Il voto del redattore
- voto
- 5/5
- valutazione
Il voto dei lettori
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- 3.2/5
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- Questo film è stato votato da 31 lettori
- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
Dogville
di Lars Von Trier
- Dati
- Titolo originale: Dogville
- Soggetto: Lars Von Trier
- Sceneggiatura: Lars Von Trier
- Genere: Drammatico - Sociale
- Durata: 135 min.
- Nazionalità: Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Olanda, Svezia, U.S.A.
- Anno: 2003
- Produzione: 4 1/2, Alan Young Pictures, Canal+, etc.
- Distribuzione: Medusa
- Data di uscita: 00 00 0000
Dogville
di Sara Troilo
Gli americani visti da Lars: un microscopico paesino tutto stilizzato, case delimitate da segni di gesso, porte di legno sempre aperte e 15 abitanti più il cane; ecco Dogville. Un prologo, nove capitoli e una voce narrante, un film molto parlato, un compendio di filosofia entro gli angusti confini di una mise en scene quantomeno scarna, claustrofobica e ossessiva contrastata solo dai movimenti di macchina, non "dogmatici" e comunque piuttosto spiazzanti. Alla fine del prologo cominci a guardarti intorno per vedere quante persone devi fare alzare per riuscire a guadagnare l'uscita, poi cominci ad avvertire il senso di costrizione, come quando si abbassano le protezioni e tu hai deciso, non sai ancora il motivo ma lo maledici sulla fiducia, di salire sulle dannate montagne russe; a un tratto ti è tutto chiaro, sei lì, non puoi scendere e i minuti che precedono il terrore che proverai sono di lucidità estrema. No, sto mentendo, la verità è un'altra, potrei uscire tranquillamente, ma voglio soffrire e resto. L'esperimento è semplice, immettere in un ecosistema chiuso e fragile un elemento di novità: a Dogville arriva Grace (Nicole Kidman), viene dalla grande città, ha un passato oscuro ed è alla ricerca di un vivere morale, la accoglie l'intellettuale del paese che la mette nelle condizioni di farsi ben volere dagli abitanti di Dogville per farsi concedere protezione contro i gangster che la stanno cercando. Assistiamo quindi alla parabola di una donna sola che, malvista all'inizio, riesce a accordarsi il favore di tutti, si ritaglia un posto tra quelle quindici anime, comincia a credere che una condizione di vita più primitiva sia anche più genuina e che tutto ciò che è torbido sia escluso da questa cerchia ristretta di persone, prende un po' di coraggio e si mostra per come è trasformandosi di nuovo in pericolo e come tale viene arginata, costretta a non avere una personalità propria, tenuta alla catena da un pensiero dominante uniforme e asfissiante. Essendo una donna è automaticamente foriera di una seduzione che passa attraverso il corpo e diventa oggetto di odio da parte delle altre donne e di volontà di possesso da parte degli uomini, Grace diventa l'oggetto estraneo ridotto all'impotenza e importato solo a questa condizione, la distanza tra lei e gli altri personaggi è infinita, da una parte c'è lei esausta e senza più volontà che ancora si interroga su ciò che è giusto e ciò che non lo è, dall'altra il gruppo che si fa forte dell'unione ritrovata in nome della difesa contro la novità pericolosa. La rottura con le proprie radici, con l'ambiente che l'ha fatta nascere e formata e il percorso di conoscenza del sé sono dolorosi, comportano la solitudine e la continua messa in discussione di se stessi proprio perché non si hanno specchi in cui riflettersi, né si usa la moneta del luogo comune, la determinazione che la porta a cercare non un'unione qualunque che le dia una parvenza di sicurezza, ma quella che valorizza chi sei diventato come singolo essere umano esemplificata da ciò che Grace ripete a Tom (Paul Bettany) "Quando ci rincontreremo in libertà " ci potremo amare, la sostiene fino al finale in cui è difficile reprimere gli applausi liberatori. I titoli di coda non lasciano spazio a possibili equivoci: Dogville non è il particolare, ma l'universale. Dogville è l'America che quando si mette a parlare di filosofia parla di scelta e si pone davanti solo due vie: una giusta e una sbagliata. Il proprio paese o se stessi, la moglie o l'amante, la mamma o il papà, la guerra giusta o il terrorismo, il crocifisso o l'invasione islamica (ah, no, questi siamo noi). A questo punto mi viene un sospetto e cioè che gli statunitensi che parlano di se stessi tendano a semplificare non per farsi capire da tutti, ma per ritrarre fedelmente la situazione e come in un moderno contrappasso chi ferisce col manicheismo, alla fine si trova riflesso nel film di un regista danese che con 16 personaggi e pochi metri quadrati di scenografia ritrae il paese più potente del mondo. E rido.
I lettori hanno scritto 6 commenti
- indirizzo IP 151.65.230.40
- data e ora Giovedì 03 Maggio 2007 [12:17]
- commento Stesso ip, commenti di segno diametralmente opposto. Sei lo stesso tizio che cerca di innescare una polemica. C'è un cofanetto dvd da promuovere o cosa?
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