Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Daniele Vicari porta sullo schermo i fatti della Diaz, una verità scomoda e violenta.
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02 11 2013
Diaz - Non pulire questo sangue
di Daniele Vicari
- Dati
- Titolo originale: Diaz - Non pulire questo sangue
- Soggetto: Tratto da una storia vera
- Sceneggiatura: Daniele Vicari, Laura Paolucci, Alessandro Bandinelli, Emanuele Scaringi
- Genere: Drammatico - Sociale
- Durata: 127 min.
- Nazionalità: Italia, Francia, Romania
- Anno: 2012
- Produzione: Fandango, Le Pacte, Mandragora Movies
- Distribuzione: Fandango
- Data di uscita: 13 04 2012
Recensione pubblicata il 22 04 2012
Questa recensione è stata letta 6623 volte
Diaz, i giorni in cui l?Italia si oscurò
di Anna Romana Sebastiani
Non è facile affrontare la visione di Diaz. Sono passati undici anni dai fatti del G8 di Genova, un periodo troppo breve per non poter ricordare ma abbastanza lungo per cominciare a dimenticare.
Il lasso di tempo giusto per portare sullo schermo cinematografico quella storia dolorosa, una macchia di fango sul nostro Paese, che molti hanno tentato di pulire, coprire, sbiadire, ma che ancora è ben visibile nei cuori di molti Italiani, almeno per quelli che al G8 c’erano e ricordano di aver partecipato a una grande manifestazione pacifica. Solo in lontananza gli echi di fracassi e botti ad opera di facinorosi.
Daniele Vicari non spazia, non divaga, non cade nella retorica impastata e trasformata, tristemente strumentalizzata, delle accuse e delle colpe, soprattutto a seguito della morte di Giuliani.
Il regista centra il bersaglio, va dritto al nocciolo della questione, quasi attraverso un’inchiesta cinematografica ci racconta i Fatti accaduti nella scuola Diaz e poi nella caserma di Bolzaneto. Nient’altro. Lo fa in modo intelligente, attraverso le prospettive diverse di coloro che sono stati coinvolti, smorzate dallo stupido lancio di una bottiglia di vetro, intemperanza giovanile che nulla c’entra con una protesta contro la globalizzazione capitalistica.
Per ricostruire quei fatti era doveroso attenersi agli atti processuali e alle testimonianze dei protagonisti; Vicari persegue questo filone scrupolosamente, aggiungendo, con tocco da maestro del cinema, i volti, perlopiù giovani, di persone diventate in una notte topi in gabbia.
Gli occhi di Alma, ragazza tedesca del Genova Social Forum, racchiudono la paura vissuta dagli ospiti della Diaz quella notte. Occhi grandi, ingenui, madidi, insanguinati. Il sangue è una costante del film, è dappertutto, una scuola diventata in poche ore un macello.
La narrazione non ci si spiega come i poliziotti abbiano avuto il coraggio di picchiare così forte, di accanirsi su inermi, di sputare e calciare, infaticabili e disumani. Sembrano bestie rinchiuse a cui concedere finalmente uno sfogo; “io i miei non li reggo più”, sentenzia il capo dello squadrone. E poi le Istituzioni, quelle che avrebbero dovuto vigilare, che invece si sono arrogate il diritto di creare una carneficina, le alte cariche pubbliche, insomma, lo Stato.
Proprio questo fa male, sapere che lo Stato si è investito del diritto di sospendere i diritti civili nel nostro Paese, contro la Costituzione e contro ogni logica giustificabile. Il perché forse non si saprà mai, certo è che non è sopportabile pensare che sia stato solo un atto di forza per dimostrare chi era il più forte a seguito di un’aggressione a un mezzo blindato della polizia.
Infine, la parentesi della caserma di Bolzaneto, in cui fu praticata tortura. Reato non previsto dal nostro codice, e quindi, non imputabile. Anche lì è sempre Alma che ci conduce nello squallore dei fatti; come lei tanti giovani, in gran parte europei, giornalisti e organizzatori del social forum, diventati esche del Potere, costretti da un capannello di manigoldi a pratiche inenarrabili, conoscibili solo grazie alla peggior cronaca proveniente dalle dittature del terzo mondo.
Questo fu l’Italia in quei pochi giorni: da una parte, i grandi del mondo a discutere del nostro futuro, dall’altra, un gruppo di servitori dello Stato che annichilivano persone che non avevano fatto niente, la cui sola colpa fu quella di dormire in una scuola.
Il merito di Diaz è quello di conservare la Memoria, in un Paese che spesso e volentieri dimentica.
Un film necessario che svolge una funzione pedagogica, che attraverso la proposizione della violenza può educare alla tolleranza, soprattutto nei confronti dei più giovani che quella Storia non conoscono ma che nei volti del film possono riconoscersi.
Questo dovrebbe essere il senso di Diaz. Gli esiti processuali, le colpe di chi ordinò, tutte cose che dovrebbero essere lasciate alla Giustizia. Discutere dell’accaduto è importante, ma ancor più fondamentale è fare in modo che ciò non si ripeta mai più.
Il lasso di tempo giusto per portare sullo schermo cinematografico quella storia dolorosa, una macchia di fango sul nostro Paese, che molti hanno tentato di pulire, coprire, sbiadire, ma che ancora è ben visibile nei cuori di molti Italiani, almeno per quelli che al G8 c’erano e ricordano di aver partecipato a una grande manifestazione pacifica. Solo in lontananza gli echi di fracassi e botti ad opera di facinorosi.
Daniele Vicari non spazia, non divaga, non cade nella retorica impastata e trasformata, tristemente strumentalizzata, delle accuse e delle colpe, soprattutto a seguito della morte di Giuliani.
Il regista centra il bersaglio, va dritto al nocciolo della questione, quasi attraverso un’inchiesta cinematografica ci racconta i Fatti accaduti nella scuola Diaz e poi nella caserma di Bolzaneto. Nient’altro. Lo fa in modo intelligente, attraverso le prospettive diverse di coloro che sono stati coinvolti, smorzate dallo stupido lancio di una bottiglia di vetro, intemperanza giovanile che nulla c’entra con una protesta contro la globalizzazione capitalistica.
Per ricostruire quei fatti era doveroso attenersi agli atti processuali e alle testimonianze dei protagonisti; Vicari persegue questo filone scrupolosamente, aggiungendo, con tocco da maestro del cinema, i volti, perlopiù giovani, di persone diventate in una notte topi in gabbia.
Gli occhi di Alma, ragazza tedesca del Genova Social Forum, racchiudono la paura vissuta dagli ospiti della Diaz quella notte. Occhi grandi, ingenui, madidi, insanguinati. Il sangue è una costante del film, è dappertutto, una scuola diventata in poche ore un macello.
La narrazione non ci si spiega come i poliziotti abbiano avuto il coraggio di picchiare così forte, di accanirsi su inermi, di sputare e calciare, infaticabili e disumani. Sembrano bestie rinchiuse a cui concedere finalmente uno sfogo; “io i miei non li reggo più”, sentenzia il capo dello squadrone. E poi le Istituzioni, quelle che avrebbero dovuto vigilare, che invece si sono arrogate il diritto di creare una carneficina, le alte cariche pubbliche, insomma, lo Stato.
Proprio questo fa male, sapere che lo Stato si è investito del diritto di sospendere i diritti civili nel nostro Paese, contro la Costituzione e contro ogni logica giustificabile. Il perché forse non si saprà mai, certo è che non è sopportabile pensare che sia stato solo un atto di forza per dimostrare chi era il più forte a seguito di un’aggressione a un mezzo blindato della polizia.
Infine, la parentesi della caserma di Bolzaneto, in cui fu praticata tortura. Reato non previsto dal nostro codice, e quindi, non imputabile. Anche lì è sempre Alma che ci conduce nello squallore dei fatti; come lei tanti giovani, in gran parte europei, giornalisti e organizzatori del social forum, diventati esche del Potere, costretti da un capannello di manigoldi a pratiche inenarrabili, conoscibili solo grazie alla peggior cronaca proveniente dalle dittature del terzo mondo.
Questo fu l’Italia in quei pochi giorni: da una parte, i grandi del mondo a discutere del nostro futuro, dall’altra, un gruppo di servitori dello Stato che annichilivano persone che non avevano fatto niente, la cui sola colpa fu quella di dormire in una scuola.
Il merito di Diaz è quello di conservare la Memoria, in un Paese che spesso e volentieri dimentica.
Un film necessario che svolge una funzione pedagogica, che attraverso la proposizione della violenza può educare alla tolleranza, soprattutto nei confronti dei più giovani che quella Storia non conoscono ma che nei volti del film possono riconoscersi.
Questo dovrebbe essere il senso di Diaz. Gli esiti processuali, le colpe di chi ordinò, tutte cose che dovrebbero essere lasciate alla Giustizia. Discutere dell’accaduto è importante, ma ancor più fondamentale è fare in modo che ciò non si ripeta mai più.
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