Non è il Faust che abbiamo studiato a scuola o forse sono proprio gli aspetti non scolastici e più reconditi di quel Faust.
Il voto del redattore
- voto
- 4/5
- valutazione
- L'inedita rilettura del Faust di Goethe inocrona il regista Sokurov come maestro del cinema contemporaneo.
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02 11 2013
Faust
di Aleksandr Sokurov
- Dati
- Titolo originale: Faust
- Soggetto: Ispirato alla tragedia omonima di Johann Wolfgang fon Goethe
- Sceneggiatura: Marina Koreneva, Aleksandr Sokurov
- Genere: Drammatico - Psicologico
- Durata: 134 min.
- Nazionalità: Russia
- Anno: 2011
- Produzione: Proline Film
- Distribuzione: Archibald Films
- Data di uscita: 26 10 2011
Recensione pubblicata il 31 01 2012
Questa recensione è stata letta 1865 volte
Con Faust si conclude la tetralogia sul potere.
di Anna Romana Sebastiani
Non si può non rimanere sbalorditi dalla visione di Faust, meritato Leone d’oro a Venezia, con cui il regista russo Alexander Sokurov conclude la tetralogia di un’ambiziosa costruzione cinematografica intorno al tema del potere.
Pur esistendo il filo di continuità tra i film precedenti e questa inedita rilettura del Faust di Goethe, Sokurov aggiunge il proprio stigma personale calandosi nelle viscere dell’ambientazione cinematografica e nel personaggio del professore alla ricerca della verità assoluta. Un accento personale e deciso che forse mancava negli altri tre film e che, invece, era presente in opere precedenti come Arca russa, Salva e custodisci, Padre e figlio, i film che sono baluginati durante la visione di Faust.
Molti gli spunti di riflessione del film, seppur condensati in semplici tecniche cinematografiche affidate al virtuosismo del regista che riesce sempre a creare un’atmosfera unica nel suo genere, una sorta di raminga opera d’arte difficile da afferrare e assorbire completamente, un quadro dalle tinte fosche affidato a libera interpretazione.
Sokurov spiazza, atterrisce, forse impaurisce; è la sua visone manichea della vita che lo contraddistingue, da una parte c’è il bene, dall’altra il male a cui tutti sembriamo esserci immolati.
Faust cerca l’anima nei cadaveri che sventra ma non la trova, vuole conoscere il principio assoluto che regola il Mondo degli uomini, lo stesso che per anni ha studiato come scienziato all’Università. Lungi dall’avvicinarsi alla Fede, si fa condurre per le strade tortuose e soffocanti della città da un personaggio infido e repellente, il diavolo.
Un essere mostruoso a cui tutto sembra possibile, anche concedersi agli effluvi in un ambiente frequentato da giovani ragazze disincantate; lì il dottor Faust vedrà per la prima volta Margarete, giovanissima ed eterea ragazza, di cui si innamorerà. Un amore distorto, concesso dal maligno, che annebbia e orba Faust dell’anima. E proprio la cupidigia sessuale, richiamata dall’inquadratura a inizio film del pene di un uomo morto, è lo strumento che il diavolo utilizza per rubare l’oggetto della ricerca a Faust, quasi a dimostrazione che anche il rapporto amoroso, prioritario nelle relazioni umane, sia da considerarsi alla stregua di una tentazione distruttrice e violenta. La stessa che fa morire giovani ragazzi in guerra, come il fratello di Margarete che alla guerra è sfuggito, ma che tornerà all’inferno per mano dello stesso Faust.
Non esiste nemesi nel mondo di Sokurov, piuttosto un avvicendamento di follia e morte, uno sfregamento tra viventi e defunti dove il confine tra le due realtà diventa labile. Eppure l’incanto non manca, è l’ingrediente imprescindibile nella cinematografia del regista russo, e quando Faust riesce finalmente ad abbracciare Margarete si assiste a una prodigiosa e alta prova artistica, il primo e ultimo sospiro amoroso prima di varcare il limine degli inferi.
Faust ha venduto la sua anima al diavolo in cambio del possesso della giovane e deve rispettare il suo patto. Qui si svela il paradosso: dopo una vita sacrificata alla ricerca, il soddisfacimento di un desiderio elementare legherà per sempre il dottore al suo ruolo di vagabondo, un’anima perduta e smarrita a cui nessuna verità è dovuta. Faust non avrà mai quel potere tanto ambito sul mondo, sul mistero dell’anima, sul corpo di una giovane donna.
Come aveva già fatto nei suoi film precedenti, Sokurov ci ammonisce sulla nequizia del potere, troppo ricercato ed estrinsecato nei rapporti umani come codice di sopravvivenza, ci rimanda a un’altra possibilità, alla scelta di una libertà esautorata dai mali terreni.
Un’aspirazione. Un capolavoro.
Pur esistendo il filo di continuità tra i film precedenti e questa inedita rilettura del Faust di Goethe, Sokurov aggiunge il proprio stigma personale calandosi nelle viscere dell’ambientazione cinematografica e nel personaggio del professore alla ricerca della verità assoluta. Un accento personale e deciso che forse mancava negli altri tre film e che, invece, era presente in opere precedenti come Arca russa, Salva e custodisci, Padre e figlio, i film che sono baluginati durante la visione di Faust.
Molti gli spunti di riflessione del film, seppur condensati in semplici tecniche cinematografiche affidate al virtuosismo del regista che riesce sempre a creare un’atmosfera unica nel suo genere, una sorta di raminga opera d’arte difficile da afferrare e assorbire completamente, un quadro dalle tinte fosche affidato a libera interpretazione.
Sokurov spiazza, atterrisce, forse impaurisce; è la sua visone manichea della vita che lo contraddistingue, da una parte c’è il bene, dall’altra il male a cui tutti sembriamo esserci immolati.
Faust cerca l’anima nei cadaveri che sventra ma non la trova, vuole conoscere il principio assoluto che regola il Mondo degli uomini, lo stesso che per anni ha studiato come scienziato all’Università. Lungi dall’avvicinarsi alla Fede, si fa condurre per le strade tortuose e soffocanti della città da un personaggio infido e repellente, il diavolo.
Un essere mostruoso a cui tutto sembra possibile, anche concedersi agli effluvi in un ambiente frequentato da giovani ragazze disincantate; lì il dottor Faust vedrà per la prima volta Margarete, giovanissima ed eterea ragazza, di cui si innamorerà. Un amore distorto, concesso dal maligno, che annebbia e orba Faust dell’anima. E proprio la cupidigia sessuale, richiamata dall’inquadratura a inizio film del pene di un uomo morto, è lo strumento che il diavolo utilizza per rubare l’oggetto della ricerca a Faust, quasi a dimostrazione che anche il rapporto amoroso, prioritario nelle relazioni umane, sia da considerarsi alla stregua di una tentazione distruttrice e violenta. La stessa che fa morire giovani ragazzi in guerra, come il fratello di Margarete che alla guerra è sfuggito, ma che tornerà all’inferno per mano dello stesso Faust.
Non esiste nemesi nel mondo di Sokurov, piuttosto un avvicendamento di follia e morte, uno sfregamento tra viventi e defunti dove il confine tra le due realtà diventa labile. Eppure l’incanto non manca, è l’ingrediente imprescindibile nella cinematografia del regista russo, e quando Faust riesce finalmente ad abbracciare Margarete si assiste a una prodigiosa e alta prova artistica, il primo e ultimo sospiro amoroso prima di varcare il limine degli inferi.
Faust ha venduto la sua anima al diavolo in cambio del possesso della giovane e deve rispettare il suo patto. Qui si svela il paradosso: dopo una vita sacrificata alla ricerca, il soddisfacimento di un desiderio elementare legherà per sempre il dottore al suo ruolo di vagabondo, un’anima perduta e smarrita a cui nessuna verità è dovuta. Faust non avrà mai quel potere tanto ambito sul mondo, sul mistero dell’anima, sul corpo di una giovane donna.
Come aveva già fatto nei suoi film precedenti, Sokurov ci ammonisce sulla nequizia del potere, troppo ricercato ed estrinsecato nei rapporti umani come codice di sopravvivenza, ci rimanda a un’altra possibilità, alla scelta di una libertà esautorata dai mali terreni.
Un’aspirazione. Un capolavoro.
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