Elena, mediatrice culturale, coivolge la propria famiglia nel proprio lavoro. Il marito di Elena si fa coinvolgere da Nadine in una relazione extraconiugale.
Il voto del redattore
- voto
- 2/5
- valutazione
- Tra il nero seducente e il bianco incompetente, il risultato è il grigio di un film che non affronta alcuna tematica tra quelle giusto suggerisce: dall'integrazione razziale all'onnipresente clichè dei tradimenti all'italiana.
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02 11 2013
Bianco e nero
di Cristina Comencini
- Dati
- Titolo originale: Bianco e nero
- Soggetto: Cristina Comencini, Giulia Calenda, Maddalena Ravagli
- Sceneggiatura: Cristina Comencini, Giulia Calenda, Maddalena Ravagli
- Genere: Drammatico - Sociale
- Durata: 100 min.
- Nazionalità: Italia
- Anno: 2007
- Produzione: Cattleya, Rai Cinema
- Distribuzione: 01 Distribution
- Data di uscita: 11 01 2008
Recensione pubblicata il 04 02 2008
Questa recensione è stata letta 16177 volte
Ma prendere Lezioni di Cioccolato?
di Antinoo
In una Roma di facciata, ben diversa da quella che gli occhi da straniero di Ozpetek riescono a mostrarci, Elena (Ambra Angiolini) dedica forze, tempo ed impegno quasi maniacale al volontariato pro Africa, spalleggiata dal fido Bertrand (Eriq Ebouaney), intellettuale di colore e dalla notevole favella. Tra un paio di consigli utili per un consumo equo e solidale, e qualche problemino di famiglia, giunge il giorno di un importante convegno sul tema della fame nel Continente Nero. Paraponziponzipò, Elena pretende che il marito Carlo (Fabio Volo), tecnico informatico più annoiato che persuaso dalle continue battaglie sociali della mogliettina, partecipi a questo fondamentale avvenimento. Causa profusione di foto di repertorio e discorsi retorici, per Carlo (e non solo) lo sbadiglio e una sigaretta in giardino sono esigenze fisiologiche. Qui, l'apatico (e ci credo) individuo incontra la bellissima Nadine (Aïssa Maïga), che accende occhi e speranze con il suo solo apparire, nel caso non bastassero elegante ironia e una innata classe. Peccato, a fine conferenza, Carlo scopra che Nadine è la moglie di Bertrand, l'idolo di Elena, ma nonostante questo non rinuncia ad invitarla al compleanno della figlia, previa preghiera di portare anche i suoi, così da rivederla ancora e dare un piccolo tocco di colore etnico misto a solidarietà esibita che tanto farà felice una riluttante (perché le donne sono sveglie) Elena.
Il compleanno si risolve, ovviamente, come lo spunto ideale per mostrare tutte le difficoltà a cui un certo tipo di buonismo sottopone i poveri extraeuropei che, probabilmente, vorrebbero solo godersi una tranquilla festicciola tra bambini, invece che essere continuamente accompagnati da sguardi di compatimento se si parla della propria terra o sussulti di stupore indignato, quando riveli di indossare abiti firmati da stilisti di grido, esattamente come chiunque altro. Ma, nonostante tutti i limiti di questa condizione, Nadine e Carlo non riescono a stare lontani l'una dall'altro, e con un computer da rimettere in sesto come escamotage, i due iniziano a rincorrersi, non trovarsi, fraintendersi e, infine, amarsi con tutta la passionalità che l'esoticamente reciproco desiderio implica. "La passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie", direbbe il poeta, ma in questo caso si sa che il concupito ha sì il cuore libero, ma anche moglie: che scopre tutto, butta fuori di casa il marito, rimette in discussione la sua simpatia per la comunità africana e getta nello sconforto la famigliola altolocata. A Nadine non tocca sorte migliore e finisce ad occupare uno squallido appartamento pieno zeppo di manufatti da bancarella etnica da vendere, sospesa tra il concedersi la possibilità di vivere fino in fondo la propria passione o cercare di rimettere insieme i pezzi del suo matrimonio per amore dei figli, per stima verso il marito e verso una comunità intera che teme di aver tradito. La risposta la troverà tra un paio di citazioni cinematografiche un po' forzate, il naturale istinto di madre e la tentazione di un corpo dal colore così diverso dal suo.
Questo è, in linea di massima, l'incipit di Bianco e Nero, il nuovo film di Cristina Comencini in cui, se ce ne fosse ancora bisogno, la regista dà prova di non essere all'altezza dei temi che si permette di trattare. Così come La Bestia nel Cuore finisce con il narrare lo spinoso tema dell'incesto risolvendolo in maniera confusa, poco approfondita e discretamente superficiale (se mai sia possibile trattare così un tabù tanto complesso), qui allo stesso modo mette tantissima carne al fuoco, crea qualche situazione divertente e stop. I personaggi sono poco delineati, al limite del ridicolo, e il prezioso spunto della curiosità non del bianco verso il diverso, ma del diverso verso il bianco, viene lasciato languire, preferendogli una certa retorica da hard discount. Così la figlia di Nadine, non avendo mai posseduto una Barbie bionda perché non c'è nessun motivo per identificarsi in lei secondo l'integralissimo padre, si ritrova a rubarne una alla figlia di Elena, scatenando le scene di panico da compleanno che si possono facilmente immaginare, come se le Winx, oramai, non avessero aggirato l'ostacolo proponendosi multietniche di default. Così la famiglia di Elena, tutto sommato, non ha mai visto di buon occhio l'impegno della figlia, per questo tiene in casa una domestica di colore. Per questo la relazione clandestina è costretta a tornare nei ranghi. O forse no?
Spunti sprecati, dicevo, quando si sarebbe potuto dare ampio spazio al cambiamento interiore di Elena, un'attivista che si scopre tradita non solo dalla persona che ama, ma anche dall'ideale a cui ha dedicato tutto; alla vicenda interiore di Nadine, che continuamente si chiede se in lei venga vista la nera o la bella, quando lei stessa si interroga con curiosità morbosa circa il candore dei corpi e i tratti diversissimi che la circondano, come dimostra la splendida scena di sesso, l'unica cosa davvero memorabile del film. Il tema della diversità razziale, più che non risolto, sembra semplicemente non affrontato: né dal punto di vista drammatico, come a volte si tenta inutilmente, né tramite una intelligente ironia, come nel caso eclatante e del tutto insperato di Lezioni di Cioccolato di Claudio Cupellini.
I talenti naturali di Aïssa Maïga, dotata di una bellezza pari alla gamma di sfumature recitative che riesce a rendere anche con un solo battito di ciglia, e Ambra Angiolini, che dà una buona prova confrontandosi con il personaggio di donna senza importanza, anonima e senza alcuna reale capacità attrattiva, parecchio distante dalla sua immagine pubblica. Cos'altro resta, togliendo tutto questo? Una cartolina di Roma a due facciate, quella dei quartieri bene che si alterna ai tuguri ricavati dagli appartamenti di Piazza Vittorio, l'area di svago per bambini a Villa Borghese, un fuoriluogo e, per giunta, mal girato se si pensa alla potenza evocativa di un simile remake, bagno a Fontana di Trevi. E soprattutto la totale pochezza di Fabio Volo: come attore in sè, come personaggio nella storia, e come incarnazione dell'uomo bianco desiderabile, il cui infelice culo poco tonico dobbiaMo sorbirci per 15 interminabili secondi di ripresa.
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