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- 4/5
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Il voto dei lettori
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- Questo film è stato votato da 35 lettori
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02 11 2013
8 donne e un mistero
di François Ozon
- Dati
- Titolo originale: 8 Femmes
- Soggetto: Robert Thomas
- Sceneggiatura: Marina De Van, François Ozon
- Genere: Giallo - Poliziesco
- Durata: 103 min.
- Nazionalità: Francia
- Anno: 2002
- Produzione: Centre National De La Cinematographie, BIM, etc.
- Distribuzione: BIM
- Data di uscita: 00 00 0000
Recensione pubblicata il 27 04 2004
Questa recensione è stata letta 18669 volte
Otto donne e un mistero
di Sara Troilo
Ciò che anni fa "SitCom" aveva promesso ora "Otto donne" mantiene: una commedia grottesca che agisce come un meccanismo a orologeria di programmatica distruzione di ogni legame familiare messo in atto senza cedimenti, con continui colpi di scena e con l'aggiunta, rispetto al film del 1998, di momenti rivelatori del sé delle protagoniste ingegnosamente affidati ad alcune famose canzoni francesi cantate proprio dalle attrici.
Francois Ozon prende l'idea del soggetto poliziesco da una piece teatrale di Robert Thomas portata in scena durante gli anni sessanta e settanta e parte da qui per rivisitare il classico giallo alla Agatha Christie con tocchi che sanno di USA: il noir, la parodia del giallo alla Invito a cena con delitto e il melodramma alla Douglas Sirk; ciò che ci lascia attoniti e ci fa sperare in una raggiunta consapevolezza da parte del regista di sé e del proprio talento, altrove visibile ma mai compiuto, è la millimetrica precisione della messa in scena. L'unità di tempo, di luogo e d'azione pone il film nella giusta dimensione teatrale cui fanno da magistrale sfondo i numerosi tendaggi e le porte usate alla stregua di quinte; le otto attrici sono spesso in scena nel medesimo istante e i movimenti sono calcolati al millimetro tanto da dare l'illusione di non avere fatto altro che lavorare tutte insieme, sempre. Le dichiarazioni di Ozon in proposito sono di massima soddisfazione, il giovane regista francese infatti, da bravo uomo che ama le donne, dice di preferire di gran lunga la direzione di un cast tutto al femminile e non risparmia riferimenti a Truffaut nemmeno nel proprio lavoro: "averti accanto a me è una gioia e una sofferenza" dice la Deneuve alla figlia citando l'espressione a lei rivolta ne "La mia droga si chiama Julie" e "L'ultimo metrò". Il sipario si apre sul ritorno a casa di Suzon (Virginie Ledoyen), prima figlia di Gaby (Catherine Deneuve) accolta dalla sorella minore Catherine (Ludivine Sagnier),dalla zia Augustine (Isabelle Huppert), dalla nonna (Danielle Darrieux) e dalle due domestiche (Emanuelle Beart e Firmine Richard); poco dopo farà la sua apparizione la discussa Pierrette (Fanny Ardant) e la neve penserà a isolarle dal resto del mondo imprigionandole nella grande casa.
Otto donne (e un uomo morto, marginale anche da vivo), otto ritratti di creature complesse e sfaccettate, capaci di accusarsi a vicenda senza risparmiare i colpi bassi (la Ardant a un certo punto mette a tacere la Deneuve dicendole: "Sono una borghese mancata come lei è una puttana mancata") e subito dopo chiedersi consigli di seduzione; ognuna associata a un fiore, nei titoli di testa, ognuna identificata da un colore, negli abiti anni '50 di Dior, ognuna disposta a mettersi allo scoperto interpretando una canzone. Canzoni tratte dal repertorio classico francese, da Sylvie Vartan, Marie Laforet, Dalida, Francoise Hardy, ma cantate dalle attrici a differenza del film di Resnais "Parole, parole, parole " in cui si utilizzava il playback. E il morto? Vessato continuamente, incapace di imporre la propria volontà e nonostante questo in grado di catalizzare l'attenzione di tutte e otto tanto da farci sorgere il sospetto che ciò avvenga a prescindere dalla qualità maschile, ma anzi come esclusiva proiezione della vita interiore femminile; un peso enorme e un ruolo arduo da gestire, tutto sommato, quello del misogino a stretto contatto con tante tipologie di donna e che non a caso viene ripreso esclusivamente di spalle, segno tangibile di quanto sia trascurabile se non addirittura fonte di scelte di nuova vita solo da morto (la Huppert si trasforma infatti da nevrotica e retta vergine in donna fatale nel momento in cui si libera dal pensiero di lui).
Ozon vince una bella scommessa, parte da un plot piuttosto classico per osare funamboliche acrobazie: sottopone una tecnica cinematografica raffinata al servizio dell'impianto teatrale della messa in scena ed evita accuratamente la pesantezza, la staticità e la ricerca di interpretazioni che possano risultare inadeguate al contesto filmico per le attrici, ma non si limita a questo, si inserisce anche appieno nella tradizione del cinema francese dalla nouvelle vague alle dichiarate passioni dei suoi autori più grandi arrivando poi fino a rendere parte integrante (meravigliosamente integrata) quella cantata in un genere preso come modello e poi ribaltato senza pietà come quello del film giallo.
Francois Ozon prende l'idea del soggetto poliziesco da una piece teatrale di Robert Thomas portata in scena durante gli anni sessanta e settanta e parte da qui per rivisitare il classico giallo alla Agatha Christie con tocchi che sanno di USA: il noir, la parodia del giallo alla Invito a cena con delitto e il melodramma alla Douglas Sirk; ciò che ci lascia attoniti e ci fa sperare in una raggiunta consapevolezza da parte del regista di sé e del proprio talento, altrove visibile ma mai compiuto, è la millimetrica precisione della messa in scena. L'unità di tempo, di luogo e d'azione pone il film nella giusta dimensione teatrale cui fanno da magistrale sfondo i numerosi tendaggi e le porte usate alla stregua di quinte; le otto attrici sono spesso in scena nel medesimo istante e i movimenti sono calcolati al millimetro tanto da dare l'illusione di non avere fatto altro che lavorare tutte insieme, sempre. Le dichiarazioni di Ozon in proposito sono di massima soddisfazione, il giovane regista francese infatti, da bravo uomo che ama le donne, dice di preferire di gran lunga la direzione di un cast tutto al femminile e non risparmia riferimenti a Truffaut nemmeno nel proprio lavoro: "averti accanto a me è una gioia e una sofferenza" dice la Deneuve alla figlia citando l'espressione a lei rivolta ne "La mia droga si chiama Julie" e "L'ultimo metrò". Il sipario si apre sul ritorno a casa di Suzon (Virginie Ledoyen), prima figlia di Gaby (Catherine Deneuve) accolta dalla sorella minore Catherine (Ludivine Sagnier),dalla zia Augustine (Isabelle Huppert), dalla nonna (Danielle Darrieux) e dalle due domestiche (Emanuelle Beart e Firmine Richard); poco dopo farà la sua apparizione la discussa Pierrette (Fanny Ardant) e la neve penserà a isolarle dal resto del mondo imprigionandole nella grande casa.
Otto donne (e un uomo morto, marginale anche da vivo), otto ritratti di creature complesse e sfaccettate, capaci di accusarsi a vicenda senza risparmiare i colpi bassi (la Ardant a un certo punto mette a tacere la Deneuve dicendole: "Sono una borghese mancata come lei è una puttana mancata") e subito dopo chiedersi consigli di seduzione; ognuna associata a un fiore, nei titoli di testa, ognuna identificata da un colore, negli abiti anni '50 di Dior, ognuna disposta a mettersi allo scoperto interpretando una canzone. Canzoni tratte dal repertorio classico francese, da Sylvie Vartan, Marie Laforet, Dalida, Francoise Hardy, ma cantate dalle attrici a differenza del film di Resnais "Parole, parole, parole " in cui si utilizzava il playback. E il morto? Vessato continuamente, incapace di imporre la propria volontà e nonostante questo in grado di catalizzare l'attenzione di tutte e otto tanto da farci sorgere il sospetto che ciò avvenga a prescindere dalla qualità maschile, ma anzi come esclusiva proiezione della vita interiore femminile; un peso enorme e un ruolo arduo da gestire, tutto sommato, quello del misogino a stretto contatto con tante tipologie di donna e che non a caso viene ripreso esclusivamente di spalle, segno tangibile di quanto sia trascurabile se non addirittura fonte di scelte di nuova vita solo da morto (la Huppert si trasforma infatti da nevrotica e retta vergine in donna fatale nel momento in cui si libera dal pensiero di lui).
Ozon vince una bella scommessa, parte da un plot piuttosto classico per osare funamboliche acrobazie: sottopone una tecnica cinematografica raffinata al servizio dell'impianto teatrale della messa in scena ed evita accuratamente la pesantezza, la staticità e la ricerca di interpretazioni che possano risultare inadeguate al contesto filmico per le attrici, ma non si limita a questo, si inserisce anche appieno nella tradizione del cinema francese dalla nouvelle vague alle dichiarate passioni dei suoi autori più grandi arrivando poi fino a rendere parte integrante (meravigliosamente integrata) quella cantata in un genere preso come modello e poi ribaltato senza pietà come quello del film giallo.
I lettori hanno scritto 9 commenti
- commento Non so, a me ha annoiato..forse non ho la mentalità adatta a comprendere lo spessore di film come questo. Boh... peccato, perché ero speranzoso quando sono andato a vederlo
- commento Ozon e' un autore quantomeno eclettico, questo glielo si deve...
- commento Non so, non ho mai visto altro di suo... suggerimenti?
- commento l'incipit (ma solo quello) di SitCom e poi Sotto la sabbia che avrebbe dovuto far desistere Martone dal realizzare L'odore del sangue.
- commento uno dei migliori film degli ultimi anni: regia eccezionale, stuolo di attori uno più bravo dell'altro
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