Il voto del redattore
- voto
- 1.5/5
- valutazione
- Ascoltate il tema nella sigla iniziale e poi uscite pure dalla sala, il resto non vale quasi nulla
Il voto dei lettori
- voto medio
- 1/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 93 lettori
- di Steven Soderbergh
- dal 24 02 2012
- genere Azione
- tipo Spionaggio
- Francesca Paciulli
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Mission: Impossible III
di J. J. Abrams
- Dati
- Titolo originale: Mission: Impossibile 3
- Soggetto: Tratto dalla serie televisiva ideata da Bruce Geller
- Sceneggiatura: Alex Kurtzman e Roberto Orci
- Genere: Azione - Spionaggio
- Durata: 125 min.
- Nazionalità: U.S.A.
- Anno: 2006
- Produzione: Cruise-Wagner Production, Paramount Pictures
- Distribuzione: UIP
- Data di uscita: 00 00 0000
Pizza, mandolino, baffo nero
di Luigi Faragalli
Di recente sono rimasto particolarmente colpito da una frase di Turturro. Se ne stava tutto tranquillo sul divano rosso della Dandini, a discutere di cinema e di soggetti un po' diversi da quelli soliti a cui ci ha ormai abituato il cinema americano, ed ecco che tira fuori la domanda chiarificatrice:
- Fino a che numero di Mission: Impossible può arrivare uno spettatore? Uno, due, tre, quattro, cinque... fino a quanto?
Già, qual è il limite della ripetitività? Quale il tetto della monotonia? Immagino che vari, da persona a persona. Per me, per esempio, la risposta alla domanda di John Turturro è decisamente: - Due.
Il terzo capitolo proprio non l'ho retto.
L'unica cosa che di emozionante ho trovato nel film è stata la sigla iniziale, con l'immancabile tema musicale classico, mutuato di peso dai precedenti seriali televisivi. Avete presente? Tam-tam tà-tà tam-tam/Tam-tam tà-tà tam-tam, e via al fiammifero che accendeva la miccia.
Detto fra noi, una qualunque puntata della serie classica o di quella più moderna comunque dà molti, ma molti, punti di distacco a questo film mediocre, come del resto già alle due pellicole precedenti interpretate da Tom Cruise. Facciamo un po' di storia: Mission: Impossible nasce come serie nel 1966 e prosegue in tv per ben sette stagioni. Riscuote un successo vastissimo e diventa ben presto fenomeno noto in tutto il mondo, tanto da meritarsi, ad anni di distanza, una resurrezione in piena regola. Torna infatti dal 1988 per due stagioni, prima di finire nel calderone di Hollywood, subendo purtroppo una trasformazione non certo migliorativa. Il trait d'union tra le due serie televisive era rappresentato da un attore e dal suo personaggio: Peter Graves, alias James Phelps.
Forse ve lo ricorderete con la sua chioma candida e la sua innata eleganza.
Quando il cinema mette mano sui personaggi creati da Bruce Geller decide chiaramente di far fuori Jim Phelps (nel frattempo ereditato da Jon Voight) per far posto al giovane ed aitante Ethan Hunt, personaggio piuttosto scialbo che dell'intelligenza acuta e delle capacità deduttive ed organizzative dell'illustre predecessore non presenta ahinoi traccia alcuna.
Da quel momento, per quanto mi riguarda, eccezion fatta per le maschere perfette e per il già citato tema musicale, nulla lega le serie televisive ai capitoli cinematografici. E' diverso lo stile, è diversa la costruzione delle trame, è diversa l'aria generale che si respira, è diverso tutto.
Questo terzo capitolo, poi, è un autentico disastro. La storiellina d'amore tra l'infermiera dal cuore d'oro e la spia buona è di un melenso inenarrabile, occorre guardare il film lavandosi contemporaneamente i denti per evitare la carie. La fiducia cieca, il matrimonio improvvisato, gli sguardi, i testi, tutto sdolcinato oltre ogni ragionevole misura. Tutto poi così fastidiosamente "assonante" con la vita privata di Tom da far sorgere più di qualche dubbio in merito alla parternità di questo imbarazzante pezzo della trama. Il cattivo di turno poi sembra così distante da tutto da risultare non un cinico pezzo di merda temprato dalla durezza della propria esistenza bensì semplicemente un attore un po' stanco e con pochissima voglia di delineare un'espressione che andasse oltre, appunto, all'annoiato.
Un po' tutto ugualmente terribile il resto. La parte romana del film è una summa dei luoghi comuni più triti sugli italiani che affollano la mente degli americani più ignoranti: gli italiani, ad esempio, non gesticolano a casaccio quando parlano, non urlano per strada a squarciagola, non si comportano in generale come macchiette.
L'idea poi che il Vaticano organizzi feste in cui si possa parcheggiare dentro San Pietro con una Lamborghini o in cui una bellissima fanciulla possa presentarsi vestita come una cubista particolarmente disinibita, è talmente surreale da regalare per un momento al film un vago aspetto parodistico.
Sorvoliamo sulle scene in cui si dà prova di quanto possa essere letale una qualunque infermierina americana con una pistola in mano: patetiche quanto banali.
In conclusione, se Joe Carnahan, inizialmente scelto per la regia, ha ritenuto opportuno abbandonare il progetto, diciamo pure che avrà avuto i suoi buoni motivi, oltre ad una indiscutibile buona dose di fiuto.
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