Gavin O'Connor, autore del soggetto insieme al fratello Greg, era quella di rendere omaggio al padre poliziotto, ma il punto di partenza, legittimo, si trasforma anche in punto di arrivo. Pride and Glory è e rimane un omaggio al padre del regista e non riesce ad elevarsi tanto da utilizzare un linguaggio universale, ha avuto la fortuna di aver reclutato Edward Norton che non ha bisogno di registi buoni per fare il proprio dovere su un set e la sfortuna (o il merito?) di aver rivelato al mondo che Colin Farrell invece ne ha proprio bisogno e che qui gli sono mancati. La sua è un'interpretazione che non convince, sembra addirittura che sia stata preparata imparando a memoria le movenze di altri personaggi simili già apparsi sul grande schermo. Anche il cambio di registro stilistico dall'incipit concitato al resto del film in cui, in più di un'occasione, si avverte fortemente la lentezza ingiustificata, non ha spiegazioni se non il rendersi conto, da parte del regista, che reggere tutto il film con la macchina a mano sarebbe stato impossibile, mentre logica vorrebbe che un cambio di stile si accompagni a un cambio di registro, ma così non è.
Chiaro che non compete a un film di rifondare il concetto di legalità, ma che allora non si cimenti neanche con la lotta sociale e la xenofobia per finire annodato senza via d'uscita sotto al ponte di Brooklyn o sbronzo sotto al tavolo di un pub irlandese (tra l'altro terribilmente fuori moda). E basta coi buoni e i cattivi, c'è la crisi, ci sono problemi contingenti da affrontare, adesso vogliamo il cinema della nuova America, quella vecchia ci ha stancato.
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