Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Il prototipo del film di nuova generazione.
Il voto dei lettori
- voto medio
- 4.2/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 5 lettori
- di Kerry Conran
- dal
- genere Fantastico
- tipo Sci-fi
- Luigi Faragalli
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Kyashan
di Kazuaki Kiriya
- Dati
- Titolo originale: Casshern
- Soggetto: Dalla serie animata Shinzo ningen Cashern
- Sceneggiatura: Kazuaki Kiriya, Dai Sato, Shotaro Suga, Tatsuo Yoshida
- Genere: Fantastico - Sci-fi
- Durata: 141 min.
- Nazionalità: Giappone
- Anno: 2004
- Produzione: Casshern Film Partners, Tatsunoko Productions Co. Ltd., Shochiku Co. Ltd.
- Distribuzione: Time Code
- Data di uscita: 00 00 0000
"The future has imploded into the present"
di Mattia Signorini
Pur non essendo esente da difetti, Kyashan non può fare a meno di lasciare lo spettatore con la sensazione di avere visto, anche se in frammenti, qualcosa di finalmente diverso e innovativo.
Il film trae ispirazione da un vecchio anime datato addirittura 1973: Shinzo ningen Cashern (Cashern, l'uomo dal nuovo corpo), prodotto dallo Studio Tatsunoko (lo stesso di Hurricane Polimar e Tekkaman, per intenderci) e costituito da 35 episodi trasmessi anche in Italia. La storia era la seguente: il Professor Azuma costruisce quattro androidi incaricati di decontaminare la terra, ormai inquinata oltre misura. Il più sofisticato di essi, Briking, colpito da un fulmine, impazzisce e decide di eliminare la razza umana, sfruttando la scienza dello stesso Azuma per creare un esercito di robot al suo comando. Prima che ciò avvenga, il professore si fa convincere dal figlio Testuya a sperimentare su di lui una nuova tecnologia, trasformandolo nel fortissimo androide Kyashan. Simile sorte tocca alla moglie la cui mente viene inserita in un cigno robotico, animale da compagnia di Briking, in modo che possa spiare le mosse del nemico. Il giovane è coadiuvato dal cane robotico Flender e dalla fidanzata Luna.
Già l'anime stesso mostrava peculiarità e maturità tali da renderlo un prodotto atipico: attualità dei temi (ecologia, discriminazione razziale), precisi riferimenti alle grandi dittature del nostro secolo (Briking era raffigurato con fattezze simili a quelle di Mussolini e con atteggiamenti tipici della personalità di Hitler, mentre gli altri tre androidi alle sue dipendenze mostravano chiari riferimenti ai gerarchi nazisti; medesimi richiami al Nazionalsocialismo nell'iconografia dell'esercito robot), pressoché assoluta mancanza di momenti comici e di sdrammatizzazione (si pensi alla distanza dal successivo Polimar), debolezza intrinseca dell'eroe il cui successo dipendeva spesso da influenze esterne, maturità e caratterizzazione dei personaggi principali, mai tipizzati, e, soprattutto, presenza della morte: in Cashern si moriva per davvero e senza distinzione alcuna tra buoni e cattivi. Anzi, spesso a cadere erano proprio donne e bambini innocenti. Proprio da questi elementi e dalle tematiche di fondo della serie animata prende le mosse il lavoro del regista, Kazuaki Kiriya, talentuoso auore di videclip musicali qui alle prese col suo primo lungometraggio. Ma fin dalle prime sequenze appare chiaramente la volontà del regista, co-autore anche della sceneggiatura, di non volersi limitare ad una riproposizione pedissequa del modello. Tutt'altro. Trama e temi della fonte vengono rielaborati, modificati e persino estremizzati. Emblematica in tal senso la scena precedente il risveglio di Kyashan nella quale un casco identico a quello indossato dal protagonista dell'anime viene inquadrato in primo piano, facendo crescere nello spettatore l'attesa per l'entrata in scena dell'eroe. Casco che invece andrà distrutto ancor prima di essere indossato, vero e proprio manifesto programmatico di Kiriya: il Kyashan animato è il seme da cui è germogliato questo Kyashan cinematografico. Ciò che era in potenza ora diviene atto.
Ogni aspetto della serie animata viene portato all'estremo, assurge a simbolo. E guerra, violenza, discriminazione e morte, temi centrali anche dell'anime, vengono gettate nella mischia ("Io sono nato dall'odio" - dirà Barashin ad un certo punto del film - "Io sono l'Odio incarnato"). E così la Nazione Centrale diventa la Confederazione dell'Asia Centrale, una dittatura militare in guerra contro un fantomatico terrorismo. La natura è stata spodestata e lo scenario è costituito da una sterminata megalopoli, buia, sporca, fumosa, fatta di strutture in acciaio e ferro in puro genere steampunk (evidenti i richiami a Metropolis di Fritz Lang, ma anche all'opera di Katsuhiro Otomo). L'iconografia e le scritte in cirillico sono un chiarissimo riferimento ad un regime stalinista o comunque comunista. In questo contesto si muovono i vari personaggi: il Dottor Azuma (Akira Terao), ossessionato dal trovare in tempo una cura per la moglie Midori (Kanako Higuchi), malata terminale, il figlio Tetsuya (Yusuke Iseya), deciso ad arruolarsi a tutti i costi nell'esercito per difendere il proprio paese e, soprattutto, per opporsi alla volontà del padre, la fidanzata Luna (Kumiko Aso) e suo padre, il Dottor Kozuki (Fumiyo Kohinata), un altro scienziato collega di Azuma. La determinazione di Tetsuya ad entrare a far parte dell'esercito, frutto di una conflittualità edipica con il padre dai toni quasi shakespeariani, è tale che nulla sembra contare, nemmeno l'abbandono dell'amata. E mentre Testuya scopre la guerra e la morte, il padre ricerca forsennatamente (e apparentemente) la vita sperando che i suoi esperimenti sulle neo-cellule possano guarire il male della moglie.
Due quêtes parallele il cui vero, carissimo prezzo verrà svelato solo molto più avanti nel film; due ricerche a cui pone fine solo un fattore esterno, la morte in un caso, la nascita (dei Neoroidi) nell'altro. Mentre viene celebrato il funerale di Testuya, morto per non avere voluto abbandonare un bambino in uno scenario di battaglia, qualcosa accade nel laboratorio di Azuma: un non meglio identificato evento, simboleggiato da un enorme fulmine metallico caduto dal cielo (citazione del fulmine che nella serie animata faceva impazzire Briking), dà vita alle cellule e ai tessuti contenuti nelle vasche di sperimentazione. I tessuti si ricreano, i muscoli si rigenerano, i Neoroidi prendono vita. E mentre i primi corpi escono lentamente dal liquido di sospensione e il dottor Azuma si trova di fronte al primo di essi (Barashin, scopriremo in seguito; il Briking della serie animata), quasi un padre per la prima volta davanti al figlio, la sicurezza del laboratorio interviene aprendo "preventivamente" il fuoco su di essi ed uccidendone gran parte. La fuga dei Neoroidi superstiti incrocia l'arrivo di Midori al laboratorio e mentre quest'ultima viene rapita, Azuma immerge il corpo del figlio defunto nelle vasche di coltura, donandogli nuova vita, insensibile, dato che non può vederelo né sentirlo (a differenza della madre) alle preghiere del fantasma di Tetsuya, il quale assiste impotente alla propria rinascita. Il giovane viene affidato in stato vegetativo al dottor Kozuki mentre i Neoroidi, diretti da una sorta di istinto primordiale verso un'elevata catena montuosa (l'Himalaya, con evidente richiamo alla spedizione di Himmler in Tibet alla scoperta delle origini della razza ariana), vedono assottigliarsi sempre di più le loro fila. Saranno solo in quattro a raggiungere una fortezza abbandonata sulle cime innevate, sede di una defunta civiltà riportata a nuova vita da Barashin, il quale sancirà la nascita della nuova razza neoroide e l'obiettivo da raggiungere: l'annientamento del genere umano, reo di avere odiato i Neoroidi fin dalla loro nascita, con l'unica eccezione costituita da Midori che aveva cercato di salvare uno di essi. Un ingente esercito di robot viene messo in produzione per la realizzazione del piano di sterminio e riappaiono qui, riproposte fedelmente, le varie tipologie di automi presenti nella serie animata. I compagni di Barashin iniziano a rapire gli scienziati più brillanti, in modo che essi possano contribuire allo sviluppo dell'esercito robotico. E proprio il tentativo di rapire il Dottor Kuzuki causa il risveglio di Testuya, incredibilmente potenziato in seguito alla sua rinascita e dotato del prototipo di un'avveneristica tuta da combattimento, unica in grado di contenere lo sviluppo incontrollato dei suoi muscoli. Il primo scontro tra Kyashan ed i robot è un'altra ripresa fedele dall'anime: la sequenza di combattimento è identica a quella vista più volte nella serie, con teste e arti strappati agli automi, uso di razzi propulsori per spiccare salti impossibili e corse in verticale lungo le mura dei palazzi.
Ma il film di Kiriya è altro, dicevamo, ed infatti quanto esposto finora viene narrato nel film in maniera quasi minimale: le scene sono ridotte di numero, i dialoghi quasi inesistenti, la sceneggiatura salta alcuni passaggi mettendoci di fronte a pochi e cruciali eventi. L'attenzione non è incentrata sull'accadimento ma sul significato di quest'ultimo, sul suo valore simbolico. Proprio per questo assistiamo a scene apparentemente incongruenti quale, ad esempio, la celebrazione del funerale di Tetsuya sul piazzale antistante al laboratorio del padre, piazzale che è anche il parcheggio verso il quale si dirige l'automobile con a bordo Midori. Lo stesso non si può dire per l'impianto scenico: Kiriya è autore di videoclip e si vede. La visione è il trionfo dell'espressionismo, la computer grafica la fa da padrone. Lo spettatore si trova di fronte ad una serie di immagini curate nei minimi dettagli, sfondi visionari che spaziano, come dicevamo, dall'apoteosi della megalopoli steampunk all'onirico giardino dell'Eden attraversato prima dai Neoroidi e poi dallo stesso Kyashan e da Luna. La musica è perfettamente abbinata alle immagini, scelta ed accostata con una perizia degna della migliore Yoko Kanno.
Ma allora cosa cos'è che non va nel film, cosa trattiene lo spettatore dall'uscire dalla sala con quel senso di stupore che si prova di fronte a qualcosa di veramente nuovo e ben riuscito? Lo dicevamo all'inizio: diverse sono le pecche di Kyashan. Alcune, di fatto, appaiono tutto sommato trascurabili o quantomeno sopportabili: una recitazione decisamente non adeguata, dovuta forse all'aver voluto privilegiare un criterio estetico nella scelta di attori e attrici, l'eccessiva dilatazione temporale di alcune scene, l'ormai consueto doppiaggio più che mediocre (per quel che riguarda la versione italiana). Altre, invece, si fanno sentire e in maniera assai più marcata, prima fra tutte la scelta di dover spiegare la filosofia che sta alla base del film, la colpa-innocenza dell'essere umano, discriminato-discriminante fin dalla nascita e proprio perché nato. Questa, di fatto, è la visone del regista, impeccabilmente espressa dalle parole di Tetsuya alla fine del film: il solo venire al mondo, il solo esistere ci rende colpevoli nei confronti del prossimo. L'incapacità al perdono e all'accettazione danno il via ad una spirale di odio e violenza che altro non fa che alimentare se stessa. Purtroppo, però, quest'idea dell'assenza di un vero colpevole, così come di un vero eroe, viene costantemente sottolineata da lunghi e ridondanti dialoghi, troppe parole in un film di silenzi, che, oltre ad annoiare lo spettatore, corrodono quell'alone di parabola assunta dal film proprio grazie ad una narrazione che avviene quasi esclusivamente per immagini e che fa assurgere ad episodio simbolico i singoli momenti della vicenda. Kiriya penalizza in tal modo un film magistralmente diretto dal punto di vista grafico, un film cui sarebbero stati sufficienti scarsissimi dialoghi, quasi solo didascalie, proiettando nel futuro un genere del passato: il film muto delle origini come evoluzione, come film di nuova generazione. Ad ogni modo, dicevamo, ciò che resta allo spettatore alla fine della visione è una sorta di strana inquietudine: non quella vaga irritazione per un'occasione sprecata ma la sensazione - e la necessaria agitazione - di avere per un attimo sfiorato il film del nuovo millennio. Le vasche di decantazione hanno iniziato a ribollire, attendiamo fiduciosi di assistere alla nascita del loro prodotto.
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