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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

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  • 3.5/5
  • valutazione
  • Dare speranza al Sudafrica di oggi attraverso il volto di un ragazzo di strada:un po' retorico ma potente
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 1.5/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 24 lettori
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Info

Il suo nome è Tsotsi

di Gavin Hood

 
    Dati
  • Titolo originale: Tsotsi
  • Soggetto: Athol Fugare (romanzo)
  • Sceneggiatura: Gavin Hood
  • Genere: Drammatico - Sociale
  • Durata: 24 min.
     
  • Nazionalità: UK, Sudafrica
  • Anno: 2005
  • Produzione: www.tsotsi.com
  • Distribuzione: Mikado
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Anche i cattivi piangono

di Paola Galgani

Il film vincitore dell'Oscar come miglior film straniero prende ispirazione, attualizzandolo, dal romanzo dello scrittore e drammaturgo sudafricano Athol Fugare, un monologo interiore scritto nell'apartheid degli anni '50 ma pubblicato solo nel 1980. Come il romanzo, anche il film è di drammatica denuncia, sebbene un tantino più ottimistico: lo sfondo è il Sudafrica di oggi, con le sue bidonville stracolme, i locali dove i poveri si possono ubriacare, l' Aids e la disoccupazione che raggiungono rispettivamente punte del 25% e del 40% della popolazione.

Totsie è un ragazzo di 19 anni che vive nei sobborghi di Johannesburg; il suo non è un vero nome, ma un termine usato nelle periferie con l'accezione di 'piccolo delinquente di strada'. Il giovane è il più feroce di tutta la sua banda e per questo molto rispettato; Aap, il suo braccio destro un po' tonto, non fa un passo senza di lui e Boston, un insegnante fallito, viene picchiato selvaggiamente solo perché ha osato chiedergli il suo vero nome e le sue origini. Il fatto è che il ragazzo non ricorda niente del proprio passato dal momento che vive per strada fin da quand'era piccolo e l'unico linguaggio che conosce è quello della violenza.

Nel rubare una macchina, Tsotsi si trova a condividere il proprio cammino con un essere indifeso, un neonato che rapisce per sbaglio. Questo bambino sconosciuto ed estraneo porta per caso nella sua vita una tenerezza insospettabile, ed è forse l'unico essere umano che l'abbia guardato con tenerezza e fiducia. In questo singolare rapporto 'paterno' entra giocoforza una giovane donna costretta ad allattare il piccolo. Anche lei, con i suoi frammenti di vetro colorato appesi al muro che rappresentano la voglia di vivere, contribuirà a far ritrovare a Tsotsi la sua coscienza e a mettere in gioco la sua stessa vita per un'altra che non è stata ancora intaccata dal male.

La storia è, tutto sommato, molto semplice e segue addirittura stereotipi hollywoodiani nel percorso del protagonista che segue una linea di sceneggiatura piuttosto elementare che lo porta dalla scoperta di una coscienza (e di un'innocenza) alla conseguente redenzione. Il ritratto del ghetto, affatto banale, e lo sfondo dei personaggi secondari, profondi e toccanti e non cliché dei delinquenti di strada ma uomini persi, soli e delusi dalla vita, ci fanno dimenticare l'espediente scontato dei patetici flash-back ed il finale melodrammatico, tipico del gusto americano e foriero della la morale "il riscatto è sempre possibile" (il che spiega l'ammirazione conseguita oltreoceano, specie se riconsidera il senso di colpa verso i paesi poveri).

L'autore però si muove tra sottile retorica e spontaneità con sufficiente disinvoltura, dando vita a momenti veramente poetici e ad altri molto forti, come quello della violenza sul cane da parte del padre di Tsotsi, l'elemento che lo allontanerà per sempre. La regia, tra il neorealistico ed il fantastico, segue la migliore tradizione di un certo cinema americano (il regista d'altronde ha studiato regia a Los Angeles, e questo spiega molto) più che l'esempio di Meirelles, che descrisse efficacemente altre periferie del mondo. La parte della violenza metropolitana esasperata ricorda Arancia meccanica, ad esempio nelle scorribande notturne e nella violenza gratuita come quella, poi sopita, verso il vecchio mendicante cieco che ha perso le gambe in miniera. Bellissima la fotografia con giochi di luce pittorici e toni monocromatici.

Il ritmo teso ed incalzante si amalgama alla notevole colonna sonora a base di musica kwaito, la musica del ghetto (un mix di house, jungle e reggae, con testi molto duri di argomento sociale). Peccato che il linguaggio della versione originale, lo "Tsotsi-Taal", il gergo delle strade che l'ha avuta vinta sulla lingua inglese richiesta inizialmente dalla produzione, sia del tutto cancellato dalla traduzione.

Gli attori sono quasi tutti non professionisti, anch'essi imposti alla produzione che avrebbe preferito star internazionali. Presley Chweneyagae, bravissimo, ha vinto il festival di Bangkok come migliore attore protagonista, e Terry Pheto, la ragazza madre, è bella come la luna e coraggiosa come una tigre, con qualcosa di animalesco nel suo istinto materno.

 
 
 
 
 
 
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