Il voto del redattore
- voto
- 3.5/5
- valutazione
- Il figlio d'arte Nick Cassavetes ci mostra una storia di ordinaria follia che prende spunto da un fatto reale di cronaca nera avvenuto in California nel 2000 e lo fa con un linguaggio diretto e crudo
Il voto dei lettori
- voto medio
- 3/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 8 lettori
American Gangster
- di Ridley Scott
- dal 18 01 2008
- genere Drammatico
- tipo Gangsters
- Francesca Paciulli
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02 11 2013
Alpha Dog
di Nick Cassavetes
- Dati
- Titolo originale: Alpha Dog
- Soggetto: Nick Cassavetes
- Sceneggiatura: Nick Cassavetes
- Genere: Drammatico - Gangsters
- Durata: 113 min.
- Nazionalità: U.S.A.
- Anno: 2007
- Produzione: Sidney Kimmel Entertainment, A-Mark Entertainment, Alpha Dog LLC, VIP 2 Medienfonds
- Distribuzione: Moviemax
- Data di uscita: 00 00 0000
- Link
- Tutti gli articoli di Emanuel Perico
- Tutti i film di Nick Cassavetes
- Sito ufficiale
- Sito italiano:
- Sito Moviemax
Recensione pubblicata il 12 03 2007
Questa recensione è stata letta 17256 volte
Piccoli gangsters crescono
di Emanuel Perico
Parte dritto come un jab al mento questo nuovo lavoro di Nick Cassavetes, figlio d'arte del compianto John, e già autore di She's so lovely e John Q.
Lo spunto viene direttamente da un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2000 a San Gabriel Valley: in una gang di piccoli spacciatori di droga della california benestante, Johnny Truelove, il capo (Emile Hirsch, già apprezzato in Lords of Dogtown), e Jake Muzursky (uno dei suo tirapiedi) hanno uno screzio riguardo un piccolo debito non saldato. La situazione degenera e per i due diventa una questione d'onore. Ma la svolta arriva quando a Truelove viene la brillante idea di rapire il giovane fratello di Muzursky, Zack, un ragazzotto timido e pacioso il cui unico desiderio è andarsene dall' opprimente e asfissiante nido familiare.
Un intreccio beffardo di eventi trasforma quella che doveva essere una bravata in in un vicolo cieco dal quale sarà impossibile tornare indietro.
Il film parte con toni quasi da college movie, dove un'accolita di teen-ager annoiati combatte le tediosissime giornate con festini a base di sesso, alcool, droga e playstation. Ma Cassavetes è bravo a mettere in scena gli eventi quasi come fosse un documentario, facendo un oculato utilizzo dello split screen nelle sequenze di testa e di coda.
La sensazione è che non stiamo solo assistendo alla cronaca del cazzeggio di sbarbatelli ricchi e viziosi, ma che qualcosa di sgradevole stia per accadere. L'approccio è un po' quello di Elephant di Gus Van Sant (anche se meno efficace sul piano visivo e strutturale), e l'apparente calma che si respira non è altro che il prologo a eventi che vanno al di là dell'immaginazione.
Più che apprezzabili gli interpreti tra i quali spiccano, ovviamente, Bruce Willis (che interpreta il boss locale padre di Johnny Truelove) e Sharon Stone, nel ruolo della madre dei fratelli Muzursky. Convincente Justin Timberlake, che toltisi i panni da popstar, si cala in quelli di Frankie, amico di Johnny Truelove, che rimarrà sempre in bilico tra l'assecondarne le follie o tirarsene fuori. Bene anche il giovane Anton Yelchin nel ruolo di Zack, che con la sua ingenuità passa da nerd brufoloso a sciupafemmine navigato e riesce così a creare un legame affettivo con lo spettatore rendendo, se possibile, ancora più amaro e inaccettabile il tragico epilogo.
Da segnalare la prova di Ben Foster, che già avevamo apprezzato in versione alata in X-Men III nei panni di Angel, qui interprete di Jake Muzursky, il pazzo naziskin antagonista di Johnny Truelove. La colonna sonora distribuisce sonorità funk e hip hop in linea con le tendenze del momento che ben si amalgamano con il caldo soffocante della West Coast.
Il regista ci mostra quanto a volte la realtà superi di gran lunga la fantasia, dipingendo personaggi al limite della stupidità e dell'ignoranza ma che ci rimandano un ritratto crudo della società odierna (non solo americana) che nasconde, dietro ad una facciata di finto perbenismo, un disagio che va oltre la banale inedia di adolescenti alimentati da falsi miti, cresciuti nella bambagia a pane e MTV e condannati all'oblio non appena abbandonato il focolare domestico. Gioventù non più bruciata ma auto-combustibile, i cui gesti dissennati sono frutto della vigliaccheria o della paura di perdere la propria credibilità di leader. Johhny Truelove è il perno attorno al quale tutto ruota: è lui ad innescare la rivalità con Muzursky ed è sempre lui a tirare i fili dei suoi scagnozzi-burattini che, per non deluderlo, lo accompagnano nel suo folle disegno, incapaci di imporre la propria volontà e di ribellarsi. Ma tutto questo avviene in un clima di naturalezza che lascia spiazzati. Non è il delitto perfetto, sono decisioni sbagliate prese al momento sbagliato.
"Come è stato possibile spingersi così oltre?" domanda il sottotitolo campeggiante sulla locandina del film ed è quello che ci chiediamo tutti, soprattutto in tempi in cui ci hanno insegnato ad avere paura di andare allo stadio.
Lo spunto viene direttamente da un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2000 a San Gabriel Valley: in una gang di piccoli spacciatori di droga della california benestante, Johnny Truelove, il capo (Emile Hirsch, già apprezzato in Lords of Dogtown), e Jake Muzursky (uno dei suo tirapiedi) hanno uno screzio riguardo un piccolo debito non saldato. La situazione degenera e per i due diventa una questione d'onore. Ma la svolta arriva quando a Truelove viene la brillante idea di rapire il giovane fratello di Muzursky, Zack, un ragazzotto timido e pacioso il cui unico desiderio è andarsene dall' opprimente e asfissiante nido familiare.
Un intreccio beffardo di eventi trasforma quella che doveva essere una bravata in in un vicolo cieco dal quale sarà impossibile tornare indietro.
Il film parte con toni quasi da college movie, dove un'accolita di teen-ager annoiati combatte le tediosissime giornate con festini a base di sesso, alcool, droga e playstation. Ma Cassavetes è bravo a mettere in scena gli eventi quasi come fosse un documentario, facendo un oculato utilizzo dello split screen nelle sequenze di testa e di coda.
La sensazione è che non stiamo solo assistendo alla cronaca del cazzeggio di sbarbatelli ricchi e viziosi, ma che qualcosa di sgradevole stia per accadere. L'approccio è un po' quello di Elephant di Gus Van Sant (anche se meno efficace sul piano visivo e strutturale), e l'apparente calma che si respira non è altro che il prologo a eventi che vanno al di là dell'immaginazione.
Più che apprezzabili gli interpreti tra i quali spiccano, ovviamente, Bruce Willis (che interpreta il boss locale padre di Johnny Truelove) e Sharon Stone, nel ruolo della madre dei fratelli Muzursky. Convincente Justin Timberlake, che toltisi i panni da popstar, si cala in quelli di Frankie, amico di Johnny Truelove, che rimarrà sempre in bilico tra l'assecondarne le follie o tirarsene fuori. Bene anche il giovane Anton Yelchin nel ruolo di Zack, che con la sua ingenuità passa da nerd brufoloso a sciupafemmine navigato e riesce così a creare un legame affettivo con lo spettatore rendendo, se possibile, ancora più amaro e inaccettabile il tragico epilogo.
Da segnalare la prova di Ben Foster, che già avevamo apprezzato in versione alata in X-Men III nei panni di Angel, qui interprete di Jake Muzursky, il pazzo naziskin antagonista di Johnny Truelove. La colonna sonora distribuisce sonorità funk e hip hop in linea con le tendenze del momento che ben si amalgamano con il caldo soffocante della West Coast.
Il regista ci mostra quanto a volte la realtà superi di gran lunga la fantasia, dipingendo personaggi al limite della stupidità e dell'ignoranza ma che ci rimandano un ritratto crudo della società odierna (non solo americana) che nasconde, dietro ad una facciata di finto perbenismo, un disagio che va oltre la banale inedia di adolescenti alimentati da falsi miti, cresciuti nella bambagia a pane e MTV e condannati all'oblio non appena abbandonato il focolare domestico. Gioventù non più bruciata ma auto-combustibile, i cui gesti dissennati sono frutto della vigliaccheria o della paura di perdere la propria credibilità di leader. Johhny Truelove è il perno attorno al quale tutto ruota: è lui ad innescare la rivalità con Muzursky ed è sempre lui a tirare i fili dei suoi scagnozzi-burattini che, per non deluderlo, lo accompagnano nel suo folle disegno, incapaci di imporre la propria volontà e di ribellarsi. Ma tutto questo avviene in un clima di naturalezza che lascia spiazzati. Non è il delitto perfetto, sono decisioni sbagliate prese al momento sbagliato.
"Come è stato possibile spingersi così oltre?" domanda il sottotitolo campeggiante sulla locandina del film ed è quello che ci chiediamo tutti, soprattutto in tempi in cui ci hanno insegnato ad avere paura di andare allo stadio.
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