
Oltre a sentirsi piacevolmente inchiodati alla poltrona, durante la visione di
A history of violence, si avverte tutta l'ammirazione per come un acclamato autore come
David Cronenberg, sinonimo di un cinema molto personale per tematiche e visionarietà, abbia avuto l'umiltà e la bravura di mettersi al servizio di una sceneggiatura non scritta da lui e di un film strutturalmente "di genere", facendolo diventare uno dei suoi migliori lavori. Spicca infatti la mano del maestro che riesce a dosare e mescolare gli elementi classici di un genere a quelli del proprio universo rappresentativo con padronanza, equilibrio e efficacia tali da generare un film molto coinvolgente e convincente, rispettoso dei personaggi e dello spettatore.
Il plot è uno dei più sperimentati: Tom Stall vive una serena esistenza insieme alla moglie e ai due figli in una cittadina dell'Indiana, nello sconfinato ed isolato entroterra americano, dove gestisce una caffetteria, stimato e rispettato dei suoi compaesani.
Purtroppo un giorno l'esistenza della famiglia del protagonista cambia radicalmente: due efferati criminali irrompono nel locale per una rapina che Tom coraggiosamente riesce a sventare, uccidendo i due malviventi e salvando la vita ai clienti presenti.
Tom diventa così un piccolo eroe della comunità in cui vive e grazie a tv e giornali il suo volto ottiene un quarto d'ora di celebrità in tutto il Paese.

Dopo pochi giorni di calma apparente, si presentano tre gangster da Philadelphia che lo riconoscono non come Tom Stall, bensì come un loro vecchio "collega" sotto mentite spoglie e lo invitano con le minacce a seguirli per sistemare alcuni affari rimasti in sospeso. La storia quindi gira intorno al tema dell'identità, del passato rimosso, della ricerca di serenità negli affetti famigliari, e, ovviamente, della violenza.
Tutte queste tematiche sono state elaborate a fondo in un altro film presentato con successo all'ultimo festival di Cannes (dov'era in concorso anche
A history of violence):
Cachè di
Micael Haneke. Lo svolgimento però è esattamente opposto. Benchè accomunati sin dalle prime sequenze da un senso di incombente minaccia che solo apparentemente arriva dall'esterno e che invece si rivela essere sepolto dentro la personalità del protagonista,
Haneke crea un film del tutto personale e originale nello stile e nella trattazione, mentre
Cronenberg si affida ad alcuni solidi strumenti narrativi classici del cinema thriller e noir, che qui funzionano

a meraviglia: personaggi la cui moralità è messa a dura prova dagli eventi, la cruda solidità del paesaggio che sembra assistere impassibile alle alterne vicende umane, il ritmo crescente e incalzante del racconto, una serie di personaggi non protagonisti di grandissimo spessore e molto ben delineati (ottime, oltre a quella del protagonista
Viggo Mortensen, le interpretazioni di
Maria Bello,
Ed Harris,
Ashton Holmes e memorabile il bel cameo di
William Hurt). Ma tra le pieghe della messa in scena del lato oscuro della vita di una famiglia (che metaforicamente potrebbe essere quella di una Nazione, come in
Cachè), c'è qualcosa di più che pulsa sotto pelle.
Emerge, prima lentamente per poi esplodere in tutta la sua violenza, un senso di inquietudine, una sensazione strisciante che all'inizio lo spettatore non sa spiegarsi e che trattiene dentro sé, proprio come fa lo stesso protagonista, fin quando finalmente Tom è costretto a venire allo scoperto.
E' da questo terreno che tutto il talento visionario di
Cronenberg viene

fuori alla grande senza però fagocitare la storia: prima l'incipit onirico del film, l'apparente serenità dell'immutabile vita di paese; poi i segni di una mutazione non più occultabile: gli sfregi sulla schiena della moglie, il sesso rabbioso di una coppia che ha perso l'identità, i volti disintegrati dei gangster, il sangue che macchia i vestiti come le coscienze dei familiari innocenti. Un viaggio attraverso le paure e i suoi effetti, condotto dal personaggio di Tom che come il protagonista del precedente film di
Cronenberg, Spider, snoda i fili di un passato doloroso e violento, ma che qui rivela un vago, e inedito in questo autore, senso religioso di un uomo ("
tre anni di peregrinare senza meta nel deserto" rivela Tom alla moglie) che è disposto a redimersi, a cambiare vita e a difendere la sua famiglia e la serenità in cui e' nata e cresciuta, a qualsiasi costo, anche a quello di sporcarsi di nuovo le mani di sangue, pur di spezzare l'inesorabile cerchio dell'umana violenza.