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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Il voto del redattore

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  • 4/5
  • valutazione
  • Torna la grande mano di Sam Mendes. E una galleria dei migliori film di guerra del secolo scorso.
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 4.1/5
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  • Questo film è stato votato da 3 lettori
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Info

Jarhead

di Sam Mendes

 
    Dati
  • Titolo originale: Jarhead
  • Soggetto: Anthony Swofford (libro omonimo)
  • Sceneggiatura: William Broyles Jr.
  • Genere: Drammatico - Guerra
  • Durata: 123 min.
     
  • Nazionalità: U.S.A.
  • Anno: 2006
  • Produzione: Universal Pictures
  • Distribuzione: UIP
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

"Benvenuto nella merda", Palla di lardo

di Sara Troilo

Un brevissimo prologo e poi due schiere di reclute che si fronteggiano in una camerata mentre il graduato cammina e si sgola in mezzo a loro: sì, Full Metal Jacket. No, Jarhead. Nuovo lavoro di Sam Mendes che adatta la storia del marine Anthony Swofford che ha partecipato alla cosiddetta "tempesta del deserto" del 1991. Teste rasate, linguaggio scurrile, virili pacche sulle spalle, muscoli e divise. E poi ancora: canzoncine adatte alla marcia, incoraggiamenti molto diretti atti al portare a termine i compiti assegnati, simpatici momenti di scambi di marchi a fuoco tra compagni di camerata. L'armamentario classico del film di addestramento e di guerra non può certo prescindere da Kubrick, Sam Mendes è una persona seria e lo sa.

 

Al di là dell'incipit, le citazioni smaccate al film di Palla di lardo sono infinite e la dichiarazione dell'autore è chiara e molto generosa: la reiterazione del gesto bellico, il lavaggio del cervello, l'azzeramento del pensiero critico sono già state codificate dal maestro; Mendes qui si limita a farle ripassare al pubblico. Ci si ambienta subito in Jarhead, dalla bella sequenza iniziale che finisce con il fermo-immagine contro la lavagna, lo spettatore sa di giocare in casa. Eppure, ovvio!, lo spettatore si sbaglia. Il marine e' fatto per uccidere (nato per uccidere, sì), il marine sente negli altoparlanti che deve spaccare il culo all'invasore iracheno, il marine forse ci credeva già al momento dell'arruolamento, ma giunto al termine dell'addestramento ne è convinto com'è convinto che Saddam Hussein vada tritato a pezzi minuscoli. Molto bella la scena in cui le reclute guardano gli elicotteri che a suon di Wagner sparano sui vietnamiti, del resto Apocalypse Now non poteva mancare, ma assistere a cori esultanti e tifo da stadio è un'esperienza formativa, da inserire nel proprio Curriculum Vitae alla voce capacità individuali: "una volta sono riuscita a cambiare totalmente prospettiva".

 

Proprio durante la visione del film di Coppola alcuni marines, nella fattispecie i tiratori scelti, tra cui il nostro Swoff (Jake Gyllenhall), vengono messi a parte dell'imminente partenza per l'Iraq, destinazione: pericolo, adrenalina, nemico da uccidere. All'arrivo nel deserto i testa di barattolo (jarhead, appunto) vengono accolti da un collonnello-rockstar che spiega loro i programmi per l'immediato futuro: idratarsi e adattarsi al clima del deserto. La delusione segna i volti dei militari che pensavano di imbracciare i fucili e, finalmente, andare ad ammazzare gente. Alcune didascalie scandiscono il tempo trascorso nel deserto e il numero di uomini impegnati nei campi in Iraq. L'addestramento prosegue, l'idratazione anche, Swoff, Troy (Peter Sarsgaard) e gli altri corrono sotto il sole con le tute e le maschere antigas, affinano la mira, leggono le lettere di mogli e fidanzate che man mano li dimenticano, si sbronzano e si masturbano. Molto. Il nemico viene nominato spesso, ogni volta descritto come implacabile, dotato di gas nervino e feroce. Il nemico, pero', non esiste, e' un miraggio del deserto e la frustrazione cresce tra i prodi e coraggiosi tiratori scelti a cui era stato promesso il magico momento in cui, facendo un buco nella testa a un altro uomo, avrebbero visto uscir fuori una sostanza rosa e molle: il cervello.

 

La vita prosegue tra retrovie e campi, con videocassette che, alla faccia dell'etichetta con su scritto Il cacciatore, mostrano gli amplessi della moglie di un soldato con il vicino di casa, sul divano. Una dedica vendicativa piuttosto originale. Meno originali le risposte alle domande dei giornalisti dopo il vademecum del Sergente di Stato Maggiore Sykes (Jamie Foxx) che impone agli ormai demotivati marines di apparire fieri di partecipare a quella guerra che non vedono nemmeno. Abbiamo quindi un addestramento che resta uguale nei secoli, un dispiegamento di uomini enorme e un'idratazione ormai buona. E, ancora, nessun nemico. Nelle tende i nervi saltano quando non saltano i razzi di segnalazione, per errore, smascherando un festino molto alcolico. Solite punizioni (orribili) e soliti giri di ricognizione. Swoff, Troy e pochi altri compagni, perlustrando il deserto in un giorno fortunato, si imbattono in otto cammellieri che sbraitano. Swoff parla con loro in arabo, la tensione decresce e torna a salire la depressione del tiratore scelto che non può fare buchi in testa a nessuno. Mendes ha la capacità di farci entrare nel meccanismo di attesa di un evento, nella fattispecie del cervello rosa che esce dalla testa, ma più ancora del dito che preme il grilletto. Ogni tanto ce lo ricorda che è quello il motivo per cui siamo lì, ma poi ci allontana di colpo da ogni possibile scontro col nemico. Nel frattempo gioca ancora con i riferimenti ad altri film, allontanandosi a un certo punto anche da quelli per cambiare il nostro punto di vista. Non siamo in mezzo al gas nervino, non c'è nessuno che attenta alla vita di nessuno. C'è il deserto, c'è la bottiglietta d'acqua e ci sono le foto delle fidanzate.

 

Un giorno, però, si parte e si va davvero in guerra. I primi morti, corpi carbonizzati, una cresta da superare e di là il nemico. I marines vedono sopra di sé i caccia e capiscono che arriveranno troppo tardi per uccidere, ma ci saranno altri morti, stavolta tra di loro. Il fuoco amico. Che disdetta. Le immagini di questa parte del film sono oniriche e ritraggono bene l'assurdità dell'operazione. C'è la pioggia di petrolio nella notte con un povero cavallo tutto bagnato che corre terrorizzato per le dune. E c'è il marine fuori di testa che vuole il trofeo: un cadavere (un uomo ucciso da altri, si sa). Il dito sul grilletto aleggia, diventa un'ossessione, darebbe un senso a tutti quei giorni passati in Iraq ad idratarsi, una giustificazione alla totale inutilità di un contingente. Swoff ha il padre che è stato in Vietnam, tutti sono cresciuti con negli occhi i film di guerra e non erano così, lì c'erano eroi che trucidavano il nemico, che sparavano e che facevano anche i buchi in testa. Qui ci sono mani, le mani di Swoff, che qualsiasi cosa faranno -tenere in braccio un bambino, amare una donna… per citare liberamente- avranno il ricordo del fucile ("senza di lui io non sono niente"), quelle stesse mani che al momento della prima Guerra del Golfo non volevano fare altro che sparare e che, a un certo punto, si sono messe a scrivere. Troy ripete spesso a Swoff "Benvenuto nella merda" a sottolineare una condizione che nessuna propaganda potrà mai negare. Possiamo augurarci che la scrittura conduca un essere umano fuori da quella "merda" che è  la guerra, ma il punto non è questo. Il punto è che lì in sala, anche solo per un attimo, si fa (ho fatto) il tifo per quel dito di quella mano e per la massa rosa colante. Se vi è successo, se vi dovesse accadere, direi "benvenuti…"

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 4 commenti

 
 
utente
Dudoski
  • indirizzo IP 83.103.92.98
  • data e ora Sabato 25 Febbraio 2006 [11:16]
  • commento Bel film, anche se non riesce a convincermi del tutto. Complimenti per la recensione più che perfetta! Da leggere non solo prima della visione del film ma anche - e soprattutto - successivamente.
 
 
 
 
 
utente
Dudoski
  • indirizzo IP 83.103.92.98
  • data e ora Sabato 25 Febbraio 2006 [11:20]
  • commento (io il tifo non l'ho fatto però!). Per chi fosse interessato all'argomento segnalo un ottimo libro: Nafeez M. Ahmed, Dominio. La guerra americana all'Iraq e il genocidio umanitario, 2003 Fazi Editore.
 
 
 
 
 
utente
piattorotto
  • indirizzo IP 81.208.74.187
  • data e ora Sabato 25 Febbraio 2006 [23:54]
  • commento sibillina la frase sul tifo! Recensione che ti fa venire la voglia di andarlo a vedere. Alla prossima. ciao
 
 
 
 
 
utente
Luigi
  • indirizzo IP 151.52.123.238
  • data e ora Domenica 26 Febbraio 2006 [1:06]
  • commento Mah, io capisco il tifo. A volte le storie devono "arrivare", e la mancanza di approdo è la tortura più snervante.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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