Se tua moglie, in seguito ad un incidente, entra in coma, scoprire che aveva un amante non ti semplifica di certo l'elaborazione del dolore.
Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Si ride e si piange con grande equilibrio in Paradiso amaro e questo ne fa un?opera umanamente ricca e godibile.
Il voto dei lettori
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- genere Commedia
- tipo Road Movie
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Paradiso amaro
di Alexander Payne
- Dati
- Titolo originale: The Descendants
- Soggetto: Tratto dal romanzo Eredi di un mondo sbagliato, di Kaui Hart Hemmings
- Sceneggiatura: Alexander Payne, Nat Faxon, Jim Rash
- Genere: Commedia - Road Movie
- Durata: 110 min.
- Nazionalità: U.S.A.
- Anno: 2012
- Produzione: Ad Hominem Enterprises
- Distribuzione: Twentieth Century Fox
- Data di uscita: 17 02 2012
- Link
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- Il sito ufficiale
- Il sito italiano
Recensione pubblicata il 04 03 2012
Questa recensione è stata letta 2177 volte
Destinazione Paradiso
di Emanuel Perico
C’è sempre qualcosa di rassicurante nel cinema di Alexander Payne, quella strana sensazione che si prova quando andiamo a trovare dei vecchi amici, persone che conosci e delle quali hai piacere di sapere come stanno e cosa combinano nella vita.
Non fa eccezione The Descendants (Paradiso amaro), ultima fatica del cineasta di Omaha, Nebraska. Mentre scrivo queste righe arriva la notizia che la pellicola si è portata a casa l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale (su 5 candidature, tra cui miglior film). Tutto sommato un buon risultato che lascia però l’amaro in bocca al bel George Clooney che magari sperava nel massimo riconoscimento come miglior attore.
Ci troviamo nelle isole Hawaii e la vicenda narra di Matt King, avvocato-marito-padre piuttosto disinteressato al menage familiare che all’improvviso, a seguito di un incidente in barca occorso alla moglie, deve riorganizzare tutta la sua vita. Avrà il suo bel da fare per recuperare il rapporto con le due figlie Scottie e Alex, fino ad allora trascurate, ma soprattutto dovrà affrontare il macigno del tradimento dal quale, fino ad allora, era stato tenuto all’oscuro.
La storia si evolve in una improbabile caccia all’uomo (un agente immobiliare che stava per portargli via l’amata Elizabeth) insieme alle figlie e ad uno stralunato teenager amico di Alex. Tutto questo per cercare una sorta di vendetta liberatoria. E come se non bastasse, Matt deve anche gestire un appezzamento terriero lasciato in eredità da una sua antenata Hawaiiana di sangue blu la cui vendita vede coinvolti anche una serie di avidi cugini.
Basandosi sull’omonimo romanzo di Kaui Hart Hemmings, con questo lavoro Payne chiude un’ideale trilogia dei sentimenti iniziata nel Nebraska con About Schmidt passando per la California di Sideways e approdando alle Hawaii di Paradiso amaro.
Dopo l’amicizia e l’amore coniugale, qui viene esplicitato l’amore paterno passando per la sofferenza della perdita e la collera del tradimento. Tutti sentimenti molto personali e intimi mostrati con tenerezza e sensibilitá senza mai scivolare nella retorica.
L’elemento “on-the road” è un’altra caratteristica peculiare dello stile di Alexander Payne, che utilizza il viaggio quasi fosse una catarsi, un non-luogo dove rifugiarsi per ritrovare lucidità e recuperare il proprio raziocinio.
Matt King avrà modo di riflettere sui suoi fallimenti prima come marito, poi come padre e infine come uomo, ma ciò non gli impedirà di riscattarsi agli occhi delle persone che ama. L’iniziale astio si tramuterà in una spinta salvifica, memore del sentimento puro che egli aveva nutrito in passato nei confronti della moglie fedifraga.
Payne riesce anche a “de-seximbolizzare” i personaggi: lo fece prima con Paul Giamatti (il trascinatore era lui e non l’aitante Thomas Haden-Church), poi con Jack Nicholson che, privo di ghigno e sopracciglio arcuato, riesce ugualmente ad affascinare grazie ad un enorme lavoro di recitazione trattenuta fatta di micro espressioni. Ora con George Clooney, nei panni di un ometto miope in camicia hawaiiana, ci mostra il lato sensibile del belloccio, sgraziandolo e portandolo al nostro livello, rendendoci tutti come lui. Ma la pregevole prova d’attore di George (purtroppo non concretizzatasi con la riconoscenza dell’Accademy) è solo uno dei pregi di The Descendants che riserva un posto di pregio alla locations: le isole Hawaii sono un vero e proprio protagonista aggiunto, character invisibile a supporto totale della storia, che anche grazie al lavoro dell’insostituibile sceneggiatore Jim Taylor (la cui collaborazione con Payne gli fruttò un’altra statuetta per Sideways nel 2005) ben riesce a valorizzare le caratteristiche dei vari personaggi, tutti assolutamente nella parte con una menzione particolare al sempreverde Robert Forster, nei panni del suocero di Clooney, e la convincente Judy Greer.
I film di Alexander Payne fanno bene al cuore, raccontando senza false illusioni cosí la vita come la morte, la sofferenza e il riscatto, il crollo e la salvezza, filtrando tutto attraverso gli sguardi di persone assolutamente semplici e sincere. Persone normali. Come noi.
Non fa eccezione The Descendants (Paradiso amaro), ultima fatica del cineasta di Omaha, Nebraska. Mentre scrivo queste righe arriva la notizia che la pellicola si è portata a casa l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale (su 5 candidature, tra cui miglior film). Tutto sommato un buon risultato che lascia però l’amaro in bocca al bel George Clooney che magari sperava nel massimo riconoscimento come miglior attore.
Ci troviamo nelle isole Hawaii e la vicenda narra di Matt King, avvocato-marito-padre piuttosto disinteressato al menage familiare che all’improvviso, a seguito di un incidente in barca occorso alla moglie, deve riorganizzare tutta la sua vita. Avrà il suo bel da fare per recuperare il rapporto con le due figlie Scottie e Alex, fino ad allora trascurate, ma soprattutto dovrà affrontare il macigno del tradimento dal quale, fino ad allora, era stato tenuto all’oscuro.
La storia si evolve in una improbabile caccia all’uomo (un agente immobiliare che stava per portargli via l’amata Elizabeth) insieme alle figlie e ad uno stralunato teenager amico di Alex. Tutto questo per cercare una sorta di vendetta liberatoria. E come se non bastasse, Matt deve anche gestire un appezzamento terriero lasciato in eredità da una sua antenata Hawaiiana di sangue blu la cui vendita vede coinvolti anche una serie di avidi cugini.
Basandosi sull’omonimo romanzo di Kaui Hart Hemmings, con questo lavoro Payne chiude un’ideale trilogia dei sentimenti iniziata nel Nebraska con About Schmidt passando per la California di Sideways e approdando alle Hawaii di Paradiso amaro.
Dopo l’amicizia e l’amore coniugale, qui viene esplicitato l’amore paterno passando per la sofferenza della perdita e la collera del tradimento. Tutti sentimenti molto personali e intimi mostrati con tenerezza e sensibilitá senza mai scivolare nella retorica.
L’elemento “on-the road” è un’altra caratteristica peculiare dello stile di Alexander Payne, che utilizza il viaggio quasi fosse una catarsi, un non-luogo dove rifugiarsi per ritrovare lucidità e recuperare il proprio raziocinio.
Matt King avrà modo di riflettere sui suoi fallimenti prima come marito, poi come padre e infine come uomo, ma ciò non gli impedirà di riscattarsi agli occhi delle persone che ama. L’iniziale astio si tramuterà in una spinta salvifica, memore del sentimento puro che egli aveva nutrito in passato nei confronti della moglie fedifraga.
Payne riesce anche a “de-seximbolizzare” i personaggi: lo fece prima con Paul Giamatti (il trascinatore era lui e non l’aitante Thomas Haden-Church), poi con Jack Nicholson che, privo di ghigno e sopracciglio arcuato, riesce ugualmente ad affascinare grazie ad un enorme lavoro di recitazione trattenuta fatta di micro espressioni. Ora con George Clooney, nei panni di un ometto miope in camicia hawaiiana, ci mostra il lato sensibile del belloccio, sgraziandolo e portandolo al nostro livello, rendendoci tutti come lui. Ma la pregevole prova d’attore di George (purtroppo non concretizzatasi con la riconoscenza dell’Accademy) è solo uno dei pregi di The Descendants che riserva un posto di pregio alla locations: le isole Hawaii sono un vero e proprio protagonista aggiunto, character invisibile a supporto totale della storia, che anche grazie al lavoro dell’insostituibile sceneggiatore Jim Taylor (la cui collaborazione con Payne gli fruttò un’altra statuetta per Sideways nel 2005) ben riesce a valorizzare le caratteristiche dei vari personaggi, tutti assolutamente nella parte con una menzione particolare al sempreverde Robert Forster, nei panni del suocero di Clooney, e la convincente Judy Greer.
I film di Alexander Payne fanno bene al cuore, raccontando senza false illusioni cosí la vita come la morte, la sofferenza e il riscatto, il crollo e la salvezza, filtrando tutto attraverso gli sguardi di persone assolutamente semplici e sincere. Persone normali. Come noi.
I lettori hanno scritto 1 commento
Francesca Paciulli
- indirizzo IP 83.103.87.142
- data e ora Lunedì 05 Marzo 2012 [15:11]
- commento Davvero zero retorica in questo film. Una vera boccata d'aria fresca con un protagonista, Clooney, "normale" e una recitazione tutta di sottrazione.
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