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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 3/5
  • valutazione
  • Gradevole alla vista ma… nulla di nuovo sul fronte meridionale!
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 5/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 2 lettori
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  • genere Drammatico
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Il regista di matrimoni
  • di Marco Bellocchio
  • dal
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The Artist
  • di Michel Hazanavicius
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  • genere Drammatico
  • tipo Sentimentale
  • Roberta Folatti
 
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Recensione 4
La pelle che abito
  • di Pedro Almodóvar
  • dal 23 09 2011
  • genere Drammatico
  • tipo Sentimentale
  • Anna Romana Sebastiani
 
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Recensione 5
The Tree of Life
  • di Terrence Malick
  • dal 18 05 2011
  • genere Drammatico
  • tipo Sentimentale
  • Sara Troilo
 
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Info

Il dolce e l'amaro

di Andrea Porporati

 
    Dati
  • Titolo originale: Il dolce e l'amaro
  • Soggetto: Andrea Porporati
  • Sceneggiatura: Andrea Porporati, Annio Gioacchino Stasi
  • Genere: Drammatico - Sentimentale
  • Durata: 98 min.
     
  • Nazionalità: Italia
  • Anno: 2007
  • Produzione: Medusa Film
  • Distribuzione: Medusa
  • Data di uscita: 05 09 2007
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Un uomo (d'onore) senza qualità

di Luisa Beretta

Ambientato nella Sicilia dei primi anni Ottanta, il film narra la vicenda "piccola piccola" di Saro Scordia: picciotto che, dopo la morte in carcere del padre, viene preso sotto tutela da don Gaetano Butera (mafioso di spicco). Comincia così la sua carriera all'interno di cosa nostra, con le prime rapine e gli incarichi di scarsa rilevanza. Finché un giorno si presentano prove di fiducia molto più dure: uccidere per ordine del padrino. "Nella vita c'è il dolce e c'è l'amaro" è quanto apprende in fretta il giovane aspirante mafioso.

Quante pellicole sono state girate sulla mafia? Quante storie di padrini, giudici, testimoni, eroi e antieroi ci sono state raccontate? Con Il dolce e l'amaro Porporati riesce in parte a farcele dimenticare pur non aggiungendo nulla di particolarmente nuovo e originale in merito allo scottante argomento (credo sia questo il "pregio" principale del film). Ci allontaniamo dal cinema dei gangster, delle pallottole, delle stragi e degli ammazzamenti, così come non veniamo sfiorati da indagini, tribunali, pentiti, processi e maxiprocessi. Impariamo però subito le regole di cosa nostra: guardare il sole, osservare la luna, giudicare il cielo e il mondo intero con occhi non nostri, ma con lo sguardo del padrino, attraverso le lenti della violenza. Che obbligano a sottomettersi alle leggi della prepotenza, ad annullare le percezioni, la coscienza e lo spirito critico di ogni individuo. Nascere alla Kalsa (uno dei quartieri più antichi di Palermo), già negli anni '60 ma forse ancora oggi, significa confrontarsi da subito con un codice etico e morale del tutto sballato, confuso e fragile, in cui "giusto" e "sbagliato", "corretto" e "scorretto", "bene" e "male" sono parole divise da confini labili e spesso impercettibili. Dove sta infatti la giustizia quando Saro viene richiamato in prigione per l'ultimo colloquio con il padre? Il diritto è per caso garantito da un infimo direttore carcerario (che tra l'altro ci appare come il più viscido dei malavitosi) ostaggio dei rivoltosi e in balia di un ragazzino? È questo lo Stato che dovrebbe proteggere, garantire e tutelare i propri cittadini?

Vivere il proprio quotidiano in una tale atmosfera (ed è proprio questo che il film descrive con precisione) è pericolosamente scivoloso, si rischia troppo spesso di confondersi accettando le lusinghe e i privilegi che un'organizzazione criminale ben organizzata garantisce ai suoi affiliati. Saro (un Luigi Lo Cascio che, dopo I cento passi, si ritrova "dall'altra parte della barricata") è povero, solo e sufficientemente svelto per essere adescato dal boss di turno. Tutto fila liscio per un lungo periodo: i soldi arrivano, le donne sono sempre più disponibili, il lusso diventa accessibile anche a chi ha sempre vissuto una vita di stenti. Tutto fila liscio, o quasi. Perché Ada (Donatella Finocchiaro si rivela una piacevole conferma), la ragazza che Saro davvero ama, peraltro ricambiato, rifiuta il suo nuovo ruolo di "piccolo uomo d'onore", lo respinge con dolore, lo tradisce provocando altra violenza, cieca e furiosa, e infine fugge. Perché lei rappresenta in fondo lo stereotipo più classico della donna siciliana: coraggiosa ma antica, fiera ma in parte ancora sottomessa. E allora, piuttosto che combattere a viso aperto, preferisce farlo defilandosi e vivendo altrove una vita perbene. Ma è proprio a partire da questo abbandono che anche in Saro qualcosa si spezza (o forse si rafforza, facendosi consapevolezza) e il picciotto capisce troppo tardi di non essere null'altro che un piccolo ingranaggio, perfettamente sostituibile, in un sistema molto più grande e complicato del previsto: quando non si è più utili e anzi si diventa fastidiosi, si viene rimpiazzati con estrema facilità. Gli unici appigli cui aggrapparsi restano allora l'amicizia e l'amore. Quelli veri però, quelli di chi ci ha visto crescere, poi sbagliare e infine tentare di correggerci. Di chi sa volerci bene senza giudicare e senza fare il conto degli errori commessi: Ada e il giudice Massirenti (Fabrizio Gifuni), l'amico-rivale di sempre (prima in amore e poi nella vita). Il passato è tuttavia sempre in agguato e in fondo dobbiamo comunque fare i conti con noi stessi, con le nostre scelte e le nostre azioni: non possiamo cancellare la vita trascorsa con un colpo di spugna e magicamente crearne una nuova e pulita senza conseguenza alcuna. Se il finale "ilare" mi ha lasciata perplessa, l'unica consolazione è proprio la mancanza di perdono, di espiazione e riscatto (così tipicamente e cattolicamente italiani). Tutto torna, senza speranza. Forse perché non c'è stato pentimento o perché Saro si è trovato costretto a scegliere una vita altra, senza convertirsi fino in fondo al dolce ma crogiolandosi ancora nell'abitudine dell'amaro.

 
 
 
 
 
 
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