Il voto del redattore
- voto
- 2.5/5
- valutazione
- Un film in fin dei conti reazionario per eccesso di anticonformismo
Il voto dei lettori
- voto medio
- 1.5/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 20 lettori
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Lei mi odia
di Spike Lee
- Dati
- Titolo originale: She hate me
- Soggetto: Michael Genet
- Sceneggiatura: Spike Lee, Michael Genet
- Genere: Commedia - Sociale
- Durata: 138 min.
- Nazionalità: U.S.A.
- Anno: 2004
- Produzione: Spike Lee, 40 Acres & A Mule Filmworks, etc.
- Distribuzione: Mikado
- Data di uscita: 00 00 0000
Le strane lesbiche di Spike
di Luigi Faragalli
Quando un autore viene idolatrato, non importa quanto giustamente, è più che possibile il delirio da supposto genio, ovvero quella strana mistura di presunzione e mancanza di olio di gomito capace di portare alla realizzazione di lavori sciatti e boriosi.
Dunque Spike Lee si crede un ribelle, un grande regista, un critico spietato della sua società e di conseguenza realizza un film che vorrebbe essere un capolavoro dissacrante: queste le intenzioni.
In realtà Spike si sopravvaluta, e di molto, ed il film è forse meno che mediocre.
Tanti, di sicuro troppi, i temi trattati, ficcati più o meno di forza in un soggetto confuso e di scarsa tenuta. Non si approfondisce in maniera degna niente, nella pur generosa durata della pellicola, né poteva essere diversamente dato il numero e la complessità degli argomenti buttati maldestramente nel calderone.
Scandali finanziari negli Stati Uniti, vaccino per l'aids ed intrighi farmaceutici, lesbiche e diritto alla procreazione, stato di bisogno e prostituzione, consueta ossessione per la cosa giusta da fare, famiglia, mafia, spettacolarizzazione degli arresti, l'uomo comune di fronte allo strapotere del sistema, insomma un'enorme confusa zuppa di modernità che si sforza di avere un forte gusto di lotta al pregiudizio e finisce per non poter nascondere la latente componente di americanismo becero che è forse la forma di condizionamento mentale più pericolosa sul pianeta.
Forse leggermente più approfondito degli altri è il tema del mondo lesbo in America.
Le lesbiche di Spike irrompono nel film con la più strana delle caratterizzazioni. Secondo il regista la prima tornata di lesbiche vive il proprio orientamento sessuale aderendo ad un modello per me sorprendente: si è lesbiche perché vivere con un uomo è fastidioso, l'uomo, si sa, guarda lo sport in tv, si decide quindi di vivere con donne ma senza perdere quel sano gusto per il pene che in fondo rimane latente in ogni donna, sempre.
Le lesbiche di Spike infatti questo pene lo vogliono, lo desiderano, prima di cacciare quattrini vogliono addirittura vederlo, valutarne le dimensioni, commentarlo ansiose e riderne contente e soddisfatte.
Di certo io avrò conosciuto un numero inferiore di lesbiche rispetto a Spike tuttavia la mia esperienza mi aveva regalato un quadro sostanzialmente diverso.
Forse conscio di quanto sia sopra le righe, parziale e da trivio questo affresco dell'omosessualità femminile, il regista si affanna poi nell'arricchimento di particolari, presentandoci gruppi di lesbiche diverse, più forti e mascoline, altre più compite e imbarazzate, altre sguaiate e volgari, tutte però ancora indistintamente entusiaste dell'esperienza sessuale col maschio.
A questo Spike non vuol rinunciare, sul fatto che un bel pene di un sano maschio nero nel compimento dell'atto non possa risultare sgradito ad una donna, a qualunque donna, di qualunque orientamento sessuale, proprio non si discute.
Si può mitigare la posizione blandendo il pubblico e facendo palesemente dire ad una delle lesbiche che no, a lei il pene proprio non piace ma, alla fine, anche questa affermazione resterà un po' lì campata in aria, sotterrata dai risolini complici e dalle urla di compiacimento e godimento durante gli amplessi.
Fortemente intrecciati risultano poi gli approfondimenti della trama su scandali finanziari e lotta del singolo giusto contro il sistema marcio. Sul management composto da squali che non esitano a farsi campi da golf coi soldi degli investitori ed a far fuori i sottoposti sacrificandoli agli organi di controllo si è già detto molto e questo film non aggiunge nulla di nuovo. La lotta del singolo contro il sistema viene invece inquadrata in uno stentatissimo parallelo con una vicenda reale di cronaca politica relativamente recente, ovvero lo scandalo Watergate e la triste e desolata fine di Frank Wills, uomo che permise la scoperta dell'intrigo. L'identificazione completa del protagonista del film di Spike Lee con questo sfortunato e dimenticato eroe appare priva di fondamento, incredibilmente forzata e trasforma quasi il nostro fecondatore folle di lesbiche in un mitomane.
Il contrasto stridente fra lo strapotere di una azienda tanto invasiva da sviare le indagini facendo cadere tutti i sospetti su un uomo solo, distruggerne la vita, spingere gli inquirenti a congelarne i beni, a sbatterlo in galera, sulla base di semplici pregiudizi, e la conclusione fin troppo repentina a tarallucci e vino, in cui il buono viene riconosciuto buono dopo un bel discorso ed il cattivo perde senza motivo tutto il suo potere di intrallazzo all'istante, trasforma tutta la vicenda partita come denuncia di meccanismi sotterranei e terribili nella solita commediola americana con tanto di lieto fine.
Da commedia di infima serie infatti anche altre trovate discutibili, si parte dalle animazioni degli spermatozoi a caccia dell'ovulo da fecondare, l'aver già visto una cosa del genere in opere del calibro di "Senti chi parla" non ci fa di certo apprezzare di più il film , per arrivare al poster del padrino affisso in casa del mafioso.
Ancora singolare poi il peana del mafioso Turturro, buon padre, pronto ad accettare seppur sforzandosi figlia lesbica e nipotini di colore, imprenditore con tanto di etica, più degli squali dell'industria farmaceutica, per dire, nonno amorevole che mostra alla discendenza chi è il vero cattivo in tv. Alla fine se i rapper di colore ci tengono tanto ad imitare i boss mafiosi un buon motivo ci sarà, no?
Sorvoliamo sulla Bellucci e sulla sua interpretazione, seconda metà del secondo tempo, inspiegabilmente utile a meritare alla sedicente attrice un bel quarto posto nei titoli. Basti dire che ormai è scena consueta, in qualunque sala di qualunque città, assistere allo scoppio di fragorose risate nel pubblico al suo semplice aprir bocca. Qui il tutto è aggravato da una patetica imitazione di un accento siculo che va a sovrapporsi ai troppo gravi difetti di pronuncia della nostra trasformando la sua interpretazione in una pièce da avanspettacolo.
Di buono nel film almeno due scene: il suicidio del dottore tedesco e lo strip del protagonista-prostituta. Nella prima scena non viene nascosta nemmeno una briciola della crudezza della morte violenta, con ottime inquadrature, cura dei particolari, scelte registiche azzeccate, suoni precisi, riprese sui volti, sul sangue, sulle ciambelle a terra, tutto perfetto e puntuale.
Nella seconda invece notevole è la capacità di esprimere l'umiliazione che si cela nella mercificazione del corpo, in qualunque modo questa venga condotta, anche con facoltose imprenditrici come acquirenti, anche con un colto dirigente come "prodotto", anche in un elegante appartamento arredato alla moda. In ogni caso vendersi resta umiliante, ed il livello del resto del film è a tratti così disarmante che quasi sorprende scoprire in questa scena sia l'abilità comunicativa di Spike che le qualità espressive di Anthony Mackie.
Non ascrivibile invece all'opera un aspetto pur sconvolgente che soltanto noi italiani avremo la fortuna di poter apprezzare: raramente si è visto un doppiaggio così sgangherato, ancora più di rado un sonoro così insufficiente.
Il parlato appare spesso completamente avulso dal labiale e, per rendere l'idea, a volta capita che un dialogo in svolgimento a pochi metri dal protagonista ci venga proposto come proveniente dal più profondo degli abissi.
L'impressione generale che si trae dalla visione è quella di aver assistito all'opera di chi, inseguendo il politicamente scorretto ad ogni costo, troppo sicuro della propria abilità abbia finito per strafare, abbandonandosi a momenti di malcelato maschilismo e di glorificazione della cara buona vecchia America che non c'è più.
I lettori hanno scritto 10 commenti
- commento Devi chiederlo a Spike Lee, ti sei perso il "secondo il regista" ad inizio frase. :)
- commento allora scusa, andrò a vederlo (in fondo vale il "pur che se ne parli...")
- commento Vale anche il "spike, ripigliati o ti boicotto come fossi la nike"
- commento E uno dei film più coraggiosi del regista afro-americano ma ha il difetto di risultare due film in uno e le due parti non sempre si armonizzano tra loro. La lotta alle grandi industrie farmaceutiche e alle loro speculazioni mal si concilia col racconto delle attività sessuali a pagamento del protagonista: due temi che risultano separati (benché importanti con la loro denuncia etico-politica) e che spiazzano lo spettatore e lo disorientano (senza contare che poi nel film si parla anche di mafia, di giustizia ). Unopera molto drammatica, con qualche tocco ironico appena accennato e che non riesce ad alleggerire il tutto, ottimamente interpretata da tutti e che vale senzaltro la pena di vedere (anche se si esce dalla sala disorientati e non del tutto soddisfatti). Geniali i titoli di testa.
- commento le lesbiche non odiano gli uomini, solo, si sentono poco capite.
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