Una banda musicale egiziana viene invitata a suonare in Israele. Sfortunatamente nessuno si presenta ad accoglierli all'aeroporto.
Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Una banda senza importanza si perde in una desolata cittadina israeliana, dando vita ad una serie di avvenimenti altrettanto insignificanti ma carichi di senso.
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02 11 2013
La Banda
di Eran Kolirin
- Dati
- Titolo originale: Bikur Ha-Tizmoret
- Soggetto:
- Sceneggiatura: Eran Kolirin
- Genere: Commedia - Sociale
- Durata: 90 min.
- Nazionalità: Israele, Francia
- Anno: 2007
- Produzione: July August Productions, Bleiberg Entertainment, Sophie Dulac Productions
- Distribuzione: Mikado
- Data di uscita: 21 03 2008
Recensione pubblicata il 15 03 2008
Questa recensione è stata letta 16664 volte
Quando la banda passò proprio nessuno era lì
di Antinoo
In un posto sperduto in Isreale, non molto tempo fa. Una piccola banda della polizia egiziana è invitata a suonare ad una cerimonia. Il metodico ed impettito Tewfiq (Sasson Gabai), direttore e generale, si ritrova con tutto il suo seguito di musicisti in un aeroporto dove, per qualche strana ragione non meglio chiarita, non c'è nessuno ad attenderli. Risoluto nel proseguire la missione, decide di mandare il bellissimo Haled (Saleh Bakri) in avanscoperta ed a chiedere informazioni. Idea che si rivela pessima: il giovane si intende più di tecniche di attracco romantico che di inglese, e lì nessuno sembra capire la loro lingua. Così, tra My Funny Valentine e un mottetto galante, il giovane sbaglia il nome della città in cui devono recarsi, e il bus trasporta l'intera truppa in una landa desolata del deserto, avente come sfondo una piccola e più che periferica cittadina.
L'unico ristorantino in cui trovano ospitalità è gestito dalla bella e spregiudicata Dina (Ronit Elkabetz) che, incuriosita dalla strana banda, conquistata dal fascino del notevole Haled e sedotta dai modi riservatissimi e intimiditi di Tewfiq, decide di ospitarli per la notte, visto che l'unico bus in grado di portarli al luogo del concerto passerà solo il giorno dopo.
Prende vita, così, una notte in cui si incrociano personaggi strani e insignificanti, costretti ad una vita di grandi rinunce riguardanti piccole cose: il vice direttore d'orchestra che non riesce a finire di comporre la sua overture, il ragazzo fermo al telefono a gettoni in attesa che la fidanzata lontana lo chiami, lo stupido perennemente davanti al ristorante che non sa avvicinare una ragazza perché ogni volta ha come l'impressione che gli rimbombi il mare in un orecchio. Sia le comparse che i protagonisti di questa breve storia divertente e malinconica avranno una notte per incontrarsi, confrontare i propri diversi stile di vita, regalarsi una possibilità di cambiamento, negare un piacere e poi svegliarsi il giorno dopo. Mentre tutto è uguale. Anche loro.
La Banda è il piccolo e delizioso primo film per il cinema di Eran Kolirin, che racconta con moltissima suggestione e pochi fronzoli la quotidianità della vita di frontiera, tra due popoli che dopo essersi odiati per lungo tempo hanno imparato non tanto a rispettarsi quanto a dimenticare l'uno la presenza dell'altro, come la difficoltà a comprendere la reciproca lingua dimostra. Particolare, questo, sicuramente reso molto meglio in lingua originale, dove gli sforzi per intendersi sono certamente più evidenti.
Un film piccolo, come dicevo, senza importanza nelle intenzioni del regista e come recitano i titoli di apertura, ma non per questo senza significato. Restano vive a lungo le molte apparizioni cui assistiamo. Tra tutte, la drammaticamente comica riservatezza di Tewfiq, il cui distacco dal mondo reale e il burrascoso rapporto con il bel Haled nascondono tutto il baratro di una tragica vicenda personale, che si tenta di non ripetere mai più. Ed ancora, la sfacciata ed esibita civetteria di Dina, in netta antitesi con i modi del generale, e per questo utilizzata per conquistarlo. Un ritratto di donna bella e sprecata, che si è accorta troppo tardi di quanto sia stupido non rendersi disponibile emotivamente, e che tenta di rimediare con le tempistiche più sbagliate che si possano immaginare. Sempre senza perdere il ghigno cinico della canzonatura più feroce. Anche verso se stessa. In una terra di confine, dai colori arabi e dall'ironia israeliana.
Mi piace, a questo punto, citare le parole del regista, che spiegano perfettamente i motivi che lo hanno spinto a creare quest'opera:
"È semplice dimenticare le cose che H&M, Pull, Bear e Levi's, tra gli altri, ci hanno fatto dimenticare. Col tempo, abbiamo dimenticato anche noi stessi.
Molti film hanno affrontato le ragioni per cui non esiste la pace nella regione, ma mi sembra che siano stati pochi quelli che si sono posti la domanda 'perché abbiamo bisogno della pace?'. Abbiamo perso le cose più naturali, impegnati come eravamo nelle conversazioni incentrate solo sui vantaggi e gli interessi economici.
Alla fine, sono sicuro che mio figlio e quello del mio vicino si incontreranno in qualche centro commerciale con le luci al neon sotto un'enorme insegna di McDonald's. Forse è una consolazione, non lo so. Quello che è certo, è che abbiamo perso qualcosa in questo percorso. Abbiamo scambiato il vero amore con i rapporti fugaci di una notte, l'arte con il commercio e abbiamo dimenticato il legame tra gli esseri umani e la magia della conversazione, perché la nostra unica preoccupazione era quanto grande fosse la fetta della torta su cui potevamo mettere le mani".
Andatelo a vedere. È un affresco di vita quotidiana che raramente Noi occidentali possiamo permetterci il lusso di dipingere.
L'unico ristorantino in cui trovano ospitalità è gestito dalla bella e spregiudicata Dina (Ronit Elkabetz) che, incuriosita dalla strana banda, conquistata dal fascino del notevole Haled e sedotta dai modi riservatissimi e intimiditi di Tewfiq, decide di ospitarli per la notte, visto che l'unico bus in grado di portarli al luogo del concerto passerà solo il giorno dopo.
Prende vita, così, una notte in cui si incrociano personaggi strani e insignificanti, costretti ad una vita di grandi rinunce riguardanti piccole cose: il vice direttore d'orchestra che non riesce a finire di comporre la sua overture, il ragazzo fermo al telefono a gettoni in attesa che la fidanzata lontana lo chiami, lo stupido perennemente davanti al ristorante che non sa avvicinare una ragazza perché ogni volta ha come l'impressione che gli rimbombi il mare in un orecchio. Sia le comparse che i protagonisti di questa breve storia divertente e malinconica avranno una notte per incontrarsi, confrontare i propri diversi stile di vita, regalarsi una possibilità di cambiamento, negare un piacere e poi svegliarsi il giorno dopo. Mentre tutto è uguale. Anche loro.
La Banda è il piccolo e delizioso primo film per il cinema di Eran Kolirin, che racconta con moltissima suggestione e pochi fronzoli la quotidianità della vita di frontiera, tra due popoli che dopo essersi odiati per lungo tempo hanno imparato non tanto a rispettarsi quanto a dimenticare l'uno la presenza dell'altro, come la difficoltà a comprendere la reciproca lingua dimostra. Particolare, questo, sicuramente reso molto meglio in lingua originale, dove gli sforzi per intendersi sono certamente più evidenti.
Un film piccolo, come dicevo, senza importanza nelle intenzioni del regista e come recitano i titoli di apertura, ma non per questo senza significato. Restano vive a lungo le molte apparizioni cui assistiamo. Tra tutte, la drammaticamente comica riservatezza di Tewfiq, il cui distacco dal mondo reale e il burrascoso rapporto con il bel Haled nascondono tutto il baratro di una tragica vicenda personale, che si tenta di non ripetere mai più. Ed ancora, la sfacciata ed esibita civetteria di Dina, in netta antitesi con i modi del generale, e per questo utilizzata per conquistarlo. Un ritratto di donna bella e sprecata, che si è accorta troppo tardi di quanto sia stupido non rendersi disponibile emotivamente, e che tenta di rimediare con le tempistiche più sbagliate che si possano immaginare. Sempre senza perdere il ghigno cinico della canzonatura più feroce. Anche verso se stessa. In una terra di confine, dai colori arabi e dall'ironia israeliana.
Mi piace, a questo punto, citare le parole del regista, che spiegano perfettamente i motivi che lo hanno spinto a creare quest'opera:
"È semplice dimenticare le cose che H&M, Pull, Bear e Levi's, tra gli altri, ci hanno fatto dimenticare. Col tempo, abbiamo dimenticato anche noi stessi.
Molti film hanno affrontato le ragioni per cui non esiste la pace nella regione, ma mi sembra che siano stati pochi quelli che si sono posti la domanda 'perché abbiamo bisogno della pace?'. Abbiamo perso le cose più naturali, impegnati come eravamo nelle conversazioni incentrate solo sui vantaggi e gli interessi economici.
Alla fine, sono sicuro che mio figlio e quello del mio vicino si incontreranno in qualche centro commerciale con le luci al neon sotto un'enorme insegna di McDonald's. Forse è una consolazione, non lo so. Quello che è certo, è che abbiamo perso qualcosa in questo percorso. Abbiamo scambiato il vero amore con i rapporti fugaci di una notte, l'arte con il commercio e abbiamo dimenticato il legame tra gli esseri umani e la magia della conversazione, perché la nostra unica preoccupazione era quanto grande fosse la fetta della torta su cui potevamo mettere le mani".
Andatelo a vedere. È un affresco di vita quotidiana che raramente Noi occidentali possiamo permetterci il lusso di dipingere.
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