Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Un altro memorabile fiume ostile della storia del cinema. Plumbeo e desolato.
Il voto dei lettori
- voto medio
- 4.2/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 4 lettori
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02 11 2013
Still Life
di Jia Zhang-Ke
- Dati
- Titolo originale: Sanxia Haoren
- Soggetto: Jia Zhang-Ke
- Sceneggiatura: Jia Zhang-Ke
- Genere: Drammatico - Sociale
- Durata: 108 min.
- Nazionalità: Cina, Hong Kong
- Anno: 2007
- Produzione: Shangai Film Studios/Xstream Pictures
- Distribuzione: Lucky Red
- Data di uscita: 00 00 0000
Recensione pubblicata il 07 04 2007
Questa recensione è stata letta 15985 volte
Le città sommerse
di Vincenzo Rossini
Non c'è casa senza terra. È il verso di una canzone, una delle molte canzoni disperate che si ascoltano durante il film. La casa non c'è perché la terra verrà sommersa: la gigantesca diga delle Tre Gole sul fiume Yangtze in Cina, di prossima ultimazione (2009), ha causato l'innalzamento del livello del fiume di più di 100 metri, sommergendo villaggi e citta' e costringendo più di un milione di cinesi a cercarsi un'altra casa.
La diga è il set di Still Life, il film del regista cinese Jia Zhang Ke che ha vinto a sorpresa l'ultima Mostra del Cinema di Venezia. Ci sono due storie in Still Life: quella di un minatore che cerca sua moglie, rapita 16 anni prima, e quella dell'infermiera che cerca il marito per comunicargli che vuole lasciarlo. Due persone che cercano qualcosa di definito tra il milione di cinesi che non sa cosa cercare: se una casa, un lavoro, una paga migliore. O niente. È tutto indistinto, tutto uggioso e senza spiragli di luce. L'acqua si prenderà tutto, fino a dove le case sono marcate, un segno sulle pareti per dichiarare che ciò che ora emerge dalla terra sarà presto distrutto. Guardando Still life si ha come la sensazione che il protagonista assoluto del film sia il senso di incombenza, l'avvicinarsi inesorabile della desolazione. Ragionando per paradossi, Still Life potrebbe essere addirittura un film di fantascienza, con il grande mostro - la diga - che non si vede mai, ma che influenza come un morbo tutti i caratteri, il cielo plumbeo, i palazzi che cadono, le masse che vagano senza meta, gli annunci alla televisione
Allo stesso tempo Still Life entra ed esce in continuazione dall'idea di film documentario, è girato in digitale ed è stato ampiamente ritoccato in post-produzione, lavorando sulle immagini nude come se fossero oggetti reali disposti su una tela. Still Life è così: un incubo inquietante e reale, riflessione in punta di coltello sui rischi dell'evoluzione. È un film di sirene che sono presagi nefasti, di sudore e diffidenza, di solitudine inguaribile, di giganti edilizi costruiti e demoliti, di dialoghi lenti che sembrano andare da nessuna parte - anche se il film non è poi così lento come potrebbe sembrare, e ogni scena è funzionale, mai decorativa. Oltre a tutto questo, Still Life è venato di una poesia sottile che si fa strada in piccoli squarci di vita quasi impercettibili, come un equilibrista sul filo tra due palazzi in demolizione o un mostruoso edificio che per un secondo si trasforma in un razzo spaziale. Attimi surreali, dosati, limati e ridotti all'essenziale. C'è anche dell'ironia e dell'umana tenerezza tra le macerie, e capita di provare una sottile emozione quando due personaggi ingannano il tempo ascoltando le reciproche suonerie dei cellulari, e una delle due suonerie è una canzone amara sulla morte delle certezze. Una scena che poteva scadere nel kitsch più banale, e invece è un piccolo brivido.
Non so dire se fosse il migliore dei film in concorso a Venezia 2006; il Leone d'Oro, fortunatamente, ha permesso a Still Life di essere distribuito qua e là. A differenza di altri film asiatici che a noi occidentali piacciono molto, Still Life è un film che urta perché non è patinato, né estetizzante. Non sarà una visione facile, ma se lo si vede con la giusta predisposizione, è un film gratificante.
La diga è il set di Still Life, il film del regista cinese Jia Zhang Ke che ha vinto a sorpresa l'ultima Mostra del Cinema di Venezia. Ci sono due storie in Still Life: quella di un minatore che cerca sua moglie, rapita 16 anni prima, e quella dell'infermiera che cerca il marito per comunicargli che vuole lasciarlo. Due persone che cercano qualcosa di definito tra il milione di cinesi che non sa cosa cercare: se una casa, un lavoro, una paga migliore. O niente. È tutto indistinto, tutto uggioso e senza spiragli di luce. L'acqua si prenderà tutto, fino a dove le case sono marcate, un segno sulle pareti per dichiarare che ciò che ora emerge dalla terra sarà presto distrutto. Guardando Still life si ha come la sensazione che il protagonista assoluto del film sia il senso di incombenza, l'avvicinarsi inesorabile della desolazione. Ragionando per paradossi, Still Life potrebbe essere addirittura un film di fantascienza, con il grande mostro - la diga - che non si vede mai, ma che influenza come un morbo tutti i caratteri, il cielo plumbeo, i palazzi che cadono, le masse che vagano senza meta, gli annunci alla televisione
Allo stesso tempo Still Life entra ed esce in continuazione dall'idea di film documentario, è girato in digitale ed è stato ampiamente ritoccato in post-produzione, lavorando sulle immagini nude come se fossero oggetti reali disposti su una tela. Still Life è così: un incubo inquietante e reale, riflessione in punta di coltello sui rischi dell'evoluzione. È un film di sirene che sono presagi nefasti, di sudore e diffidenza, di solitudine inguaribile, di giganti edilizi costruiti e demoliti, di dialoghi lenti che sembrano andare da nessuna parte - anche se il film non è poi così lento come potrebbe sembrare, e ogni scena è funzionale, mai decorativa. Oltre a tutto questo, Still Life è venato di una poesia sottile che si fa strada in piccoli squarci di vita quasi impercettibili, come un equilibrista sul filo tra due palazzi in demolizione o un mostruoso edificio che per un secondo si trasforma in un razzo spaziale. Attimi surreali, dosati, limati e ridotti all'essenziale. C'è anche dell'ironia e dell'umana tenerezza tra le macerie, e capita di provare una sottile emozione quando due personaggi ingannano il tempo ascoltando le reciproche suonerie dei cellulari, e una delle due suonerie è una canzone amara sulla morte delle certezze. Una scena che poteva scadere nel kitsch più banale, e invece è un piccolo brivido.
Non so dire se fosse il migliore dei film in concorso a Venezia 2006; il Leone d'Oro, fortunatamente, ha permesso a Still Life di essere distribuito qua e là. A differenza di altri film asiatici che a noi occidentali piacciono molto, Still Life è un film che urta perché non è patinato, né estetizzante. Non sarà una visione facile, ma se lo si vede con la giusta predisposizione, è un film gratificante.
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