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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 2.5/5
  • valutazione
  • Ammirevoli intenti si scontrano con una realizzazione troppo intrisa di retorica.
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 3.8/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 11 lettori
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  • genere Drammatico
  • tipo Sociale
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Giorni e nuvole
  • di Silvio Soldini
  • dal 26 10 2007
  • genere Drammatico
  • tipo Sociale
  • Rossana Pennacchi
 
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Recensione 3
Dogville
  • di Lars Von Trier
  • dal
  • genere Drammatico
  • tipo Sociale
  • Sara Troilo
 
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Recensione 4
Machuca
  • di Andrés Wood
  • dal
  • genere Drammatico
  • tipo Sociale
  • Laura De Gregorio
 
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Recensione 5
Oro rosso
  • di Jafar Panahi
  • dal
  • genere Drammatico
  • tipo Sociale
  • Sara Troilo
 
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Info

All the invisible children

di Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan e Ridley Scott, Stefano Veneruso, John Woo.

 
    Dati
  • Titolo originale: Take 7
  • Soggetto: Stribor Kusturica, Cinque e Joie Lee, Katia Lund, Eduardo Tripa, Jordan Scott, Diego De Silva, Stefano Veneruso, Li Qiang
  • Sceneggiatura: Stribor Kusturica, Cinque e Joie Lee, Katia Lund, Eduardo Tripa, Jordan Scott, Diego De Silva, Stefano Veneruso, Li Qiang
  • Genere: Drammatico - Sociale
  • Durata: 108 min.
     
  • Nazionalità: Italia
  • Anno: 2006
  • Produzione: MK productions, RAI cinema.
  • Distribuzione: 01 Distribuition
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Tutti i bambini ternani

di Riccardo Lupoli

Ad aprire il film c'è Tanza di Mehdi Charef, regista e scrittore algerino cresciuto nei ghetti per immigrati intorno a Parigi; la storia è quella di un gruppo di giovani combattenti africani che perlustrano armati il territorio alla ricerca del nemico. Il loro obiettivo è la libertà del loro paese, di cui non viene mai pronunciato il nome perché è evidente che potrebbe trattarsi di uno dei tanti stati africani che vivono quotidianamente la condizione della guerriglia per le strade. Fra questi ragazzi, il più piccolo ha dodici anni e si è unito al gruppo dopo aver assistito al massacro della sua famiglia; gli ordinano di posizionare due bombe in un villaggio, ma scopre che una di queste farebbe saltare in aria una scuola, frequentata da tanti bimbi come lui.

Blue Gipsy
  porta la firma di Emir Kustirica: un piccolo ladruncolo gitano impara a tagliare i capelli in un riformatorio diretto da un eccentrico personaggio. Il padre,  violento, sfaticato e alcolizzato, viene a prenderlo il giorno della sua liberazione, ma da subito emerge che il suo intento non è esattamente quello di voler redimere il figlio, costringendolo così ad  una scelta radicale.

Spike Lee dirige Jesus Children of America; Blanca è una bambina  di Brooklyn  che scopre di essere sieropositiva perché figlia di genitori tossicodipendenti. Il suo unico desiderio sarebbe quello di vivere un'infanzia come tutte le altre, ma la totale noncuranza dei genitori glielo impedisce, finchè un evento drammatico non interviene a cambiare le cose.

La brasiliana Katia Lund, già aiuto regista nel fortunatissimo City of God, ha firmato l'episodio intitolato Bilu & Joao, storia di due ragazzini che cercano di sopravvivere nella periferia di San Paolo. I loro tesori sono lattine vuote, cartoni, pezzi di legno e chiodi, cose che la società butta via e che loro recuperano con perizia, forti della loro ingenuità, unico mezzo in grado di farli sopravvivere.

Ridley Scott e il figlio Jordan hanno scritto e diretto assieme Jonathan: un fotoreporter sempre più esausto degli orrori della guerra, riscopre l'essenza della  vita attraverso un'esperienza onirica che lo riporta all'infanzia, quando aveva vissuto un'incredibile avventura in compagnia degli amici.

La sceneggiatura di Ciro è del bravissimo scrittore napoletano Diego De Silva, già autore di Certi bambini, la regia di Stefano Veneruso. Le vicende narrate sono quelle di un ragazzino di strada della periferia napoletana, che, insieme ad un amico, assale un automobilista per rubargli l'orologio scappando poi da un acquirente che possa premiarli per la loro malefatta.

John Woo dirige Song Song & Little Cat, storia di due piccole vite parallele, che proseguono in circostanze opposte ma in un quadro di generale difficoltà. I destini delle due bimbe si rispecchiano, si sfiorano e infine si toccano, ponendo in risalto le problematiche sociali e di sostentamento dell'infanzia.


Sicuramente una lodevole iniziativa questa promossa da  forze diverse per il fondo comune istituito da Pam e Unicef, in accordo con  la Cooperazione Italiana allo sviluppo. Sette registi,  sette sguardi tentano di penetrare l'invisibiltà di bambini, alla perenne ricerca di un futuro diverso, di condizioni di vita dignitose, di qualcuno che dia loro voce e racconti le loro difficili storie con responsabilità. Tuttavia gli ammirevoli intenti non risultano sufficienti di buon valore artistico oltre che umanitario. Ancora una volta infatti, il film a episodi rivela tutti i suoi i limiti e la sua incapacità di emozionare realmente nonostante la grandezza dei nomi coinvolti. Già in un paio di occasioni, su queste pagine era stata espressa più di una perplessità sulla capacità da parte di questo genere di arrivare a un dunque; si trattava di film composti perlopiù da tre episodi, estranei a qualunque idea di compiutezza narrativa e capacità di coinvolgimento dello spettatore. In questo caso gli effetti sono gli stessi, ma elevati alla settima potenza. Se in 30 minuti risultava difficile trovare la quadratura del cerchio, in 20  il problema appare ancor più evidente, con difetti di scrittura che risuonano come sgradevoli note stonate, sviluppi narrativi poco chiari, troncati o accelerati in maniera brusca. Questi fattori, assumono certamente maggior peso se l'intera opera porta purtroppo su di sè due dei peggior difetti: un sano bagno di retorica e un doppiaggio da dimenticare. La prima è la trappola più ovvia che il tema dell'infanzia può riservare se affrontato in maniera didascalica; forse solo l'episodio dell'italiano Stefano Veneruso riesce ad aggirare questa insidia, proponendo un ritratto dei quartieri napoletani più che realistico, cameo della Cucinotta escluso. I meriti di questa buona riuscita vanno senza dubbio ugualmente spartiti con De Silva, uno che conosce a fondo le diverse sfaccettature della difficile realtà dei sobborghi partenopei, una realtà in cui spesso l'infanzia viene rubata troppo presto con conseguenze irreversibili.
Il problema del doppiaggio invece è ormai un'annosa piaga di molti film stranieri che approdano in Italia, su cui è inutile spendere altre parole, si sappia solo che in quest'occasione, oltre all'immancabile romanesco, compare una curiosa variante in dialetto ternano che a tratti assume effetti quasi grotteschi, soprattutto quando a parlarlo sono dei bambini brasiliani.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 5 commenti

 
 
utente
Dudoski
  • indirizzo IP 83.103.92.98
  • data e ora Martedì 14 Marzo 2006 [10:08]
  • commento Concordo in pieno col giudizio del redattore e con chi ha dato 1 a questo film. L'episodio della famiglia Scott è assolutamente il peggiore: un mero tentativo di far colpo sullo spettatore con tutti
 
 
 
 
 
utente
Dudoski
  • indirizzo IP 83.103.92.98
  • data e ora Martedì 14 Marzo 2006 [10:11]
  • commento gli strumenti possibili. Oltre a Ciro non mi è dispiaciuto Bilu e Joao della Lund: forse il corto che meglio riesce a rappresentare un mondo "altro" come quello delle favelas brasiliane.
 
 
 
 
 
utente
Sara
  • indirizzo IP 151.38.135.241
  • data e ora Martedì 14 Marzo 2006 [16:07]
  • commento Ma come si fa ad ascoltare i bambini africani dire: "Annamo ar villaggio!"? Ma e' uno scherzo?
 
 
 
 
 
utente
Dudoski
  • indirizzo IP 83.103.92.98
  • data e ora Mercoledì 15 Marzo 2006 [11:23]
  • commento Eh, come ben sai il doppiaggio italiano sono anni che lava i panni in Tevere...
 
 
 
 
 
utente
Dudoski
  • indirizzo IP 83.103.92.98
  • data e ora Mercoledì 15 Marzo 2006 [11:25]
  • commento Beati i finlandesi che i film al cinema se li vedono tutti in lingua originale!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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