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- Horror trito e ritrito che inanella inutilmente una sequenza gore dietro l'altra.
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Captivity
di Roland Joffè
- Dati
- Titolo originale: Captivity
- Soggetto: Larry Cohen
- Sceneggiatura: Larry Cohen e Joseph Tura
- Genere: Drammatico - Horror
- Durata: 96 min.
- Nazionalità: USA, Russia
- Anno: 2007
- Produzione: Foresight, Ramco Films
- Distribuzione: Filmauro
- Data di uscita: 31 08 2007
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Prevedibilità alle stelle e zero tensione
di Francesca Paciulli
Per tutta la durata del film, Elisha Cuthbert si dimena e si agita nelle situazioni più assurde. Nella polvere, nel fango, nella sporcizia. Eppure sul suo viso perfettamente truccato e tra i suoi capelli biondo miele, di tutto questo agitarsi non resta la minima traccia. Possibile? Sì, stando alla risibile logica (?) della sceneggiatura di Larry Cohen (Cellular) e Joseph Tura, secondo la quale una ragazza (la bella Elisha) segregata da un maniaco guardone in una cella buia, trova anche il tempo e il coraggio di amoreggiare con il piacente dirimpettaio di prigionia (Daniel Gillies già visto in Spider Man 2 e Spider Man 3). Assurdità per assurdità, alla cabina di regia troviamo non il solito autore di frenetici video-clip pronto al salto di "qualità", bensì Roland Joffè, un regista con alle spalle una carriera di tutto rispetto (dal coinvolgente Urla del silenzio a The Mission, enfatico e ridondante ma pur sempre buona materia di celluloide). Resta misterioso (o forse no) il motivo che può aver spinto il regista inglese ad accettare di mettere la firma su un horror dalle fastidiose e improbabili velleità psicologiche.
Preceduta in America da nutrite polemiche legate all'eccessiva efferatezza della sua campagna promozionale (istigazione alla violenza e mercificazione del corpo femminile sono solo alcune delle accuse lanciate dalla stampa estera dopo che le prime esplicite locandine del film hanno iniziato a circolare), Captivity prova - senza successo - a seguire il filone inaugurato con risultati ragguardevoli da Saw - L'enigmista e Hostel, dei quali ripropone momenti "al sangue" e violenze psicologiche al limite del sostenibile, perdendo tuttavia lungo la strada senso del ritmo e tensione e scadendo spesso e volentieri nella comicità involontaria.
Seguiamo così, minuto per minuto, il crescendo di angoscia e orrore nello sguardo della giovane Jennifer Tree (la canadese Elisha Cuthbert, ex porno-star in La ragazza della porta accanto e gemellina in pericolo in La maschera di cera), una modella newyorkese le cui immagini patinate campeggiano sulle copertine dei magazine di moda, sugli autobus e sui muri della Grande Mela (un po' come per la collega Scarlett Johannson in The Island, fanta-thriller fracassone di Michael Bay che al confronto con la pellicola di Joffè sembra una vera raffinatezza). Una sera, questa giovane donna apparentemente sicura di se stessa, ma in realtà piena di fragilità nascoste (e anche questa non è proprio una grande invenzione), si reca a Soho ad un evento di beneficenza e la mattina dopo, inspiegabilmente, si sveglia confusa e intontita in una cella buia e senza vie d'uscita. Il suo peggiore incubo sta per iniziare: alle pareti una serie di monitor rimandano alcuni spezzoni tratti da vecchie interviste che la ritraggono mentre confessa all'intervistatore le sue passioni e, soprattutto, le sue fobie. Come dire: una bella imbeccata per il sadico maniaco che l'ha rapita e intrappolata e che può ora intrattenersi sottoponendo Jennifer ad una serie di terribili prove psichiche (con il prevedibile corollario di enigmi e indovinelli), e ad un ventaglio di efferatezze sanguinarie al limite del sopportabile. Tentare di fuggire è inutile, la sola consolazione per Jennifer è percepire oltre il muro della sua cella la presenza di un altro prigioniero, Gary Dexter (Gillies), altrettanto ignaro di cosa gli stia accadendo e legato al torturatore da un elemento non del tutto trascurabile.
Prevedibilità alle stelle e zero tensione, per una pellicola che inanella inutilmente una sequenza gore dietro l'altra (a cominciare da quella del "frullato") senza mai incutere un vero senso di claustrofobia. Non si salva nemmeno l'interpretazione della bionda Elisha Cuthbert perché, a differenza del serial che le ha dato la fama, 24, qui non c'è una sceneggiatura solida a sostenerla e neppure un protagonista di prima grandezza come Kiefer Sutherland a rubarle la scena e a farci digerire gli occhioni di Elisha/Jennifer perennemente sgranati.
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