Il voto del redattore
- voto
- 3.5/5
- valutazione
- Dramma familiare che strizza l'occhio alla tragedia greca, tre brave attrici e una sceneggiatura "griffata"
Il voto dei lettori
- voto medio
- 4.5/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 12 lettori
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02 11 2013
L'enfer
di Danis Tanovic
- Dati
- Titolo originale: L'enfer
- Soggetto: Krzysztof Kiéslowski, Krzysztof Piesiewicz
- Sceneggiatura: Krzysztof Kiéslowski, Krzysztof Piesiewicz
- Genere: Drammatico - Sentimentale
- Durata: 95 min.
- Nazionalità: Francia, Belgio, Giappone, Italia
- Anno: 2006
- Produzione: Asap Films
- Distribuzione: 01 Distribution
- Data di uscita: 00 00 0000
Recensione pubblicata il 10 07 2006
Questa recensione è stata letta 16543 volte
L'inferno a portata di mano
di Emanuel Perico
Nel 1996 Kristof Kieslowski aveva immaginato una trilogia di ispirazione dantesca, suddivisa (appunto) in tre capitoli: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Per motivi a noi noti (ahimè), non riuscì mai a realizzarla, ma ci hanno pensato altri suoi omologhi: nel 2002 il regista dell'intrigante Lola corre, Tom Tykwer, realizzò l'insipido Heaven, in collaborazione con lo sceneggiatore Krzysztof Piesiewicz.
Oggi, nell'anno 2006, ci pensa Danis Tanovic a continuare il progetto, sempre in compagnia di Piesiewicz e dopo gli inferni della guerra in Bosnia (No man's land) e dell'11 settembre a New York (un episodio di 11' 09' 01), dirige L'enfer, portando alla luce un altro inferno, quello personale e interiore di tre sorelle legate da un tremendo segreto.
Sophie, moglie di un fotografo fedifrago, Celine ragazza solitaria e unica delle tre a volersi occupare della madre in istituto; e infine Anne, studentessa innamorata del suo professore (sposato e con famiglia) dal quale attende un figlio, ma che non ne vuole più saperne di lei.
Tre storie che scorrono parallelamente, ma che collidono nell'istante in cui entra in scena un personaggio, Sebastien, che all'inizio sembra interessarsi a Celine ma in realtà è a conoscenza di un fatto che sconvolgerà le vite delle sorelle, già profondamente segnate da quando il padre (accusato di pedofilia) si suicidò lanciandosi dalla finestra sotto i loro occhi di bambine, dopo una furibonda lite con la madre, la quale, a seguito del violento scontro, finì su una sedia a rotelle, paralizzata e muta. Le sorelle affronteranno così i loro fantasmi privati espiando i propri sensi di colpa in vista di un finale che le riconcilierà ma che suona tutt'altro che consolatorio.
Una pellicola asciutta e crudele, sin dalle prime inquadrature. Emblematiche e ricche di metafore le scene iniziali, che mostrano il nido di un cuculo dove un piccolo appena nato tenta di sbarazzarsi dell'uovo non ancora dischiuso del suo "fratellino", oppure un'ape che annaspa in una bibita (piccola citazione dal Decalogo) e che riesce a salvarsi in extremis aggrappandosi alla cannuccia. Si avverte molto lo spirito di Kieslowski e non ci risulta difficile constatare quanto per l'autore il vero inferno si trovi dentro di noi. Soprattutto, in questo caso, è l'amore a tramutarsi in inferno: quello negato di Anne, abbandonata dall'uomo che ama, quello rifiutato di Sophie, accantonata dal marito per un'altra donna e quello represso e soffocato di Celine, che ha scelto di dedicare anima e corpo alla madre malata.
Tre diverse sofferenze interpretate con grande classe ed eleganza da attrici del calibro di Emmanuelle Beart, Marie Gillain, Karin Viard alle quali si aggiunge anche Carole Bouquet (quest'ultima costretta a recitare dietro ad un pesante trucco "invecchiante"). Compare, in una piccola parte, anche Jean Rochefort, ma obbiettivamente non se ne sarebbe sentita la mancanza.
La regia di Tanovic, fredda ed essenziale, è molto in linea con lo spirito della sceneggiatura originale di Kieslowski-Piesiewicz, e appaiono subito evidenti i richiami a temi molto cari al regista polacco del Decalogo: la mancanza di fede, il senso di colpa, il fato. Il mito di Medea (ultimamente abbastanza gettonato nelle sceneggiature) viene sparso qua e là tra le pieghe della vicenda giusto per enfatizzare ancora un po' il clima tragico, e forse ciò appesantisce appena la trama già di per sé bella carica.
I movimenti di macchina sono circolari, a spirale, quasi a voler disegnare i gironi infernali ai quali vi è un costante richiamo e la fotografia conferisce al film quella atmosfera rarefatta e sospesa tra sogno/incubo e realtà. Sarebbe molto facile cadere nella retorica del fatto che Tanovic non è Kieslowski: il dubbio legittimo sul "come sarebbe stato se " ci attanaglia, ma a volte è bello vedere la diversa prospettiva di un altro artista e ovviamente il film va preso per quello che è, senza farsi fuorviare da paragoni scontati e fuori luogo.
Il regista bosniaco cerca di rendere al meglio la sceneggiatura originale ma apportandovi, inevitabilmente, alcune variazioni più che altro estetiche e visive, più congeniali al suo stile. I momenti più apprezzabili sono quelli dove si distingue chiaramente la sua interpretazione personale delle cose, ad esempio nella scena dell'albergo nel quale Sophie va alla ricerca del marito e della sua amante, incalzata dal ritmo della coinvolgente colonna sonora affidata a Segvic Dusko.
Film tutto sommato calibrato, molto ben recitato in uno stile volutamente sommesso che gli conferisce un'atmosfera intima e intimista.
Oggi, nell'anno 2006, ci pensa Danis Tanovic a continuare il progetto, sempre in compagnia di Piesiewicz e dopo gli inferni della guerra in Bosnia (No man's land) e dell'11 settembre a New York (un episodio di 11' 09' 01), dirige L'enfer, portando alla luce un altro inferno, quello personale e interiore di tre sorelle legate da un tremendo segreto.
Sophie, moglie di un fotografo fedifrago, Celine ragazza solitaria e unica delle tre a volersi occupare della madre in istituto; e infine Anne, studentessa innamorata del suo professore (sposato e con famiglia) dal quale attende un figlio, ma che non ne vuole più saperne di lei.
Tre storie che scorrono parallelamente, ma che collidono nell'istante in cui entra in scena un personaggio, Sebastien, che all'inizio sembra interessarsi a Celine ma in realtà è a conoscenza di un fatto che sconvolgerà le vite delle sorelle, già profondamente segnate da quando il padre (accusato di pedofilia) si suicidò lanciandosi dalla finestra sotto i loro occhi di bambine, dopo una furibonda lite con la madre, la quale, a seguito del violento scontro, finì su una sedia a rotelle, paralizzata e muta. Le sorelle affronteranno così i loro fantasmi privati espiando i propri sensi di colpa in vista di un finale che le riconcilierà ma che suona tutt'altro che consolatorio.
Una pellicola asciutta e crudele, sin dalle prime inquadrature. Emblematiche e ricche di metafore le scene iniziali, che mostrano il nido di un cuculo dove un piccolo appena nato tenta di sbarazzarsi dell'uovo non ancora dischiuso del suo "fratellino", oppure un'ape che annaspa in una bibita (piccola citazione dal Decalogo) e che riesce a salvarsi in extremis aggrappandosi alla cannuccia. Si avverte molto lo spirito di Kieslowski e non ci risulta difficile constatare quanto per l'autore il vero inferno si trovi dentro di noi. Soprattutto, in questo caso, è l'amore a tramutarsi in inferno: quello negato di Anne, abbandonata dall'uomo che ama, quello rifiutato di Sophie, accantonata dal marito per un'altra donna e quello represso e soffocato di Celine, che ha scelto di dedicare anima e corpo alla madre malata.
Tre diverse sofferenze interpretate con grande classe ed eleganza da attrici del calibro di Emmanuelle Beart, Marie Gillain, Karin Viard alle quali si aggiunge anche Carole Bouquet (quest'ultima costretta a recitare dietro ad un pesante trucco "invecchiante"). Compare, in una piccola parte, anche Jean Rochefort, ma obbiettivamente non se ne sarebbe sentita la mancanza.
La regia di Tanovic, fredda ed essenziale, è molto in linea con lo spirito della sceneggiatura originale di Kieslowski-Piesiewicz, e appaiono subito evidenti i richiami a temi molto cari al regista polacco del Decalogo: la mancanza di fede, il senso di colpa, il fato. Il mito di Medea (ultimamente abbastanza gettonato nelle sceneggiature) viene sparso qua e là tra le pieghe della vicenda giusto per enfatizzare ancora un po' il clima tragico, e forse ciò appesantisce appena la trama già di per sé bella carica.
I movimenti di macchina sono circolari, a spirale, quasi a voler disegnare i gironi infernali ai quali vi è un costante richiamo e la fotografia conferisce al film quella atmosfera rarefatta e sospesa tra sogno/incubo e realtà. Sarebbe molto facile cadere nella retorica del fatto che Tanovic non è Kieslowski: il dubbio legittimo sul "come sarebbe stato se " ci attanaglia, ma a volte è bello vedere la diversa prospettiva di un altro artista e ovviamente il film va preso per quello che è, senza farsi fuorviare da paragoni scontati e fuori luogo.
Il regista bosniaco cerca di rendere al meglio la sceneggiatura originale ma apportandovi, inevitabilmente, alcune variazioni più che altro estetiche e visive, più congeniali al suo stile. I momenti più apprezzabili sono quelli dove si distingue chiaramente la sua interpretazione personale delle cose, ad esempio nella scena dell'albergo nel quale Sophie va alla ricerca del marito e della sua amante, incalzata dal ritmo della coinvolgente colonna sonora affidata a Segvic Dusko.
Film tutto sommato calibrato, molto ben recitato in uno stile volutamente sommesso che gli conferisce un'atmosfera intima e intimista.
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