Ci sono perdite, come quella di un particolare strumento musicale per un musicista, assolutamente irreparabili.
Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- Una commedia drammatica dal profumo ironico con contorno di fantasia. Vietato prendersi troppo sul serio et... voilà il piatto è servito.
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02 11 2013
Pollo alle prugne
di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud
- Dati
- Titolo originale: Poulet aux prunes
- Soggetto: Tratto dalla graphic novel Pollo alle prugne, di Marjane Satrapi
- Sceneggiatura: Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud
- Genere: Drammatico - Sociale
- Durata: 90 min.
- Nazionalità: Francia, Germania, Belgio
- Anno: 2011
- Produzione: Celluloid Dreams, The Manipulators, Ufilm, Studio 37, Le Pacte, Lorette Productions, Film(s), Arte France Cinéma, ZDF-Arte
- Distribuzione: Officine Ubu
- Data di uscita: 06 04 2012
Recensione pubblicata il 04 03 2012
Questa recensione è stata letta 5481 volte
Sogni infranti e amori perduti
di Chiara Orlandi
Da quando la moglie Faringuisse (Maria de Medeiros) gli ha guastato irreparabilmente il violino, Nasser Ali Khan (Mathieu Amalric) decide di abbandonare per sempre la musica sprofondando in una torbida depressione nutrita di rancore e rassegnazione verso chiunque lo circondi.
Riluttante a prendersi cura di se stesso e della propria famiglia, decide di rinchiudersi in una desolata solitudine nelle speranza che la morte sopraggiunga in breve tempo. Seguiranno sette giorni intensi in cui il protagonista ripercorre le tappe della sua esistenza dall’infanzia all’adolescenza, il rapporto con la madre e la musica, la scoperta dell’amore fino al drammatico matrimonio con la devota Faringuisse.
Pollo alle prugne - risulta subito chiaro - è il naturale proseguimento di Persepolis, un percorso, dunque, che continua con attori in carne e ossa ma che conserva la magia e la fantasia del film d’animazione.
Puntualizza infatti l’illustratrice iraniana: “...abbiamo entrambi assoluta fiducia nel film come un mezzo per esplorare l’immaginazione e l’estetica. Il realismo non ci interessa particolarmente. Quando vogliamo raccontare una storia, abbiamo entrambi bisogno di andare oltre il realismo, di superarlo...”.
Ricca di omaggi e citazioni (stereotipi televisivi americani, il cinema italiano, la poesia di Omar Khayyam, George Melies, perle di saggezza dell’antica Grecia) il lungometraggio francese appare da subito un po’ gravato da queste ridondanze che ingolfano il ritmo della narrazione per giungere infine ad un epilogo decisamente affrettato.
Nel complesso comunque la Satrapi, coadiuvata dalla sapiente regia di Vincent Parannaud, testimonia una crescita cinematografica, sia nella narrazione che nella sceneggiatura: il sapiente mix tra feedback e prolessi infiamma indubbiamente la curiosità del pubblico che, attraverso la storia d’amore per Irane non può non cogliere il riferimento nostalgico dell’esule Marjane. La dolce Irane (Golshifteh Farahani) è infatti metafora dell’ardore per la terra natia che seduce ma respinge, che affascina ma incatena e che, con laconica discrezione, osserva impotente la maestosa bellezza dei suoi frutti più lontani. Pollo alle prugne si rivela dunque una dichiarazione d’amore e allo stesso tempo di un concesso perdono verso il proprio Paese prigioniero del giogo di un regime teocratico, nella consapevolezza che, se da un lato è impossibile l’agognato ritorno, dall’altro è altrettanto irraggiungibile – come artista e come persona – la piena dimensione del sé in una terra nuova e straniera.
La pellicola, ambientata nella Teheran del 1958, vuole mettere in scena il sogno di un Iran che era possibile, il passato di un Paese in cui la democrazia poteva esistere. L’Arte riveste una possibile via di riscatto poiché, come ci rammenta il saggio, “è attraverso l’Arte che comprendiamo la vita”. Così come Nasser Ali suona il violino (o tar) per rievocare in ogni nota colei che ha perduto, Marjane Satrapi si dedica al fumetto e alla sceneggiatura per ristabilire il contatto spirituale con il suo passato. Quando però lo sconforto prende il sopravvento nemmeno il piatto preferito - appunto il pollo alle prugne - può curare il profondo malessere innescato ed è allora che si invoca la fine dell’esistenza. Ma anche in questo triste epilogo la coppia Parannaud-Satrapi riesce a scovare un lato buffo, ironico e deliziosamente fiabesco consentendo al protagonista quattro affabili chiacchiere con l’Angelo della morte.
Animano la scena i volti del più noto cinema francese: Mathieu Amalric (mente del recente successo di Tournée), Jamel Debbouze che veste un duplice ruolo, Chiara Mastroianni che ritroviamo in versione figlia-famme fatale e Isabella Rossellini nei panni di una madre assai ingerente verso le scelte filiali. La presenza di Maria de Medeiros è, a mio avviso, la scelta attoriale migliore: Faringuisse è un personaggio complesso e delicato che richiede estrema sensibilità per essere messo in scena. La ferita dell’esilio coinvolge anche un’altra artista che ha partecipato alla realizzazione del film; a fine gennaio 2012 è stato infatti ufficializzato da parte del governo iraniano il confinamento perenne della splendida Golshifteh Farahani, attrice e pianista persiana che dà vita al personaggio di Irane. I costumi e la scenografia lasciano trapelare un leggero rimando allo stile steampunk, caro a Jean-Pierre Jeunet, complice la fotografia di Christophe Beaucarne che lavorò proprio in La cité des enfants perdus. Infine le musiche che svolgono un ruolo importante nella vicenda amorosa ed esistenziale di Nasser Ali Khan sono state affidate a Olivier Bernet, le cui note avevano impreziosito anche il precedente lungometraggio della coppia artistica Parannaud-Satrapi.
Una pellicola che a un primo sguardo appare intrisa di pessimismo ma che, sotto una più attenta riflessione, nasconde una visione decisamente sardonica e beffarda della vita. Mescolando qualche nota autobiografica con sprazzi di fantasia, la Satrapi getta uno sguardo malinconico verso l’Iran laico e progressista messo a tacere con la rivoluzione del ’79 ma svela anche aspetti sociali interessanti all’occhio distratto del mondo Occidentale.
Riluttante a prendersi cura di se stesso e della propria famiglia, decide di rinchiudersi in una desolata solitudine nelle speranza che la morte sopraggiunga in breve tempo. Seguiranno sette giorni intensi in cui il protagonista ripercorre le tappe della sua esistenza dall’infanzia all’adolescenza, il rapporto con la madre e la musica, la scoperta dell’amore fino al drammatico matrimonio con la devota Faringuisse.
Pollo alle prugne - risulta subito chiaro - è il naturale proseguimento di Persepolis, un percorso, dunque, che continua con attori in carne e ossa ma che conserva la magia e la fantasia del film d’animazione.
Puntualizza infatti l’illustratrice iraniana: “...abbiamo entrambi assoluta fiducia nel film come un mezzo per esplorare l’immaginazione e l’estetica. Il realismo non ci interessa particolarmente. Quando vogliamo raccontare una storia, abbiamo entrambi bisogno di andare oltre il realismo, di superarlo...”.
Ricca di omaggi e citazioni (stereotipi televisivi americani, il cinema italiano, la poesia di Omar Khayyam, George Melies, perle di saggezza dell’antica Grecia) il lungometraggio francese appare da subito un po’ gravato da queste ridondanze che ingolfano il ritmo della narrazione per giungere infine ad un epilogo decisamente affrettato.
Nel complesso comunque la Satrapi, coadiuvata dalla sapiente regia di Vincent Parannaud, testimonia una crescita cinematografica, sia nella narrazione che nella sceneggiatura: il sapiente mix tra feedback e prolessi infiamma indubbiamente la curiosità del pubblico che, attraverso la storia d’amore per Irane non può non cogliere il riferimento nostalgico dell’esule Marjane. La dolce Irane (Golshifteh Farahani) è infatti metafora dell’ardore per la terra natia che seduce ma respinge, che affascina ma incatena e che, con laconica discrezione, osserva impotente la maestosa bellezza dei suoi frutti più lontani. Pollo alle prugne si rivela dunque una dichiarazione d’amore e allo stesso tempo di un concesso perdono verso il proprio Paese prigioniero del giogo di un regime teocratico, nella consapevolezza che, se da un lato è impossibile l’agognato ritorno, dall’altro è altrettanto irraggiungibile – come artista e come persona – la piena dimensione del sé in una terra nuova e straniera.
La pellicola, ambientata nella Teheran del 1958, vuole mettere in scena il sogno di un Iran che era possibile, il passato di un Paese in cui la democrazia poteva esistere. L’Arte riveste una possibile via di riscatto poiché, come ci rammenta il saggio, “è attraverso l’Arte che comprendiamo la vita”. Così come Nasser Ali suona il violino (o tar) per rievocare in ogni nota colei che ha perduto, Marjane Satrapi si dedica al fumetto e alla sceneggiatura per ristabilire il contatto spirituale con il suo passato. Quando però lo sconforto prende il sopravvento nemmeno il piatto preferito - appunto il pollo alle prugne - può curare il profondo malessere innescato ed è allora che si invoca la fine dell’esistenza. Ma anche in questo triste epilogo la coppia Parannaud-Satrapi riesce a scovare un lato buffo, ironico e deliziosamente fiabesco consentendo al protagonista quattro affabili chiacchiere con l’Angelo della morte.
Animano la scena i volti del più noto cinema francese: Mathieu Amalric (mente del recente successo di Tournée), Jamel Debbouze che veste un duplice ruolo, Chiara Mastroianni che ritroviamo in versione figlia-famme fatale e Isabella Rossellini nei panni di una madre assai ingerente verso le scelte filiali. La presenza di Maria de Medeiros è, a mio avviso, la scelta attoriale migliore: Faringuisse è un personaggio complesso e delicato che richiede estrema sensibilità per essere messo in scena. La ferita dell’esilio coinvolge anche un’altra artista che ha partecipato alla realizzazione del film; a fine gennaio 2012 è stato infatti ufficializzato da parte del governo iraniano il confinamento perenne della splendida Golshifteh Farahani, attrice e pianista persiana che dà vita al personaggio di Irane. I costumi e la scenografia lasciano trapelare un leggero rimando allo stile steampunk, caro a Jean-Pierre Jeunet, complice la fotografia di Christophe Beaucarne che lavorò proprio in La cité des enfants perdus. Infine le musiche che svolgono un ruolo importante nella vicenda amorosa ed esistenziale di Nasser Ali Khan sono state affidate a Olivier Bernet, le cui note avevano impreziosito anche il precedente lungometraggio della coppia artistica Parannaud-Satrapi.
Una pellicola che a un primo sguardo appare intrisa di pessimismo ma che, sotto una più attenta riflessione, nasconde una visione decisamente sardonica e beffarda della vita. Mescolando qualche nota autobiografica con sprazzi di fantasia, la Satrapi getta uno sguardo malinconico verso l’Iran laico e progressista messo a tacere con la rivoluzione del ’79 ma svela anche aspetti sociali interessanti all’occhio distratto del mondo Occidentale.
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