Il film è basato sulla vita vera di Billy Beane, un manager di una squadra di baseball che, con un budget risicatissimo a disposizione, si affida a simulazioni al computer per selezionare una squadra economica ma competitiva.
Il voto del redattore
- voto
- 3/5
- valutazione
- Una parabola made in USA sull'incrocio tra baseball ed economia; formalmente ottimo ma nel contenuto poco avvezzo al pubblico nostrano
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- Contro Il pessimo metodo
- A favore La violenza della psicoanalisi
- Sara Troilo Vs. Keivan Karimi
L'Arte di Vincere
di Bennett Miller
- Dati
- Titolo originale: Moneyball
- Soggetto: Tratto dal libro Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game, di Michael Lewis
- Sceneggiatura: Steven Zaillian, Aaron Sorkin
- Genere: Drammatico - Sportivo
- Durata: 133 min.
- Nazionalità: U.S.A.
- Anno: 2012
- Produzione: Film Rites, Michael De Luca Productions, Scott Rudin Productions, Specialty Films (II)
- Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
- Data di uscita: 27 01 2012
Equazione per la vittoria
di Keivan Karimi
Il
cinema americano ormai parla ed esporta sempre più storie proprie,
vicende più o meno reali che si rifanno alla cronologia recente
degli Usa e delle passioni a stelle e strisce.
Dopo The Help,
storia completamente assorta nella mentalità razziale d'oltreoceano
e ben fruibile dunque soprattutto dagli spettatori statunitensi, è
sbarcato in Italia anche Moneyball, opera
che approfondisce il dietro le quinte di uno sport come il baseball, di certo non tra i più seguiti nello stivale. Non c'è però il clamore
di vecchi successi come L'uomo dei sogni, con un Kevin Costner capace di distruggere con un home-run un intero
riflettore dello stadio, si tratta invece di una pellicola che
racconta la parte più oscura dell'agonismo made in Usa, ovvero le
strategie e le statistiche utilizzate per completare i roasters della
Major League.
La storia è basata sulla vita di Billy Beane, general
manager degli Oakland Athletics, ma soprattutto sul romanzo omonimo
di Michael Lewis. Beane, interpretato da un irascibile Brad Pitt,
decise nel 2002 di incentrare il proprio lavoro di costruzione della
squadra sull'adozione dei metodi matematici e statistici del giovane Peter
Brand (Jonah Hill), un economista laureato a Yale, convinto di poter arrivare alla vittoria del campionato tramite
equazioni e calcoli basati sulle capacità ed i numeri tecnici dei
giocatori di baseball.
Il film è dunque a sua volta una storia
romanzata, girata completamente tra gli spogliatoi degli immensi
stadi a diamante e gli uffici manageriali dove si consumano
trattative, licenziamenti e compravendite di uomini.
Arrivando subito
al punto, la pellicola può risultare noiosa e poco affascinante per
tutti coloro che non sanno neanche cosa sia il baseball, che non
amano lo sport e la competizione, quelle persone che non hanno a che
fare neanche un po' con il nostrano calciomercato e tutti i vari
sviluppi tematici. Per questo il giudizio de L'arte di
vincere si basa sulle capacità
diegetiche e attrattive che il regista Bennett Miller, spregiudicato
autore di A sangue freddo, riesce
a far valere. L'universo del sottobosco agonistico americano è
analizzato con cura, forse anche troppa, con quel fascino che si
riserva alle storie intense, ai melodrammi di un tempo. Le trattative
portate avanti da Beane con altri colleghi manager della Major League
hanno un fascino relativo al grande cinema, anche se si portano
dietro lo strascico di contenuti piuttosto basilari.
La vita del
personaggio di Brad Pitt è marginale, fuoriesce invece l'amore
complesso per uno sport che può essere interpretato in seconda
istanza come un vizio, una passione, una donna da desiderare e
conquistare con una sorta di incroci reattivi infiniti.
La sceneggiatura è evidentemente il pezzo forte del film, redatta tra l'altro da Steven Zaillian, premio Oscar nel 1984 per lo script di un capolavoro internazionale come Schindler's list; la narrazione avvincente fatta di numeri e parabole matematiche, di solito poco fruttuose per l'utenza cinematografica, si deve per l'appunto ad una base scritta con nocumento e vigore, capace di rendere i personaggi statici ma completi, mentalmente abbastanza forti da mantenere lo spettatore sempre al proprio fianco. Fa simpatia il personaggio del corpulento Jonah Hill, ragazzone che di baseball giocato capisce meno di zero, ma assoluto risolutore e mente geniale nello scopo del lavoro degli Oakland Athletics. Le pause sono tante, le scene ben costruite e scenograficamente azzeccate, il tutto si svolge con una continuità di intenti registicamente pulita ed arguta. Ciò che manca, come precedentemente detto, è l'efficacia del contenuto, è l'incalzante noia che assale la maggior parte del pubblico, non più attratto dall'estetica ancora opprimente di Brad Pitt, poco legata a questa storia fatta di tabelline e mazze di legno. In sintesi si tratta di un'operazione stimabile dal punto di vista della forma, decisa e concreta, ma poco avvincente per l'oggetto della discussione, troppo poco comprensibile per un pubblico più internazionale. Ma c'è sempre tanta invidia per gli americani, capaci di fare un bel film su un normalissimo personaggio sportivo conosciuto non oltre i confini degli States. Candidato a sei premi Oscar 2012, occhio in tal senso alla sceneggiatura ed all'interprete non protagonista.
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