Il voto del redattore
- voto
- 3.5/5
- valutazione
- Un film insolito, spiazzante, anche sorprendente
Il voto dei lettori
- voto medio
- 2.4/5
- numero votanti
- Questo film è stato votato da 5 lettori
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
U-Carmen eKhayelitsha
di Mark Dornford-May
- Dati
- Titolo originale: U-Carmen eKhayelitsha
- Soggetto: Ispirato alla Carmen di Georges Bizet
- Sceneggiatura: Mark Dornford-May, Andiswa Kedama, Pauline Malefane
- Genere: Drammatico - Musical
- Durata: 120 min.
- Nazionalità: Sud Africa
- Anno: 2006
- Produzione: Spier Films
- Distribuzione: Lady Film
- Data di uscita: 00 00 0000
Passioni nella banlieue sudafricana
di Roberta Folatti
Forse sono proprio i corpi carnosi, abbondanti, eccessivi delle donne che interpretano il film a trasmettere vitalità e sfrontatezza, quell'incredibile energia che pervade U-Carmen eKhayelitsha e che ne fa un singolare "musical lirico".
E' innegabile, all'inizio ci si trova spiazzati. Abituati come siamo ad attrici carine, magrine, elegantine, si rimane increduli di fronte a questa Carmen così poco "politically correct" dal punto di vista estetico. Naturalmente secondo i nostri canoni.
Ma il carisma di Pauline Malefane in brevissimo tempo ci conquista, con la sua voce possente e quel corpo così duttile e armonioso, malgrado la sua abbondanza. La fisicità è uno dei punti di forza del film di Mark Dornford-May, che colloca la sua Carmen in una baraccopoli alla periferia di Città del Capo. Il luogo è allucinante, catapecchie di cartone costruite sotto enormi elettrodotti contengono a fatica un formicaio umano variopinto, che brulica nonostante lo squallore. La storia della sigaraia di Siviglia, tratta da un racconto di Prosper Merimée e resa celebre dall'opera di George Bizet, cambia radicalmente ambientazione e si sviluppa tra contrabbandieri dell'estrema periferia e poliziotti molto corruttibili.
Tutti conquistati dal fascino di questa Carmen nera, volubile e orgogliosa, che va senza timore verso il suo destino, anteponendo a tutto la propria libertà. Uno stregone pronostica la sua morte e quella del suo innamorato, ma la voglia di Carmen di mordere la vita, cantando, ballando, seguendo i propri istinti senza mai farsi condizionare non viene scalfita dall'infausta predizione.
Il regista e alcuni degli interpreti, tra cui la versatile Pauline, hanno svolto un lavoro importante di traduzione dei testi nella lingua Xhosa, uno degli undici dialetti ufficiali del Sud Africa post apartheid. E' davvero singolare sentire le arie della Carmen piegarsi a questo particolarissimo linguaggio. Chi ha compiuto questo lavoro sottolinea la difficoltà di riadattare dialoghi e testi, ma ci sentiamo di dire che l'esperimento è pienamente riuscito.
Ciò che invece non ci sembra del tutto condivisibile è la caratterizzazione di alcuni personaggi, un po' troppo tagliati con l'accetta, poco delineati psicologicamente fino a risultare superficiali e rozzi. L'esasperata brutalità di talune situazioni può far supporre che sia dovuta al luogo in cui ci troviamo: personalmente la trovo eccessiva, quasi fastidiosa.
Anche questo aspetto forse si poteva rendere con minore approssimazione, soffermandosi di più sulle dinamiche tra i personaggi.
Ma questa Carmen africana è soprattutto musica, ritmo, contaminazione, un grido di vitalità suprema, che contagia e sorprende per quanto sa far dialogare due mondi. Un'opera nata in Europa, che ha appassionato pubblici europei, sembra sgorgare naturalmente da tutt'altro contesto, a conferma che la musica, quando ha un'anima, non può essere racchiusa dentro confini geografici o culturali.
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