Il voto del redattore
- voto
- 2/5
- valutazione
- Uno spaccato della complessa vicenda della nascita dello stato di Israele narrata attraverso una storia di amicizia, in maniera quotidiana e, forse per questo, troppo semplicistica.
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02 11 2013
O' Jerusalem
di Elie Chouraqui
- Dati
- Titolo originale: O' Jerusalem
- Soggetto: Tratto dal romanzo "Gerusalemme! Gerusalemme!" di Dominique Lapierre e Larry Collins
- Sceneggiatura: Didier Le Pêcheur ,Elie Chouraqui
- Genere: Drammatico - Storico
- Durata: 100 min.
- Nazionalità: USA, Francia, Grecia, Italia, Gran Bretagna, Israele
- Anno: 2006
- Produzione: Films 18 Ltd., Les Films de l'Instant, Titania Produzioni, G. Israel Studios Ltd., VIP 3 Medienfonds
- Distribuzione: Medusa
- Data di uscita: 23 11 2007
Recensione pubblicata il 04 12 2007
Questa recensione è stata letta 16497 volte
L'amico non è stato ritrovato.
di Antinoo
Poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, a New York si respira un'aria di gioia ed euforia data anche da un ritrovato slancio economico, alternata da notizie di attentati ed incidenti che accadono di tanto in tanto nelle zone ancora roventi, come la Palestina. Il giovane ebreo Bobby Goldman (J.J. Feild) conosce fortuitamente l'altrettanto giovane arabo Saïd Chahine (Saïd Taghmaoui) e subito stringono una intensa amicizia, dividendo donne, divertimento, opinioni politiche e quotidianità. Al gruppo si unisce anche l'amico di Bobby, Jacob (Mel Raido), più sensibile alla tensione che inizia a serpeggiare tra ebrei ed arabi e alla prospettiva del ritorno a Gerusalemme da parte della comunità ebraica. La situazione precipita quando Jacob annuncia di volersi arruolare nell'esercito di ebrei che vuol prendere la città, a cui Saïd risponde con la stessa minaccia, ovviamente dall'altra parte della barricata. Alla fine, sedati gli animi, tutti si ritrovano a Gerusalemme, insieme. Per pochissimo.
La famiglia di Saïd, da sempre abituata a convivere pacificamente con gli ebrei che occupano parte della Città Vecchia, inizia a sentirsi minacciata dalla crescente, e a questo punto ostile, presenza ebraica. Di contro, gli ebrei iniziano a vedere in ogni arabo un potenziale nemico. La diatriba, molto realisticamente, è: a chi appartiene quella terra? A coloro ai quali Dio l'ha promessa millenni prima, come ritengono i più ortodossi tra gli ebrei, o a chi l'ha naturalmente occupata dopo la Diaspora? Una rivalità che mano mano cresce fino a raggiungere una escalation di violenza che culmina in sanguinosi attentati da entrambe le parti. Una guerra civile e, di fatto, fratricida, che si combatte con tutti i mezzi: dalle autobombe alle imboscate tra i vicoli, fino alla vera e propria organizzazione di eserciti improvvisati, ed armatissimi, da entrambe le parti. Ovviamente questo separa Bobby e Saïd, nonostante l'affetto fraterno e il tentativo di non prendere mai le parti di nessuno dei due schieramenti. Ma la morte genera morte così, dopo l'assassinio di Jacob da parte delle milizie arabe, e dell'attentato in cui perde la vita il giovane fratello di Saïd, i due sanno che dovranno prendere parte alla lotta. Non solo malgrado la loro amicizia, ma con la piena volontà di vendetta e la precisa intenzione di uccidere.
Questo, in linea di massima, è O' Jerusalem, film tratto dal romanzo Gerusalemme! Gerusalemme! di Dominique Lapierre e Larry Collins e girato dal regista francese Elie Chouraqui: una trama molto semplice, lineare, fedele agli eventi storici che narra. Fin troppo, secondo Me. Lo stile è didascalico, il trattamento documentaristico. Probabilmente Chouraqui si è posto come preciso intento il non prendere le parti di alcuno, cosa che ho sempre pensato fondamentale circa la questione Palestinese, argomento a Me molto caro. Narra le vicende di questi amici in maniera quotidiana, realistica, mostrando efficacemente i sentimenti delle due comunità, improvvisamente in lotta l'una contro l'altra per la sopravvivenza, in senso stretto. Una lotta che, per antonomasia, non ha alcuna possibilità di soluzione, perché entrambe le parti hanno dalla loro la precisa convinzione di possedere per diritto quella terra: storico, divino e culturale.
Ma, se non viene portato avanti con il giusto atteggiamento, spesso l'atteggiamento "imparziale" si accompagna a "superficiale", ed è questo il rischio che il film corre, in cui inciampa e si accascia completamente: i dialoghi sono ovvi come lo possono essere quelli di due amici che non capiscono perché debbano improvvisamente considerarsi non solo rivali, ma nemici mortali. Le pressioni dei nuclei familiari e culturali sono facilmente intuibili. Fin qui tutto bene, si potrebbe parlare di estremo realismo. Il problema è l'approfondimento psicologico. Forse, per esigenze di durata, il regista è stato costretto ad asciugare sfumature e possibili sfaccettature, ma a questo punto forse non era il caso di scegliere un tema così complesso come quello della fondazione dello stato d'Israele. I sentimenti ambivalenti, misti a pietà per l'Olocausto e precisa percezione che lo stesso sia usato come motivazione per occupare con la violenza un territorio con la connivenza di nazioni e stati che, per senso di colpa od opportunità economiche, appoggiano la comunità ebraica, vengono davvero soltanto sfiorati. Il dramma di chi, dopo esser sopravvissuto ai campi di concentramento, trova una morte veloce e, forse, anche abbastanza sterile se non la si guarda con occhi di ebreo, è giusto accennata. Le reazioni del mondo musulmano, che vede la prepotenza occidentale dispiegarsi in tutta la sua forza senza nemmeno prendere in considerazione (e neppure senza prendersi il disturbo di analizzarle) delicate dinamiche vecchie di secoli che appaiono per fugaci istanti (mentre una riflessione in questo senso servirebbe a spiegare situazioni attualissime, invece di gridare alla minaccia islamica tanto a vanvera: non si dovrebbe mai nominare il nome di Dio invano, appunto). E poi, Dio Mio (ecco, qui ci sta tutto), il giochino delle immagini d'epoca in bianco e nero alternate alle scene del film che, delicatamente prendono colore, è un escamotage che nel migliore dei casi ricorda qualche special televisivo particolarmente ben fatto, nel peggiore la spaventevole fiction Compagni di Strada, di François Luciani che narra le vicende del popolino francese durante il Secondo Dopoguerra, appunto.
La famiglia di Saïd, da sempre abituata a convivere pacificamente con gli ebrei che occupano parte della Città Vecchia, inizia a sentirsi minacciata dalla crescente, e a questo punto ostile, presenza ebraica. Di contro, gli ebrei iniziano a vedere in ogni arabo un potenziale nemico. La diatriba, molto realisticamente, è: a chi appartiene quella terra? A coloro ai quali Dio l'ha promessa millenni prima, come ritengono i più ortodossi tra gli ebrei, o a chi l'ha naturalmente occupata dopo la Diaspora? Una rivalità che mano mano cresce fino a raggiungere una escalation di violenza che culmina in sanguinosi attentati da entrambe le parti. Una guerra civile e, di fatto, fratricida, che si combatte con tutti i mezzi: dalle autobombe alle imboscate tra i vicoli, fino alla vera e propria organizzazione di eserciti improvvisati, ed armatissimi, da entrambe le parti. Ovviamente questo separa Bobby e Saïd, nonostante l'affetto fraterno e il tentativo di non prendere mai le parti di nessuno dei due schieramenti. Ma la morte genera morte così, dopo l'assassinio di Jacob da parte delle milizie arabe, e dell'attentato in cui perde la vita il giovane fratello di Saïd, i due sanno che dovranno prendere parte alla lotta. Non solo malgrado la loro amicizia, ma con la piena volontà di vendetta e la precisa intenzione di uccidere.
Questo, in linea di massima, è O' Jerusalem, film tratto dal romanzo Gerusalemme! Gerusalemme! di Dominique Lapierre e Larry Collins e girato dal regista francese Elie Chouraqui: una trama molto semplice, lineare, fedele agli eventi storici che narra. Fin troppo, secondo Me. Lo stile è didascalico, il trattamento documentaristico. Probabilmente Chouraqui si è posto come preciso intento il non prendere le parti di alcuno, cosa che ho sempre pensato fondamentale circa la questione Palestinese, argomento a Me molto caro. Narra le vicende di questi amici in maniera quotidiana, realistica, mostrando efficacemente i sentimenti delle due comunità, improvvisamente in lotta l'una contro l'altra per la sopravvivenza, in senso stretto. Una lotta che, per antonomasia, non ha alcuna possibilità di soluzione, perché entrambe le parti hanno dalla loro la precisa convinzione di possedere per diritto quella terra: storico, divino e culturale.
Ma, se non viene portato avanti con il giusto atteggiamento, spesso l'atteggiamento "imparziale" si accompagna a "superficiale", ed è questo il rischio che il film corre, in cui inciampa e si accascia completamente: i dialoghi sono ovvi come lo possono essere quelli di due amici che non capiscono perché debbano improvvisamente considerarsi non solo rivali, ma nemici mortali. Le pressioni dei nuclei familiari e culturali sono facilmente intuibili. Fin qui tutto bene, si potrebbe parlare di estremo realismo. Il problema è l'approfondimento psicologico. Forse, per esigenze di durata, il regista è stato costretto ad asciugare sfumature e possibili sfaccettature, ma a questo punto forse non era il caso di scegliere un tema così complesso come quello della fondazione dello stato d'Israele. I sentimenti ambivalenti, misti a pietà per l'Olocausto e precisa percezione che lo stesso sia usato come motivazione per occupare con la violenza un territorio con la connivenza di nazioni e stati che, per senso di colpa od opportunità economiche, appoggiano la comunità ebraica, vengono davvero soltanto sfiorati. Il dramma di chi, dopo esser sopravvissuto ai campi di concentramento, trova una morte veloce e, forse, anche abbastanza sterile se non la si guarda con occhi di ebreo, è giusto accennata. Le reazioni del mondo musulmano, che vede la prepotenza occidentale dispiegarsi in tutta la sua forza senza nemmeno prendere in considerazione (e neppure senza prendersi il disturbo di analizzarle) delicate dinamiche vecchie di secoli che appaiono per fugaci istanti (mentre una riflessione in questo senso servirebbe a spiegare situazioni attualissime, invece di gridare alla minaccia islamica tanto a vanvera: non si dovrebbe mai nominare il nome di Dio invano, appunto). E poi, Dio Mio (ecco, qui ci sta tutto), il giochino delle immagini d'epoca in bianco e nero alternate alle scene del film che, delicatamente prendono colore, è un escamotage che nel migliore dei casi ricorda qualche special televisivo particolarmente ben fatto, nel peggiore la spaventevole fiction Compagni di Strada, di François Luciani che narra le vicende del popolino francese durante il Secondo Dopoguerra, appunto.
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