Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Raro e fulgido esempio di compenetrazione di cronache e fiction. La sua programmazione nella sale italiane si sta addirittura estendendo!
Il voto dei lettori
- voto medio
- 2.1/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 25 lettori
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Lavorare con lentezza
di Guido Chiesa
- Dati
- Titolo originale: Lavorare con lentezza
- Soggetto: Guido Chiesa, Wu Ming
- Sceneggiatura: Guido Chiesa, Wu Ming
- Genere: Drammatico - Storico
- Durata: 111'
- Nazionalità: Italia
- Anno: 2004
- Produzione: Domenico Procacci
- Distribuzione: Fandango
- Data di uscita: 00 00 0000
Il film dei miracoli (con dubbio di genere)
di Sara Troilo
Milano. Sabato. Secondo spettacolo serale. Non e' una prima visione. Fin qui tutto bene. La sala e' affollata, tutti i posti sono occupati e qua timido, si affaccia lo stupore, ma si vergogna troppo per chiedere e si rimette a tacere. Il film scorre fino all'intervallo, molti si lasciano scappare un "No!" detto ad alta voce, lo stesso che stavi pensando anche tu. Proprio lo stesso "No!", pronunciato con punto esclamativo e pathos posizionati nell'identico modo. "No! Non interrompere il film, non stavolta, non ora, dai", piu' o meno questo il significato. Lo stupore torna, stavolta molto piu' disinvolto, e dice "ehila', pubblico caldo stasera, pubblico da festival". Secondo tempo, viscere in subbuglio, nemmeno un sussurro in sala, nemmeno un colpo di tosse. Il film finisce e la platea applaude convinta. Titoli di coda, gli spettatori si alzano, guardi lo stupore come dire "Vedi? Tutto normale, sei il solito visionario", ma la realta' ti smentisce, pochi escono effettivamente dalla sala, molti restano in piedi ad ascoltare le registrazioni dell'irruzione dei carabinieri negli studi di Radio Alice, quella autentica. Intendo fino all'ultima parola. E intendo quella di quel sabato sera quando penso alla fruizione collettiva.
Guido Chiesa torna sul tema di Radio Alice, l'emittente bolognese nata nel 1976 che gia' aveva descritto in un documentario, Alice e' in paradiso, presentato alla penultima edizione del Torino Film Festival. Questa volta il regista decide di romanzare l'argomento con il supporto del collettivo letterario Wu Ming e crea un film esaltante, divertente, drammatico, leggero e doloroso nello stesso tempo, molto simile alla vita. La retorica? C'e', ma e' del tipo buono, e' una retorica che fa abbassare la guardia e mostra il condiviso in modo da far sentire piu' forte cio' che molto forte sentivano le donne e gli uomini che hanno creato Radio Alice e che l'hanno mantenuta in vita e cioe' il senso di appartenenza a una comunita'. L'empatia per i ragazzi della radio si trasmette anche al vicino di poltrona al cinema, al punto che quasi ci si trova disposti a sentirlo addirittura tossire o invaderti la tua parte di bracciolo e questo solo perche' e' li', sta guardando il tuo stesso film e per una volta tutto questo e' molto significativo.
La storia che scorre sulle vicende dell'emittente bolognese e' quella di due ragazzi, Sgualo e Pelo, che non vogliono lavorare in fabbrica e si mettono scavare per conto di un losco individuo, l'unica stazione che riescono a sentire la' sotto e' proprio Radio Alice che da' voce a quell'atteggiamento critico nei confronti del lavoro tanto avversato da parenti e conoscenti. I due decidono di andare a vedere chi parla da quei microfoni e scoprono un mondo nuovo, quel mondo che "da' voce a chi non ha voce". In parallelo scorre la storia del tenente dei carabinieri Lippolis (Valerio Mastrandrea) che obbliga il proprio sottoposto ad ascoltare assiduamente Radio Alice, il risultato e' che il sottoposto prende coscienza di essere un lavoratore e di avere alcuni diritti e Lippolis esaspera la propria condizione di frustrato. In questo quadro a molte voci di un'epoca molto vicina alla nostra, soprattutto nella ricostruzione degli scontri di piazza e dell'uccisione da parte di un carabiniere dello studente Francesco Lo russo, e' chiaro che la molteplicita' di stimoli non permette che si apporfondisca, la narrazione procede fluida, l'intreccio e' semplice da seguire e l'unione di cronaca dell'epoca e vicende romanzate e' particolarmente riuscita.
C'e' solo un grande vuoto e da qui nasce il mio dubbio di genere. Questo vuoto riguarda il movimento femminista trattato come i paria delle caste indiane. L'unico personaggio femminile e' piuttosto prevedibile ed e' interpretato da Claudia Pandolfi. Non appena le donne sono in numero superiore a due la telecamera si sposta dietro ai personaggi che fuggono dalle appestate. A seguito del dubbio subito una dichiarazione. Se un giorno Chiesa e Wu Ming dovessero dichiarare che la morale del film e' che i carabinieri sono meglio delle donne, allora mi vedrei costretta a prendere Lavorare con lentezza, riscrivere la recensione e sbatterlo nella Cloaca.
I lettori hanno scritto 19 commenti
- commento Ué, Cilestrino, Hai visto? :)
- commento direi che con le femministe sono stati pure troppo gentili: minchia, ce le hai presenti le femministe di fine anni 70 e le reduci nazilesbo che si sono conservate intatte fino a oggi? (senza offesa)
- commento Secondo me l'argomento femministe è stato trattato abbastanza bene, anche se in modo ridotto. Di solito ci toccano, a noi donne, bordate insopportabili come quella di bigio.
- commento Concordo su tutta la recensione a parte la critica sull'"antifemminismo". A me non pare, credo che foste invece voi "antimaschiliste".... ;-)
- commento ma che film ha visto questa? ed in che razza di sala visto che c'è stato addirittura un applauso? ma perchè è così evidente che a scrivere è una donna? e soprattutto chi li ha fatti i titoli del film?
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